Perché è importante quella nuova norma sulla progettazione sociale

Perché è stato necessario attivare un processo di codifica e regolamentazione della professione di progettista sociale, ci si è chiesti durante un convegno a Roma, riguardante la nuova Norma Tecnica UNI che ha appunto definito tale professione? Perché dall’Associazione che si occupa di accogliere le persone con disabilità a quella impegnata nella sensibilizzazione ambientale, ovvero in qualsiasi àmbito di politica sociale, realizzata da servizi pubblici, privati e dal Terzo Settore, la professione del progettista sociale, pur essendo indispensabile, risulta ancora largamente sommersa
Maggio 2019: onvegno di Roma durante il quale è stata illustrata la nuova norma UNI sui progettisti sociali
Il tavolo dei relatori del convegno di Roma durante il quale è stata illustrata la nuova norma UNI dedicata ai progettisti sociali

È la prima norma in Italia e in Europa sulla progettazione sociale e definisce i requisiti base di «conoscenza, abilità e competenza» che deve possedere il progettista sociale, figura chiave in ogni realtà non profit, dal welfare al tempo libero, che fino ad oggi non era regolamentata.
Si tratta della Norma Tecnica UNI 11746 (Attività professionali non regolamentate – Progettista Sociale – Requisiti di conoscenza, abilità e competenza” sul Progettista sociale”), pubblicata pochi giorni fa e arrivata dopo sei anni di studio in coordinamento con l’UNI (Ente Italiano di Normazione), e una lunga fase di confronto tra tutte le parti interessate, il Forum Nazionale del Terzo Settore, PMI® (Project Management Institute) Central Italy Chapter, l’ANPAL (Agenzia Nazionale Politiche Attive del Lavoro) del Ministero del Lavoro e l’APIS (Associazione Italiana Progettisti Sociali).
Per capirne il reale impatto, è stato promosso nei giorni scorsi, presso l’Università Roma Tre, il convegno La progettazione sociale in Italia. La funzione del progettista sociale dopo la pubblicazione della prima Norma tecnica, per cura dell’APIS, del Forum Nazionale del Terzo Settore e di PMI® Central Italy Chapter [se ne legga la presentazione su queste stesse pagine, N.d.R.].

Ma perché è stato necessario attivare un processo di codifica e regolamentazione della professione? Dall’Associazione che si occupa di accogliere le persone con disabilità a quella impegnata nella sensibilizzazione ambientale, ovvero in qualsiasi àmbito di politica sociale, realizzata da servizi pubblici, privati e dal Terzo Settore, il progettista sociale è il professionista che non può mancare mai, perché non si dà missione sociale senza progettazione sociale.
Il progettista sociale è dunque «un operatore specializzato che sviluppa e concorre alla realizzazione di progetti sociali, assumendosene la responsabilità di processo: ideazione, pianificazione, redazione, gestione, controllo e monitoraggio, valutazione di risultato e di impatto, rendicontazione».

Sulla base dei dati del Censimento del Non Profit del 2011 e dell’ultima rilevazione ISTAT che conta 336.000 organizzazioni non profit attive in Italia, si calcola che vi siano circa 16.000 soggetti che esercitano in modo esclusivo o prevalente tale professione.
Eppure quella del progettista sociale è una funzione ancora largamente sommersa, che si sovrappone e si confonde a quella del fundraiser o è ridotta a quella di chi scrive e rendiconta progetti in risposta a bandi: sono migliaia, infatti, gli esperti e operatori della progettazione sociale che, a diverso titolo, si spendono nelle organizzazioni del Terzo Settore, dell’Amministrazione Pubblica e dell’Impresa, spesso lavorando in una condizione di faticoso anonimato professionale.

La nuova Norma UNI 11746, oltre a definire i processi e le attività che caratterizzano la progettazione sociale, identifica le competenze richieste e i requisiti formativi e di apprendimento minimi per accedere alla professione del progettista sociale.
A dimostrazione di un profilo fortemente eclettico, le conoscenze e le abilità richieste attraversano diversi campi di specializzazione sociale, economica e gestionale: dalle tecniche di reportistica sociale alla conoscenza della normativa di riferimento, dai metodi di lavoro di rete a elementi di diritto amministrativo, dalle metodologie di project management alle tecniche di pianificazione finanziaria e molto altro.
Tra i requisiti di accesso vengono indicati: laurea triennale a indirizzo sociale, accompagnata da un’esperienza triennale in attività di elaborazione e presentazione di progetti e da un’esperienza biennale di coordinamento e gestione progettuale. Tali requisiti possono essere, in assenza di una formazione universitaria, sostituiti da un’esperienza più lunga in ambito di elaborazione, coordinamento e gestione progettuale.

«Attraverso la progettazione sociale, le sue metodologie e le sue procedure – ha dichiarato durante il convegno di Roma Antonio Finazzi Agrò, presidente dell’APIS  – vengono perseguiti obiettivi di rango costituzionale, come la tutela dei diritti e il raggiungimento della pari dignità sociale tra i cittadini, e passa la maggior quota di servizi ed interventi di welfare, anche in termini di risorse economiche assegnate e gestite. Un miglioramento delle pratiche di progettazione sociale – e questa Norma Tecnica vuole esserne un classico esempio – coinvolge non solo gli Enti e i professionisti che se ne occupano, ma i cittadini che beneficiano del welfare sia pubblico che privato».

«Quattro anni fa – ha affermato dal canto suo Claudia Fiaschi, portavoce del Forum Nazionale del Terzo Settore – il Forum ha deciso di accompagnare l’APIS nel percorso volto ad ottenere una normativa che regolamentasse la figura del progettista sociale. Una figura che riteniamo trasversale e fondamentale nel nostro mondo per le molteplici attività che svolge, dall’ideazione del progetto, alla sua organizzazione fino al monitoraggio e gestione. Con questa norma, quindi, viene finalmente riconosciuto e definito il grande valore della progettazione sociale in Italia anche in virtù della sua rilevanza pubblica».

«Il nostro obiettivo – ha concluso Anna Maria Felici, past president di PMI® (Project Management Institute) Central Italy Chapter e membro del Gruppo di Lavoro ISO TC258 per lo sviluppo degli standard di Project Mangement – è quello di stringere partnership con le organizzazioni non profit che supportano e preparano giovani per il successo, offrendo la nostra esperienza di Gestione Progetti, risorse e volontari per aiutarli nella loro missione. Fa parte della nostra strategia: quando si parla di progetti e di standard nel settore noi ci siamo, forti della nostra esperienza ormai cinquantennale. Avere lavorato a questa norma è stato per noi un arricchimento e un modo per ribadire che c’è un reciproco beneficio per organizzazioni non profit e volontari e che le competenze professionali dei nostri volontari possono essere molto utili per la comunità».

Da ricordare, in conclusione, che al convegno, moderato dalla giornalista Isabella Di Chio, sono intervenuti, oltre ai citati Finazzi Agrò, Fiaschi e Felici, anche Jamil Amirian, presidente del Comitato Scientifico dell’AIPS, Folco Cimagalli, presidente del Corso di Laurea in Scienze del Servizio Sociale e del Non Profit all’Università LUMSA di Roma, Martino Rebonato dell’Associazione OASI e Alberto Galeotto, direttore della Normazione UNI-Ente Italiano di Normazione. (S.B.)

Per ulteriori informazioni e approfondimenti:
° info@progettistisociali.it (Carmela Cioffi)
° stampa@forumterzosettore.it (Anna Monterubbianesi)

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