Gli emoji sono le “faccine” colorate che, per esprimere i toni e le emotività, si usano quotidianamente nelle comunicazioni attraverso sistemi operativi, applicazioni e piattaforme web.
Rappresentano molteplici sensazioni, permettendo di arricchire i messaggi con sorrisi, malumori, ironia, stupore, dolore ecc.
Nell’ultimo decennio, hanno conquistato sempre più terreno, divenendo un pezzo fondamentale del linguaggio usato online. Ormai, sono una specie di codice universalmente riconosciuto utilizzato per comunicare senza le parole.
Perché sono importanti? Perché l’uso di emoji può trasformare l’opinione che gli altri hanno di noi e determinare le nostre relazioni sociali. Sono i nostri gesti virtuali, ci facilitano nell’esprimere i nostri stati d’animo e non lasciano incertezze su ciò che vogliamo comunicare.
Durante una conversazione, faccia a faccia oppure tramite videochiamata, il linguaggio non è soltanto verbale, perché il nostro messaggio viene trasmesso anche con la postura del corpo, con i gesti o con le mimiche facciali. Con la scrittura, invece, il “non detto” scompare e le emoji vanno così a sostituire la comunicazione non verbale.
In qualsiasi forma e con qualsiasi scopo, i messaggi informatici sono contatti fra persone del tutto incorporei. Per questo, una frase scritta è spesso fraintesa nel tono, se non si aggiunge una faccina che sostituisce gesti ed espressioni.
Pensiamo alla frase: «Non vedo l’ora di incontrarlo!». Se accompagnata da emoji che comunicano allegria, la frase sarà intuita con un’accezione positiva; se abbinata invece a emoji disperati, sarà evidente che si tratta di un appuntamento poco piacevole.
Ora, il Consorzio Unicode – organizzazione non profit che si occupa dell’interscambio dei testi informatici tra lingue diverse – ne ha approvato l’ultimo elenco per il 2019.
Si tratta della versione Emoji 12.0, che comprende 59 nuovi emoji i quali diventano 75 se si considerano le variazioni di genere e 230 includendo tutte le opzioni inerenti al tono della pelle. La lista completa delle immagini approvate è consultabile a questo link nel sito web del Consorzio Unicode.
In realtà, va precisato, si tratta di semplici esempi perché i fornitori di telefoni cellulari, PC, applicazioni e piattaforme web utilizzeranno soltanto le immagini che si adatteranno meglio ai loro progetti.
Le integrazioni riguardano nuovi colori per quadrati, cerchi e cuori, oltre a una maschera subacquea, un tempio indù e un fenicottero.
Questo elenco, però, ha attratto l’attenzione di molti, soprattutto perché espande la platea di esseri umani che può essere rappresentata con i nuovi segni grafici. Le ultime immagini, infatti, raccontano le persone con disabilità (novità proposta da Apple lo scorso anno) e le coppie LGBT (Lesbiche, Gay, Bisessuali e Transgender), così come emoji che permettono un mix di tonalità della pelle a favore d’icone rappresentanti coppie che si tengono per mano. La preghiera è poi raffigurata in diverse varianti per l’etnia e per il sesso e anche una serie d’individui in piedi è stata selezionata per essere aggiunta alla versione 12.0.
Ma a cosa potranno mai servire gli emoji che rappresentano le disabilità? Entro la fine del 2019 dovrebbero arrivare su iOS e Android. Raffigurano cani guida, apparecchi per ipoudenti, dispositivi che assistono la mobilità, protesi per gli arti superiori e inferiori, Lingua dei Segni, bastone bianco da orientamento, carrozzine a mano ed elettroniche ecc.
Sono concepiti per fare esprimere in maniera più efficace tutte quelle persone che non avevano, finora, trovato un’appropriata raffigurazione nel mondo delle faccine.
«Una persona su 7 nel mondo ha qualche forma di disabilità, ma l’attuale selezione di emoticon, che offre una grande varietà di opzioni, potrebbe non rappresentarle. Diversificare le opzioni disponibili aiuta a riempire un vuoto e a garantire un’esperienza inclusiva per tutti»: così Apple aveva scritto nella sua proposta per le nuove emoji sull’accessibilità, presentata al Consorzio Unicode lo scorso anno.
Rispetto al passato, la visibilità delle persone con disabilità è certamente cresciuta: scuola, viaggi, lavoro ecc. sono in generale più facili da vivere. La via verso l’inclusione sociale e l’autonomia è però ancora impervia e anche questo tipo di comunicazione può aiutare ad agevolare il percorso.
A volte si è troppo seriosi quando si tratta il tema della disabilità. Bisogna capire che il linguaggio quotidiano è cambiato e che spesso le immagini sostituiscono le parole perché sono di comprensione immediata per tutti i destinatari, qualsiasi sia il loro Paese d’origine e il loro grado di scolarizzazione. È opportuno quindi servirsi di questo “fenomeno” per fare circolare un’immagine positiva delle persone con disabilità.
Guardando i nuovi emoji, è proprio questo ciò che traspare. Ad esempio, nessuno spinge la carrozzina a mano o accompagna chi guida quella elettronica, ma le immagini rappresentano persone autonome in movimento, grazie ai corrimano sulle ruote o ai joystick sul comando elettronico. In ugual modo, le persone con disabilità visiva sono raffigurate mentre camminano da sole, sostenute soltanto dal loro bastone. La creazione di emoji raffiguranti ausili e protesi possono, inoltre, trasmettere un concetto ancora troppo poco diffuso e cioè che essi esistono e non sono una condanna, ma un valido aiuto per migliorare la vita di molti.
Certo è che, siccome i contenuti della comunicazione sono sempre legati alla vita culturale e sociale di una persona, bisogna considerare anche l’altro lato della medaglia, vale a dire i possibili utilizzi degli emoji legati alla derisione delle persone con disabilità.
Quando si guarda un’immagine, infatti, si attivano meccanismi psichici collegati alle nostre esperienze precedenti. Ciò sollecita opinioni, emozioni e idee collegate a quell’immagine. È per questo che, pur sfruttando al massimo questa possibilità tecnologica, non possiamo dare per scontata un’adeguata lettura del fenomeno. Di conseguenza, sarebbe opportuno organizzare incontri sul tema per spiegare a tutti (bambini e adolescenti in primis) che ausili e protesi sono la soluzione e non il problema.
Lo scorso anno, lo aveva spiegato bene la giornalista, scrittrice e autrice radiofonica Fiamma Satta alla «Gazzetta dello Sport»: «Io ho iniziato a usare la mia sedia a rotelle rossa fiammante nel 2012. Credetemi, una liberazione. I cinque anni precedenti, in balia dell’aggravamento della sclerosi multipla, erano stati assai pesanti perché diminuiva il mio raggio deambulatorio e aumentava il “peso” delle gambe. Alla fine, anche dieci metri erano diventati un’impresa. Ovunque volessi andare, comunque accompagnata, mi facevo dire la distanza in metri del percorso e valutavo se sobbarcarmi o no la fatica. A quante cose belle ho rinunciato?».