Ancora una volta un Tribunale ha sancito l’illegittimità della richiesta alle persone con disabilità e ai loro familiari di dare fondo ai propri risparmi o di vendere i propri beni immobili, per contribuire alla compartecipazione della spesa per il pagamento delle rette dovute a strutture residenziali. È successo il 5 luglio scorso, quando i Giudici della Terza Sezione del TAR della Lombardia (Tribunale Amministrativo Regionale) hanno accolto il ricorso presentato dalla LEDHA (la Lega per i Diritti delle Persone con Disabilità che costituisce la componente lombarda della FISH-Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap) contro il Comune di Vigevano.
«Il TAR – si legge in una nota diffusa dalla stessa LEDHA – ha dichiarato illegittimo il Regolamento Comunale nella parte in cui prescrive le condizioni affinché il Comune stesso possa intervenire nell’integrazione delle rette dovute alle strutture residenziali che ospitano le persone con disabilità. Il testo del Regolamento, infatti, prevedeva l’intervento del Comune a integrazione della retta “solo se il patrimonio mobiliare dell’assistito” risultava “inferiore ad euro 5.000”. In caso di presenza di un patrimonio immobiliare, invece, il Regolamento prevedeva l’obbligo di alienazione o la locazione per destinare i proventi al rimborso dell’integrazione anticipata dal Comune, con la precisazione che, in mancanza di accordo tra il Comune e l’assistito (o i suoi rappresentanti), l’Ente Locale avrebbe potuto rivalersi sulla futura eredità».
Ebbene, proseguono dalla LEDHA, «tutti i punti in oggetto sono stati dichiarati illegittimi. I Giudici, infatti, hanno evidenziato che il Regolamento Comunale è in contrasto con la normativa nazionale di compartecipazione alla spesa (DPCM-Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 159/13 [la norma nazionale che disciplina l’ISEE, Indicatore della Situazione Economica equivalente, N.d.R.]), sottolineando come “in nessuna norma è previsto che, se superiore a determinati limiti, il patrimonio immobiliare debba essere interamente destinato alla copertura della retta; né è previsto che i Comuni possano imporre agli assistiti la messa a reddito del loro patrimonio immobiliare al fine di destinare i proventi al pagamento della retta stessa, o addirittura la rivalsa sull’eredità».
«Ancora più importante – come viene sottolineato da Francesco Trebeschi, il legale che ha patrocinato in giudizio il ricorso della LEDHA – è il richiamo nel dispositivo della Sentenza della possibilità dei Comuni di “prevedere, accanto all’ISEE, criteri ulteriori di selezione volti ad identificare specifiche platee di beneficiari, tenuto conto delle disposizioni regionali in materia e delle attribuzioni regionali specificamente dettate in tema di servizi sociali e socio-sanitari” (così l’articolo 2, comma 1 del DPCM 159/13). Ma questi “criteri ulteriori” non possono essere di “natura economica”, bensì solo “sociale”, perché, diversamente, significa che ogni Comune potrebbe individuare criteri di accesso e compartecipazione che violano il Decreto ISEE, mentre questo indicatore, nello stesso articolo, è individuato quale “livello essenziale” per l’accesso e la determinazione della compartecipazione».
«In nessuna parte del Decreto ISEE – aggiunge infatti Laura Abet, avvocato del Centro Antidiscriminazione Franco Bomprezzi della LEDHA . è previsto un meccanismo simile a quello che molti Comuni pretendono di adottare: vale a dire “consumare” tutte le proprie sostanze fino al valore di 5.000 euro, soglia al di sotto della quale si giustifica e si prevede la possibilità dell’intervento comunale a sostegno del pagamento della retta. L’invito a leggere attentamente i vari Regolamenti Comunali è quindi d’obbligo. In altre parole, i criteri stabiliti dalla Legge Statale devono trovare uniforme applicazione su tutto il territorio nazionale».
«Siamo molto soddisfatti di questa Sentenza – conclude Alessandro Manfredi , presidente della LEDHA – perché rappresenta l’ulteriore riconoscimento di un principio importante che la nostra Federazione, attraverso l’attività svolta in questi anni dai legali del Centro Antidiscriminazione Franco Bomprezzi, ribadisce da anni, ovvero che i Regolamenti Comunali i quali pur formalmente recepiscono la normativa nazionale, senza però darne corretta applicazione, sono illegittimi». (S.B.)
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