A proposito di quanto pubblicato in questi giorni sulle pagine di «Superando.it» sui genitori costretti a sedersi sui banchi di scuola a fianco del figlio con disabilità [se ne legga a questo e a questo link, N.d.R.] ci sono purtroppo altri casi che conosco e che denuncio da tempo, di allievi con gravi disabilità che vengono inclusi solo formalmente nella scuola.
La strategia più “furba” di tutte è quella di “suggerire” alla famiglia di “scegliere” l’educazione parentale. Il ricatto consiste nel minacciare di chiamare la polizia e il 118. Alla fine dell’anno scolastico la promozione è assicurata, anche senza vedere il ragazzo. Conosco in tal senso proprio un caso in cui non si è fatta alcuna verifica e si è appunto data la promozione alla classe superiore.
In queste situazioni la specializzazione in tiflologia [la scienza che studia le condizioni e le problematiche delle persone con disabilità visiva, al fine di indicare soluzioni per attuarne la piena inclusione sociale e culturale, N.d.R.] non serve a nulla. Va benissimo per chi non ci vede, non per chi ci vede e sa mirare bene dove colpire!
Occorre la specializzazione sulla disabilità mentale grave comportamentale, per i disturbi del neurosviluppo, un’educazione speciale che riduca questi “comportamenti problema” fin dalla scuola dell’infanzia, quando ancora la piantina è tenera e ammette correzioni.
Così come per la disabilità mentale intellettiva occorre conoscere e saper utilizzare il linguaggio facile da comprendere. I nostri insegnanti fanno fatica a imparare come si può fare per una disabilità, non possiamo del resto pretendere che siano tanti Leonardo da Vinci!
Sono tutte conoscenze che si dovrebbero apprendere all’inizio e poi praticare con continuità durante la propria carriera, accumulando esperienza su più casi con lo stesso tipo di disabilità, fra loro inevitabilmente diversi, con la supervisione periodica di un esperto in quel tipo di disabilità.
Anche in molti ospedali e dipartimenti pediatrici specializzati il bambino con problemi come quelli di cui si è detto viene tenuto soltanto se c’è un parente che lo assiste, altrimenti viene rispedito a casa. Sono pochissimi, infatti, gli ospedali che provvedono con proprio personale ai momenti di crisi.
La madre, in genere, viene asservita e quando il figlio cresce diventa una vera e propria vittima di “schiavitù familiare”, caregiver coatta fino allo sfinimento fisico e psichico. Non vengono forse in mente il libro e il film Non si uccidono così anche i cavalli?…
E ancora, gli educatori arrivano sempre in coppia, per motivi di sicurezza, mentre sempre la madre resta da sola, perché spesso succede che il padre se ne sia andato via di casa. Se poi il ragazzo ha una crisi durante la visita domiciliare, succede anche che lo psichiatra e l’infermiere presenti fuggano dall’appartamento e che egli dia fuoco alla casa.
Sono esempi, purtroppo, reali e recentissimi.