Ci troviamo sempre più spesso a riflettere sui toni giornalistici ad effetto, sui termini e relativi significanti utilizzati per raccontare le vicende che riguardano le persone con disabilità e le loro famiglie, in particolare per le ripercussioni che hanno sulla nostra quotidianità e sulla percezione sociale che tendono a generare intorno alla disabilità stessa.
Un esempio è la notizia comparsa qualche tempo fa su «L’Espresso» e «la Repubblica», riguardante una mamma che ha scelto, pare su richiesta della scuola, di seguire in classe il proprio figlio autistico, ricoprendo di fatto, il ruolo dell’insegnante di sostegno e giungendo lei stessa, al conseguimento del diploma insieme al figlio [se ne legga già, sulle nostre pagine, a questo, a questo e a quest’altro link, N.d.R.].
All’interno di quegli articoli si dipinge la scelta materna come “un atto eroico”, una mamma dalla grande forza di volontà, una donna che ha scelto di mettere da parte il lavoro per seguire la sua missione, il figlio autistico, e non solo nell’ambiente familiare, ma anche a scuola.
Non voglio riportare ancora considerazioni sulla negligenza della scuola, sulle difficoltà di gestione dei comportamenti-problema in autismo e sull’impreparazione specifica del personale, elementi che hanno costretto quella mamma alla sua scelta; tutto questo è già stato correttamente espresso da molti. Voglio invece soffermarmi su quel messaggio mediatico così fuorviante e, a mio avviso, scorretto, che ha generato un tam tam di like e condivisioni sui social: la “mamma eroina”.
Ricevo abbastanza regolarmente chiamate dalle mamme di bambini e ragazzi con autismo che hanno problemi con la scuola. Mi raccontano che vengono chiamate a metà mattina e devono correre, lasciare ciò che stanno facendo, compreso il lavoro, per andare a recuperare i figli ingestibili a scuola.
Succede una volta, due e spesso anche di più. Qualcuno ha ricevuto la richiesta di rimanere nei paraggi della scuola per intervenire al bisogno. Qualcuno ancora deve prelevare i figli da scuola a causa delle mancata copertura di ore di sostegno e assistenza. Manifestano tutta la loro difficoltà a far fronte a queste situazioni, la paura di perdere il lavoro, il disagio nella gestione della quotidianità. «Cosa devo fare?», mi chiedono.
Il mio consiglio è sempre lo stesso: non cedete alle richieste della scuola, se vi chiamano troppo spesso per intervenire in seguito a una crisi, non intervenite.
Non è affatto facile, perché un genitore pensa al disagio provato in quelle circostanze dal proprio figlio, alle conseguenze che quelle crisi possono avere sul bambino o ragazzo e sul percorso di recupero fatto e da fare, a quanto dannoso possa essere un intervento di persone impreparate. E così si adattano, cedono, magari arrivando all’eccesso di sostituire il personale preposto all’inclusione scolastica del figlio, come nel caso narrato inizialmente.
Ma non è corretto farlo, non lo è perché già da bambini si impara che se c’è qualcuno che risolve il problema si può evitare di affrontarlo. Non è educativo per il sistema dell’inclusione scolastica che, così, non progredisce.
Perciò non trovo affatto opportuno diffondere come “eroica” questo tipo di scelta, trovo decisamente più coraggioso dire di no, nonostante la paura delle ripercussioni sul proprio figlio.
Coloro che rifiutano di intervenire realizzano che se non migliora il sistema, non può migliorare nemmeno l’inclusione e scelgono la soluzione che è solo apparentemente la più semplice: lasciare alla scuola la sua responsabilità di gestire i comportamenti-problema dei propri alunni con autismo.
Lanciare il messaggio che quella scelta faccia di quella mamma un’eroina, non solo non aiuta il sistema a crescere e a migliorarsi, ma lascia intendere che il comportamento opposto non sia altrettanto coraggioso, alimentando la frustrazione e il senso di inadeguatezza di quei genitori che, pur con grandi patemi d’animo, lasciano alla scuola il suo ruolo e le sue responsabilità.
Per il futuro, dunque, speriamo di leggere sempre di più storie di ordinaria inclusione in cui nessuno sia eroe, ma normale attore di un processo di crescita per il singolo e per l’intero sistema scolastico.