Lo spunto di riflessione offerto sulle pagine di «Superando.it» da Emanuela Buffa [“Il Sottosegretario e il rischio di autoghettizzarsi”, N.d.R.] è sicuramente suggestivo! Tuttavia mi chiedo se in realtà non “ci autoghettizziamo” in ogni secondo della nostra vita… Già infatti la nostra società non ci riconosce quali cittadini con pari diritti e pari dignità, ci definisce attraverso l’Organizzazione Mondiale della Sanità “persone con disabilità”, ci legifera con leggi ad hoc, l’inserimento scolastico prevede un sistema di assistenza specialistica individuale con insegnanti differenziati, si parla di “aule di sostegno” o “aule multidisciplinari”, esistono Delegati e Assessori al Sociale, Uffici Disabili, Associazioni-Coordinamenti-Consulte-Osservatòri in difesa dei diritti delle persone disabili e quindi persone nominate o elette che li rappresentano…
Non abbiamo mai considerato utile e inclusivo un Ministero dedicato alla disabilità; altra cosa sarebbe avere un referente al Governo, quindi un Sottosegretario, che ci potesse rappresentare e avvicinare ad un dialogo autenticamente rivolto ai bisogni di chi vive una condizione di vita diversa. Altrimenti, cara Emanuela, dovremmo noi stesse autosospenderci dall’essere io Elena Improta, presidente di una ONLUS in favore delle persone con disabilità complessa ad alto carico assistenziale e tu coordinatrice del Gruppo Genitori per il diritto al Lavoro delle persone con disabilità intellettiva di Torino.
Quando questo accadrà, sarà veramente una società senza diseguaglianze e non esisterà più nemmeno chi si occuperà di violenze di genere e di pari opportunità.
E come dice la mia amica e compagna di battaglie Irene Gironi Carnevale, «Il Sottosegretario non è la panacea, attenzione, ma non solo è una promessa fatta e mancata da parte di un Presidente del Consiglio, bensì un interlocutore. Nessuno più di me vuole uscire dal “ghetto della disabilità”, tanto è vero che mi batto per una legge sull’imprenditoria per disabili e non per un aumento delle misere pensioni, almeno per i disabili in grado di lavorare. Vivo in una città dove, al contrario di altre virtuose, non c’è nulla per un disabile adulto e devo andare a stanare assistenti sociali e persone preposte alla disabilità, senza di solito ottenere alcunché. Perciò, ripeto, avere la certezza di un interlocutore mi sembra il minimo sindacale di decenza, dal quale proseguire verso orizzonti più ampi. Per ora permane il nulla».