«Proprio perché riguarda il corpo, la disabilità ci pone da sempre quesiti decisivi. Lo statuto di inferiorità assegnato agli individui con tali caratteristiche è la risposta. Le biografie di un eroe del Risorgimento, di un letterato e di ignoti individui, il potere sociale e culturale della religione, i silenzi sugli infortuni nel sistema di fabbrica e le insufficienti forme di riparazione, la costruzione della figura dell’infermo da parte di un quotidiano e della letteratura italiana sono il banco di «trasformazione della storia in natura» (Pierre Bourdieu). Il debito simbolico è il modo stesso con cui tutti pensiamo e consideriamo gli individui dal corpo menomato, è il fardello con cui deve fare i conti il loro percorso sociale. Esaminare la lunga eredità che la storia ci ha lasciato è il primo passo per costruire modalità capaci di arginare processi di inferiorizzazione ritenuti “naturali”. In alternativa, non si può che assistere, e contribuire, al perpetuarsi di rapporti che, per quanto misconosciuti, restano di forza e di dominio».
E questa la presentazione editoriale del libro Il debito simbolico. Una storia sociale della disabilità in Italia tra Otto e Novecento, dato da poco alle stampe da Matteo Schianchi, dottore di ricerca in Storia Sociale della Disabilità all’Ecole des Hautes Etudes en Sciences Sociales di Parigi e assegnista di ricerca al Dipartimento di Scienze Umane per la Formazione “R. Massa” dell’Università di Milano-Bicocca.
Di Schianchi vanno senz’altro ricordati anche La terza nazione del mondo. I disabili tra pregiudizio e realtà (Feltrinelli, 2009) e Storia della disabilità. Dal castigo degli dèi alla crisi del welfare (Carocci 2012, 8 ristampe), ampiamente presentati anche sulle nostre pagine (a questo e a questo link).
Andando oltre la stessa presentazione editoriale, abbiamo voluto direttamente parlare con l’Autore di questa sua nuova pubblicazione.
Com’è nato questo nuovo libro?
«Il testo è stato discusso come tesi di dottorato presso l’Ecole des Hautes Etudes en Sciences Sociales di Parigi ed è stato particolarmente apprezzato, non solo perché affronta questioni e temi nuovi per lo scenario italiano, ma per l’approccio complessivo alla questione che propone argomentazioni e apre filoni di ricerca inediti. La versione in francese è già uscita presso l’Harmattan all’inizio di quest’anno [“Le social derrière le handicap. Étude historique du cas italien, L’Harmattan, 2019, N.d.R.]. Il testo italiano, tuttavia, contiene ulteriori e nuovi elementi di elaborazione e analisi».
Qual è la prospettiva da cui viene analizzata la disabilità?
«Il libro si colloca all’interno di una mia attenzione ai temi della disabilità come questione antropologica fondamentale: la disabilità è, da sempre, una delle possibili varianti dei corpi di uomini e donne e, da sempre, pone decisive questioni sociali, simboliche e dell’immaginario. In particolare, ho cercato di affrontare alcuni temi secondo una prospettiva pluridisciplinare: storia sociale e culturale, sociologia, antropologia, letteratura.
La prospettiva è sia teorica, nel tentativo di fornire chiavi di lettura generali al tema in questione, sia di ricerca sul campo, attraverso un lavoro d’archivio e sulle fonti particolarmente intenso».
L’“invenzione della disabilità” – si legge nel Debito simbolico – arriva con la prima guerra mondiale. Risulta quindi particolarmente interessante l’arco cronologico preso in esame, precedente cioè a quell’“invenzione”.
«L’arco cronologico e il terreno d’inchiesta, spesso centrato sulla realtà di Milano, sono un’occasione per analizzare alcuni meccanismi socio-culturali, nello specifico la sedimentazione e il rinnovamento di dinamiche di inferiorizzazione dell’infermo nel corpo (termine in uso nella storiografia internazionale in luogo di disabilità che, per l’epoca analizzata, sarebbe anacronistico) prima dell’“invenzione della disabilità”, appunto con la prima guerra mondiale.
L’analisi e i concetti proposti intendono rappresentare uno stimolo anche per l’epoca contemporanea».
Vediamo ora le singole parti in cui è diviso il volume, a partire dalla prima, in cui lo strumento della biografia appare particolarmente rilevante.
«Nella prima parte del testo, dopo avere esplicitato, praticamente, le difficoltà di cogliere la questione, mi sono indirizzato sullo strumento biografico. È un tema particolarmente decisivo anche su un piano teorico.
Sul campo lo affronto attraverso carteggi e memorie che permettono di ricostruire alcuni elementi della biografia di due uomini illustri, la cui infermità ha avuto un peso rilevante, pur non essendo mai stata studiata: l’eroe risorgimentale e uomo politico Benedetto Cairoli, e il letterato Gian Pietro Lucini.
Alla fine di questa sezione ho formulato la nozione di debito simbolico, come categoria (storica e contemporanea), per cogliere la questione della disabilità. Ispirata alla sociologia di Pierre Bourdieu e al suo concetto di violenza simbolica, questa nozione è utile per cogliere la lunga storia di letture sociali e dell’immaginario che inferiorizzano l’infermo attraverso un meccanismo di rovesciamenti delle cause e degli effetti. Non è il deficit corporeo che produce questa inferiorizzazione, ma è questa visione inferiorizzante che legge il dato corporeo, decretando lo statuto di inferiorità dell’individuo. Questa lettura cerca e trova, nell’oggettività corporea dell’infermo, le ragioni che la giustificano.
La nozione di debito simbolico, inedita negli studi sul corpo e sulla disabilità, è più che una chiave, uno strumento teorico che permette di cogliere, nel passato ma anche nel presente, gli effetti dell’infermità nel mondo sociale degli individui».
Nella seconda parte, invece, è centrale il ruolo della “costruzione sociale dell’infermo”, sociale e culturale.
«Qui siamo di fronte ad alcuni meccanismi, tra pratiche e discorsi, che ci mettono davanti alla lunga storia e al rinnovamento di schemi di pensiero e azione che inferiorizzano la figura dell’infermo.
Particolarmente apprezzata dal Jury della tesi di dottorato – poiché affronta un terreno storiografico completamente inedito – è l’analisi di un certo numero di casi di dispensa per irregolarità per difetto corporeo, dispositivo a cui deve sottoporsi il sacerdote il quale, a causa della sua infermità, è “indegno e irregolare” nell’esercizio del suo ministero.
Questo terreno, che intercetta l’elaborazione teologica e la pratica religiosa, mette in mostra alcuni meccanismi socio-culturali piuttosto interessanti per cogliere le dinamiche di inferiorizzazione di chi ha un corpo infermo. La costruzione religiosa dell’infermità è inoltre analizzata anche a partire dalla medicina pastorale, disciplina del corso di formazione dei sacerdoti.
Nuovamente a cavallo tra “costruzione sociale dell’infermo” da parte delle prime forme di intervento sociale (mutualismo e assicurazioni sul lavoro) e “costruzione culturale dell’infermo” da parte delle istanze operaiste e sindacali, è stato analizzato il fenomeno degli infermi causati dagli incidenti all’interno del sistema di fabbrica.
Insieme all’opacità e all’insufficienza dei dispositivi che dovrebbero fornire le prime forme di riparazione, i discorsi e i silenzi attorno a questi “novelli infermi” rappresentano, nel periodo storico analizzato, nuove forme che contribuiscono all’inferiorizzazione dello statuto dell’infermo. In particolare queste analisi si concentrano sulla lettura marxista dell’infermità».
Infine, la costruzione dell’immaginario sull’infermità, con ampio spazio riservato anche alla letteratura.
«Sì, la terza parte riguarda l’analisi di alcune pratiche discorsive con un grande potere di costruire l’opinione pubblica e un immaginario sull’infermità: le cronache del «Corriere della Sera» e un corpus di oltre cento testi letterari divisi per generi diversi (verismo, scapigliatura, De Amicis, Invernizio, letteratura d’inchiesta, letteratura del buon operaio ecc.).
Secondo una lettura rispetto alla quale è proprio la letteratura che “inventa” il tema dell’infermità, prima che esploda con la prima guerra mondiale, in conclusione a questa sezione riprendo alcune categorie formulate da Umberto Eco per cogliere meccanismi che attraversano questo corpus letterario e capaci di costruire un potente immaginario sulla questione.
Nelle conclusioni finali si pone quindi nuovamente la questione della costruzione dell’oggetto di ricerca all’interno degli studi sulla disabilità, un campo molto articolato, conflittuale e fortemente orientato verso l’azione e il coinvolgimento. Un’occasione di riflessione e dibattito a molte delle analisi e degli approcci che oggi affrontano i temi della disabilità». (S.B.)
Matteo Schianchi, Il debito simbolico. Una storia sociale della disabilità in Italia tra Otto e Novecento, Roma, Carocci, 2019, 432 pagine, 39 euro (33,15 tramite web).