È stata pubblicata nei giorni scorsi dalla rivista «Science» una ricerca internazionale che si può dire abbia letteralmente raddoppiato le conoscenze sulla genetica della sclerosi multipla. Gli studiosi, infatti, hanno identificato una mappa genetica dettagliata della malattia e descritto l’implicazione funzionale dei geni nelle cellule del sistema immunitario coinvolte nella stessa.
A condurre lo studio è stato l’IMSGC (International Multiple Sclerosis Genetic Consortium), gruppo internazionale che studia la genetica della sclerosi multipla, composto da più di ottanta centri di ricerca in tutto il mondo.
In sostanza, la ricerca ha permesso di identificare oltre duecento regioni del genoma umano che influenzano un gran numero di diverse cellule immunitarie, evidenziando il fatto che la sclerosi multipla non è causata da un singolo tipo di cellula immunitaria, ma piuttosto da un’ampia disfunzione del sistema immunitario.
Lo studio è stato condotto su 115.803 persone e gli autori hanno identificato 233 siti o loci nel genoma umano che contribuiscono all’insorgenza della malattia. È quasi superfluo annotare trattarsi della più grande ricerca finora condotta nel mondo sulla sclerosi multipla, basata sul generoso contributo di materiale genetico di 47.429 pazienti con e di 68.374 individui sani.
«I risultati dello studio – spiega Philip De Jager, che dirige il Centro di Sclerosi Multipla e il Centro di Neuroimmunologia Traslazionale e Computazionale presso il Columbia University Irving Medical Center di New York, ed è l’autore corrispondente dello studio stesso – confermano e ampliano i risultati precedenti, offrendo una nuova prospettiva sugli eventi molecolari che portano alcuni individui allo sviluppo della malattia: sembra infatti che la disfunzione di molti diversi tipi di cellule immunitarie, sia nel sangue periferico che nel cervello, contribuisca a innescare una cascata di eventi che alla fine portano all’infiammazione cerebrale e alla neurodegenerazione».
Si tratta dunque di un’importante pietra miliare nell’identificare quali varianti genetiche svolgano un ruolo nello sviluppo della sclerosi multipla e i risultati ottenuti influenzeranno la maggior parte dello sviluppo di algoritmi clinici per gestire le persone a rischio di sviluppare la malattia, oltre allo sviluppo di trattamenti per prevenirla.
Tutti i trattamenti attuali, infatti, mirano a fermare l’infiammazione già in corso, cosicché lo studio della genetica della sclerosi multipla ha aperto una prospettiva unica sui primi eventi che portano alla malattia e che ora possono essere presi di mira dagli sforzi di sviluppo di farmaci. Tutto ciò anche se nemmeno questo studio ha potuto chiarire perché alcuni pazienti abbiano un decorso più grave di altri, e tuttavia l’IMSGC sta cercando di dare una risposta anche a questo quesito con altri progetti in corso.
«La nostra ricerca – sottolinea Nikolaos Patsopoulos, direttore del Programma di Biologia dei Sistemi e Scienze Computazionali presso il Centro Ann Romney per le Malattie Neurologiche del Brigham & Women’s Hospital e della Harvard Medical School di Boston – spiega circa metà dell’ereditarietà della sclerosi multipla, fissando quest’ultima come una delle malattie complesse meglio caratterizzate in termini di architettura genetica. Inoltre, si è potuto evidenziare la complessità del contributo genetico alla suscettibilità alla sclerosi multipla, identificando diverse regioni del genoma con molteplici varianti genetiche che svolgono un piccolo ruolo. E da ultimo, ma non ultimo, si è segnata la prima associazione in assoluto di variante genetica nel cromosoma X con la sclerosi multipla, una malattia che colpisce principalmente le giovani donne. In tal senso si può dire che questo studio abbia più che raddoppiato la nostra conoscenza della genetica della malattia, anche se i nostri risultati suggeriscono che c’è ancora molto lavoro da fare per comprendere appieno come il genoma umano sia coinvolto in essa».
Essendo la sclerosi multipla caratterizzata da una fase infiammatoria iniziale e da una componente neurodegenerativa secondaria, il gruppo di ricerca ha esaminato attentamente i dati disponibili dal cervello umano, per valutare se i cambiamenti nelle cellule cerebrali contribuiscano all’insorgenza della malattia. Fino ad ora, infatti, sembrava che le cellule immunitarie trovate nel sangue provenienti dal midollo osseo svolgessero un ruolo critico; il nuovo studio lo conferma, ma coinvolge anche la microglia, ovvero quelle cellule immunitarie che vivono nel cervello umano. Ci sono tuttavia poche evidenze che altre cellule cerebrali come i neuroni, che trasportano i segnali elettrici nel cervello, siano implicate nell’innescare la patologia.
A coordinare la ricerca nel nostro Paese è stata Sandra D’Alfonso, docente di Genetica Medica presso il Dipartimento di Scienze della Salute dell’Università del Piemonte Orientale, che collabora con la Clinica Neurologica dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria Maggiore della Carità di Novara e lavora al coordinamento del PROGEMUS, una rete italiana di centri impegnati sulla sclerosi multipla che ha partecipato allo studio; insieme a lei, Filippo Martinelli Boneschi, docente di Neurologia presso all’Università di Milano e attualmente afferente all’Unità Operativa di Neurologia della Fondazione IRCCS Cà Granda dell’Ospedale Maggiore Policlinico di Milano (entrambi membri del Gruppo Strategico dell’IMSGC), e Federica Esposito, responsabile del laboratorio di Genetica Umana delle Malattie Neurologiche presso l’IRCCS Ospedale San Raffaele di Milano e pure componente dell’IMSGC.
Per la parte italiana lo studio è stato finanziato dalla FISM, la Fondazione Italiana Sclerosi Multipla che opera a fianco dell’AISM (Associazione Italiana Sclerosi Multipla).
«Questo studio – dichiara D’Alfonso – è un ottimo esempio di collaborazione tra gruppi di ricerca a livello internazionale e di coordinamento dell’estesa rete di centri italiani che studiano la sclerosi multipla; infatti, solo attraverso tale sinergia si possono raggiungere risultati ad alto impatto scientifico».
«La ricerca – aggiunge Esposito– rende conto dell’attività svolta quotidianamente da chi si occupa di sclerosi multipla, contribuendo a sensibilizzare sia i pazienti sia i soggetti sani verso una sempre maggiore partecipazione attiva a progetti che amplino le nostre conoscenze sulla malattia».
«La comprensione e la conoscenza forniti da questo lavoro della mappa dei fattori genetici di rischio della sclerosi multipla – conclude Martinelli Boneschi – potrebbero permettere di selezionare i soggetti a maggiore rischio di malattia e di comprendere più a fondo i meccanismi di interazione con i già noti fattori ambientali di rischio, come ad esempio i bassi valori di vitamina D nel sangue, il fumo di sigaretta e l’obesità». (B.E. e S.B.)
Per ulteriori informazioni e approfondimenti: Ufficio Comunicazione AISM (Barbara Erba), barbaraerba@gmail.com.
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