«Siamo “ricchi”, ma non sappiamo come spendere i soldi: è questo il paradosso della Sicilia in materia di disabilità e non solo!».
A denunciarlo è il presidente dell’ANFFAS Sicilia (Associazione Nazionale Famiglie di Persone con Disabilità Intellettiva e/o Relazionale) Giuseppe “Pippo” Giardina. «In particolare – spiega – la situazione riguarda migliaia di famiglie che devono convivere con un disabile grave e gravissimo, affrontando ogni giorno numerose avversità, dovute proprio alla mancanza di servizi, che potrebbero notevolmente migliorare la loro vita».
A tal proposito si pensi ad esempio all’assistenza domiciliare, al trasporto nelle scuole, solo per citare le situazione più conosciute. Tuttavia, questi servizi stentano a partire o sono mal ripartiti tra coloro che ne hanno un reale bisogno, perché manca una seria programmazione.
Ma andiamo per ordine e torniamo alla questione iniziale, quella dei finanziamenti.
La mancanza di fondi è la scusa dietro la quale da sempre si trincerano tutti, soprattutto i Comuni, che lamentano, in continuazione, di non avere risorse necessarie per rispondere alle esigenze dei cittadini, soprattutto per quanto riguarda il Terzo Settore. Eppure, con dati alla mano, è dimostrabile che le cose stanno in maniera diversa.
«Ad oggi – dichiara infatti il presidente dell’ANFFAS Sicilia – sono stati assegnati ai cinquantacinque Distretti Siciliani, in materia di disabilità, circa 120 milioni di euro che non sono stati spesi». Di questi, in particolare, 15 milioni sono stati assegnati dal 2016 per il cosiddetto “Dopo di Noi” e proprio questi fondi, se non si spenderanno entro dicembre, verranno persi definitivamente, ciò che accadrà successivamente con le altre somme previste per l’assistenza alle persone con disabilità.
Una situazione davvero grave e incresciosa, quindi, che necessita di essere denunciata, ma soprattutto di essere affrontata e risolta da chi di dovere.
Va ricordato che la Legge 112/16 sul “Dopo di Noi” (Disposizioni in materia di assistenza in favore delle persone con disabilità grave prive del sostegno familiare) prevede che coloro che hanno una disabilità grave e non hanno più in vita i genitori, oppure se questi ultimi non sono in grado di poterli accudire, hanno la possibilità di vivere in strutture private di tipo familiare, dove poter ricevere tutta l’assistenza necessaria. Questo per far capire quanto sia importante dare delle risposte a questi genitori i quali, come e più degli altri, vivono con preoccupazione la situazione di incertezza per il futuro dei loro figli.
Ci si chiede allora: perché se le leggi ci sono, i fondi ci sono, si deve rischiare di mandare tutto in fumo? Che cosa manca, in concreto, per attuare la legge e spendere i fondi?
«È necessario innanzitutto – dichiara Giardina – redigere il cosiddetto “progetto di vita” che può essere definito la “carta d’identità del disabile”. Da questo documento, infatti, emergono i suoi reali bisogni ed è possibile individuare con chiarezza quale aiuto poter attivare per venire incontro alle sue necessità e a quelle della famiglia».
La famiglia, infatti, assume un ruolo fondamentale nella redazione del progetto di vita, insieme al Comune e all’Azienda Sanitaria Provinciale, che sono i principali attori coinvolti. Sono loro a dare vita all’UVMD, l’Unità Valutativa Multidimensionale sulla disabilità. Ma per fare ciò è necessario formare gli addetti ai lavori, in primis gli assistenti sociali, e poi fornire personale alle Aziende Sanitarie Provinciali, che, a quanto pare, non riescono a sostenere il carico di lavoro.
Insomma, come sempre la burocrazia blocca tutto, ma in questo caso c’è volta in gioco la vita di persone che non possono difendersi da sole.
Un’ultima cosa, infine, è necessario far venire alla luce. Forse non tutti sanno che l’Assessorato alle Autonomie Locali e alla Funzione Pubblica della Regione Siciliana prevede che i Comuni debbano spendere almeno il 10% delle somme che vengono loro trasferite per l’assistenza ai disabili gravi e non possano utilizzarlo per altri scopi. Cosa che i Comuni non fanno quasi mai…
A questo punto non aggiungiamo altro, se non la frase di un noto politico che diceva «a pensar male si fa peccato, ma spesso ci si azzecca».
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