Ogni seconda domenica di ottobre si celebra in Italia la Giornata Nazionale delle Persone con Sindrome di Down. Quest’anno la campagna del CoorDown (Coordinamento delle Associazioni delle Persone con Sindrome di Down) ha ribadito il concetto lanciato il 21 marzo scorso, in occasione della Giornata Mondiale delle Persone con Sindrome di Down sancita dall’ONU, con lo slogan Non lasciate indietro nessuno, per ricordare a tutti che solo maggiori opportunità a scuola, nel mondo del lavoro e nella vita sociale possono portare alla piena inclusione per ogni persona con disabilità.
Sono campagne potenti, quelle di CoorDown. E scomode, come avevo già avuto modo di scrivere a suo tempo su queste stesse pagine. Già, ma chi sono le persone con la sindrome di Down?
Certo, sappiamo che presentano determinate caratteristiche fisiche, che non si tratta di una malattia, ma di una diversità cromosomica. Sappiamo che non si dice “mongoloide”, che è offensivo; e che non si dice “persona down” perché identifica la persona con la sua condizione. Non si scrive mai Down in minuscolo perché è il nome dello scienziato che scopri e studiò la sindrome, John Langdon Down; di sicuro, quindi, non vuol dire “giù”. E poi – se ne facciano una ragione i giornalisti – si dice “persone con (o che hanno) la sindrome di Down”.
Sì, abbiamo acquisito nel tempo sempre più informazioni su di loro. Ma davvero sono queste le risposte alla domanda: “chi sono?”. Ne sentiamo parlare dalle famiglie, dalle associazioni, dai media. Le vediamo al cinema, in TV, nei format come Hotel 6 Stelle. Ma mancano alla nostra esperienza diretta. Manca la loro voce, la loro autorappresentazione.
Questo è un tema molto sentito dal CoorDown, tanto che è stata creata la Consulta Giovani come strumento di dialogo e decisionale, mettendo quali protagoniste delle campagne di comunicazione internazionali persone reali che esprimono le proprie opinioni. E scegliendo di promuovere in ogni evento pubblico la self advocacy (“autotutela”), come avvenuto negli ultimi due anni, quando in rappresentanza del CoorDown e di tutti i ragazzi sono state selezionate per la Conferenza Mondiale delle Nazioni Unite del 21 marzo due giovani donne adulte con sindrome di Down.
Quindi il Coordinamento ha fatto partire nei mesi scorsi mesi scorsi la prima indagine nazionale sul tema Ora parlo io! e a oggi sono 650 i questionari compilati, un risultato importante che permetterà di scoprire in modo diretto le percezioni e i pensieri di un numero significativo delle persone con sindrome di Down.
I primi dati analizzati ci dicono che tra chi va a scuola l’85% durante le lezioni sta in classe con i compagni (per il 63% tanto e per il 22% abbastanza). Al 73% degli studenti con sindrome di Down vengono assegnati compiti a casa e il 44% degli intervistati dichiara di fare gli stessi compiti dei compagni. Questo è un dato nazionale. Solo nelle prossime settimane la ricerca chiarirà il contesto e la partecipazione Regione per Regione e si potrà avere un quadro più preciso su ogni singolo territorio.
Va evidenziato che le 650 persone che hanno risposto all’indagine di Ora parlo io! sin dall’infanzia hanno partecipato ai percorsi di inclusione messi in campo dalle Associazioni a livello locale e mostrano il forte impatto sociale di quei progetti.
E c’è poi un libro, Giù per la salita. La vita raccontata da uomini e donne con Sindrome di Down, scritto da Martina Fuga e Carlo Scataglini.
«Questo libro – vi si legge nella Prefazione – racconta storie di vita piena, certamente difficile, spesso in salita; una vita tuttavia possibile e con buone probabilità felice, non tanto perché le persone con sindrome di Down siano sempre allegre e contente – come fa credere uno dei più diffusi luoghi comuni sull’argomento – ma perché chi incontreremo in queste pagine ha avuto l’opportunità di realizzare se stesso, di esprimersi e di vivere esperienze colme di significato».
Le donne e gli uomini con la sindrome di Down che qui si sono raccontati senza sconti, sono adulti che ci portano lontano da quell’immaginario collettivo che lega la sindrome al mondo dell’infanzia. Nelle interviste condotte in presenza o tramite Skype, riemergono i ricordi belli e brutti della scuola, degli amici, della famiglia, dei bulli, di vizi e virtù degli insegnanti, soprattutto quelli di sostegno. E si parla dell’attualità, del lavoro, della complessità della sua ricerca, dei rapporti con i colleghi e con un mondo che è quello di tutti.
Vi emerge, fortissimo, il senso etico del lavoro, qualunque esso sia. E infine ecco i sogni, le attitudini, la creatività, gli affetti oltre la famiglia. E il desiderio di autonomia insieme a una compagna o a un compagno. O la libertà di assecondare una vocazione religiosa che ha sorpreso anche la protagonista, la quarantaseienne Cristina, più di chiunque altro.
Con l’avvertenza, in nota, che «per salvaguardare l’autenticità, il messaggio originale e l’espressività del parlato è stato scelto di intervenire in maniera minima sui testi in fase di trascrizione e redazione». È una scelta fondamentale, questa, per rendere al lettore tutte quelle sfumature della personalità e dello spirito dell’intervistato: «Alcuni sembrano spiazzanti nella laconicità vispa (e comica) delle risposte – spiega Diego De Silva nella sua presentazione – altri si mostrano come adulti consumati che si esprimono in una lingua asciutta e sorvegliata, sempre legata al concetto; e tutti contribuiscono a disegnare la mappa di un mondo in cui ogni persona che vi abita è rappresentativa soltanto di se stessa, e ogni tentativo di massificazione è destinato a fallire». Questo rende l’opera assolutamente non speculativa.
De Silva pone in parallelo Giù per la salita con un’altra opera, Vite di uomini non illustri di Giuseppe Pontiggia. Entrambe «si servono dell’apparente serialità delle biografie […] per dimostrare l’unicità e l’irripetibile valore di quelle vite che noi, a lettura conclusa, sentiamo così simili alla nostra». È qualcosa che ha a che fare con la felicità.
Quella di Giù per la salita è un’operazione mai vista. È un libro rivoluzionario perché ribalta la nostra visione sulla vita delle persone con disabilità e ci costringe a ripensare il nostro atteggiamento nei loro confronti.
Proviamo adesso a rispondere: chi sono le persone con la sindrome di Down? Ancora non ci riusciamo, vero?
Giù per la salita è dunque un libro prezioso, perché colma una grande lacuna nella cultura della disabilità, ponendoci faccia a faccia con i protagonisti, quelli che non hanno mai parlato di sé. Quelli a cui non abbiamo lesinato solidarietà e commozione, ma che non abbiamo mai ascoltato, né abbiamo avuto la curiosità di farlo.
Ecco perché non sappiamo rispondere alla domanda “chi sono le persone con la sindrome di Down?”. Perché non è oggettivamente possibile. «Perché cerchiamo di definire un loro – chiosa Martina Fuga – mentre di fatto sono persone. E tutte diverse. Possiamo solo dire chi è ciascuno di loro man mano che li conosciamo. Quando impareremo questo, saremo a cavallo».
Le interviste di questo libro, scritto soprattutto per chi non ha contezza della sindrome di Down, così come i questionari dell’indagine Ora parlo io!, ci mettono in contatto con le singole storie e ci fanno toccare con mano che non ci sono bisogni speciali, ma semplicemente umani. Un concetto, tra l’altro, che fu al centro del video lanciato dal CoorDown in occasione della campagna internazionale del 2017, denominata appunto Not Special Needs (“Non bisogni speciali”).