Sarà Emiliano Malagoli, classe 1975, cresciuto con la passione del motociclismo, il primo italiano con protesi alla gamba a tentare di correre il 3 novembre la maratona di New York e a farlo senza stampelle o handbike, ma con una normale protesi, non quindi una di quelle progettate per correre.
Otto anni fa, a seguito di un incidente stradale, Malagoli subì l’amputazione della gamba destra, mentre anche la sinistra rimase seriamente compromessa ed è oggi bloccata da ferri e viti in titanio. Quattrocento giorni dopo quell’evento, tornò in pista nel Circuito del Mugello. Sin da allora, però, il suo desiderio era che anche altre persone con disabilità potessero provare le sue stesse emozioni, tornando in sella a una due ruote.
Con questo obiettivo, quindi, ha fondato nel 2013 l’Associazione Di.Di.-Diversamente Disabili, organizzazione di centauri con diverse disabilità di cui anche «Superando.it» ha seguito in questi anni il trascinante percorso, che contando sul sostegno della cantante e atleta paralimpica Annalisa Minetti, come “madrina”, e di Lucio Cecchinello, team manager della LCR in MotoGP, quale presidente onorario, è arrivata ad organizzare il campionato italiano Octo Bridgestone Cup, e il campionato internazionale International Bridgestone Handy Race, che si svolgono all’interno della MotoGP e della WorldSBK.
In tale àmbito hanno preso parte alle competizioni, in tutti questi anni, ben 180 piloti con disabilità provenienti da 12 Nazioni. L’Associazione organizza inoltre eventi di educazione e sicurezza stradale nelle scuole e di mototerapia, oltre a corsi di guida sicura in moto per disabili e per la patente speciale AS.
In queste settimane, dunque, Malagoli ha affrontato allenamenti durissimi, fisici e mentali, per prepararsi all’impresa di New York, e una difficoltà ulteriore è data proprio dalla sua protesi: non ne esiste infatti una specifica per fare la maratona.
«Già nei primi allenamenti – spiega egli stesso – si sono presentati problemi al moncone, bruciature da struscio che in alcuni periodi mi hanno impedito di proseguire, fino a che le lesioni non si sono cicatrizzate. Certo, ho la fortuna di avere aziende e tecnici ortopedici che mi supportano, come Michelotti e Ottobock, per trovare le giuste soluzioni, ma non è assolutamente semplice. Ci vorrà molto impegno mentale per superare le difficoltà, come il dolore agli arti che sicuramente proverò, per 42 chilometri e 195 metri, circa 50.000 passi! In questa avventura, però, porterò con me tutte quelle persone che nella vita almeno una volta hanno detto “non ce la faccio”, per dimostrare che tutto è possibile. Perché possano quindi trovare anche loro la forza di superare le difficoltà che la vita spesso ti presenta, per rimuovere le convinzioni limitanti».
«E del resto – aggiunge – la maratona è il simbolo perfetto che descrive la mia vita: i momenti difficili, le prove da superare, i traguardi che sembrano impossibili, le volte in cui pensi di mollare tutto. Tanto che il titolo di questa mia avventura mi piacerebbe proprio fosse La vita? Una grande maratona! Infatti, guardandomi indietro e ripercorrendo la mia vita, potrei proprio descriverla cosi. Nella vita, come in una maratona, ci sono situazioni difficili, prove da superare, fasi in cui i traguardi sono troppo lontani, ma soprattutto momenti in cui vorresti mollare e abbandonare tutto!». (S.B.)
Per ulteriori informazioni e approfondimenti: Chiara Valentini (diversamentedisabili@gmail.com); Silvia Scafati (silvia.scafati@virgilio.it).