Con un importante pronunciamento prodotto l’8 ottobre scorso (Ordinanza n. 2501), destinato a costituire un ulteriore prezioso precedente giurisprudenziale, la Corte di Cassazione (Sezioni Unite Civili) ha confermato una precedente Ordinanza con la quale il Tribunale di Caltanissetta aveva disposto la «cessazione della condotta discriminatoria» posta in essere da un Comune ai danni di un minore con disturbo dello spettro autistico iscritto alla scuola dell’infanzia. Quel Comune, infatti, contravvenendo al PEI (Piano Educativo Individualizzato), che aveva riconosciuto «la necessità di un’assistenza alla autonomia e alla comunicazione per 22 ore settimanali», ne aveva assicurate fino a un massimo di 10.
Alla base dell’Ordinanza della Suprema Corte vi è la Legge 67/06 (Misure per la tutela giudiziaria delle persone con disabilità vittime di discriminazioni), norma sempre più degna di diffusione e visibilità, per i suoi potenziali effetti dirompenti, nella fattispecie per quanto concerne la discriminazione indiretta, qui individuata dalla Cassazione «nel comportamento omissivo dell’amministrazione pubblica preposta all’organizzazione del servizio scolastico», il cui effetto mette «la bambina o il bambino con disabilità in una posizione di svantaggio rispetto agli altri alunni».
Particolarmente chiara è l’Ordinanza n. 2501, nel riferirsi al “primato gerarchico” del PEI. «Una volta che il Piano Educativo Individualizzato – vi si legge infatti – è stato elaborato con il concorso determinante di insegnanti della scuola di accoglienza e di operatori della sanità pubblica, prospettando il numero di ore necessarie per il sostegno scolastico dell’alunno che versa in situazione di handicap particolarmente grave, l’amministrazione scolastica è priva di un potere discrezionale, espressione di autonomia organizzativa e didattica, capace di rimodulare o di sacrificare in via autoritativa, in ragione della scarsità delle risorse disponibili per il servizio, la misura di quel supporto integrativo così come individuato dal piano, ma ha il dovere di assicurare l’assegnazione, in favore dell’alunno, del personale docente specializzato, anche ricorrendo – se del caso, là dove la specifica situazione di disabilità del bambino richieda interventi di sostegno continuativi e più intensi – all’attivazione di un posto di sostegno in deroga al rapporto insegnanti/alunni, per rendere possibile la fruizione effettiva del diritto, costituzionalmente protetto, dell’alunno disabile all’istruzione, all’integrazione sociale e alla crescita in un ambiente favorevole allo sviluppo della sua personalità e delle sue attitudini [grassetti nostri in questa e nella successiva citazione, N.d.R.]».
«L’omissione o le insufficienze nell’apprestamento, da parte dell’amministrazione scolastica, di quella attività doverosa – conclude l’Ordinanza della Cassazione – si risolvono in una sostanziale contrazione del diritto fondamentale del disabile all’attivazione, in suo favore, di un intervento corrispondente alle specifiche esigenze rilevate, condizione imprescindibile per realizzare il diritto ad avere pari opportunità nella fruizione del servizio scolastico: l’una e le altre sono pertanto suscettibili di concretizzare, ove non accompagnate da una corrispondente contrazione dell’offerta formativa riservata agli altri alunni normodotati, una discriminazione indiretta, vietata dalla l. n. 67 del 2006, art. 2». (S.B.)