Giusto a trent’anni dalla caduta del Muro di Berlino, quando si pensava a una società aperta e libera, l’epoca attuale segna invece venti di separazione, rancore e odio tali da mettere in discussione quel patrimonio civile che l’inclusione sociale ed economica si prometteva.
Chi come noi si occupa dell’infinita varietà delle differenze conosce molto bene i muri che separano ed escludono non solo attraverso barriere materiali, ma soprattutto con quelle immateriali e culturali che considerano l’inclusione e l’autorealizzazione di ogni essere umano come romantica utopia.
Per questo dobbiamo allargare lo sguardo dalla scuola al mondo, riconoscendo che tra i due è in gioco, oggi, una scommessa di civiltà e di democrazia.
Al proposito non è un caso che perfino sulla drammatica esperienza umana della senatrice a vita Liliana Segre, bambina ebrea sopravvissuta ad Auschwitz, si arrivi ad intimidazioni e a polemiche incivili. Appunto, i muri mentali che sembrano rinascere.
Ecco perché rivolgiamo a Liliana Segre un grazie profondo per i valori che ci insegna e per come intende abbattere i muri del pregiudizio, del razzismo, dell’intolleranza. Allargando lo sguardo.
A questo 12° Convegno Erickson La Qualità dell’inclusione scolastica e sociale hanno partecipato 4.000 persone che si occupano di educazione inclusiva come scelta di civiltà e di valore. Erano presenti insegnanti di sostegno, curricolari, dirigenti scolastici, educatori, genitori, professionisti della pedagogia, della clinica, del sociale, studiosi e studenti.
Tutti insieme a confronto e in ricerca per costruire una comunità che non frappone muri tra professioni e poteri, ma cerca ponti, terreni comuni per il medesimo destino: rendere migliore per tutti questa confusa epoca del nostro Paese che oscilla tra pregiudizi, scorciatoie assistenzialistiche, corporativismi, un’epoca dove pare dominare il “si salvi chi può” e non invece opportunità e autorealizzazione per tutti.
Abbattere muri è il filo conduttore del nostro impegno. Che per noi è superare opacità, incertezze, ritardi che rischiano di rendere fragile la nostra esperienza inclusiva e di riprodurre ritorni al passato di pratiche educative, selettive e separative.
Inclusione è lo sguardo in avanti
Il dibattito pedagogico sul destino del nostro sistema formativo segnala nuovi muri culturali, amplificati dai media, circa il dovere di tornare a bocciare, di esaltare la lezione frontale, e il mito della vecchia grammatica e del riassunto. Segnali preoccupanti di un dibattito che volta lo sguardo all’indietro e non pensa futuro. Tutti segni di fragilità, prima di tutto culturali, che minano l’idea di una scuola inclusiva, capace di accogliere e integrare tra loro tutte le eterogeneità umane.
Sottostante all’emergere di critiche all’inclusione, c’è un’idea e ci sono pratiche che hanno al centro le discipline, la selezione, una didattica trasmissiva e rigida che non rispetta le unicità di ogni singola persona di essere, apprendere, relazionarsi.
Una professione inclusiva
Solo una prospettiva autenticamente professionale può allargare lo sguardo sul governo dei processi di innovazione e riforma per superare le fragilità del presente e realizzare quello che da anni chiediamo, vale a dire:
° formazione iniziale per tutti sulla didattica inclusiva come pratica normale e di tutti, che non riguarda solo l’insegnante di sostegno;
° formazione in servizio, obbligatoria e costante nel tempo;
° formazione dei Dirigenti Scolastici come loro competenza strutturale non accessoria;
° sviluppo dell’autonomia didattica e della flessibilità dei curricoli;
° progettazione didattico-educativa soprattutto nella scuola secondaria, con tempi e spazi adeguati;
° una filosofia contrattuale della scuola che valorizzi gli insegnanti nella misura in cui tutela i diritti degli studenti;
° docente di sostegno come partner strutturale dello sviluppo di una classe inclusiva, in cui l’atto dell’intervento didattico a favore di tutti gli alunni è competenza di tutti i docenti;
° il riconoscimento che ogni alunno, in rapporto alla propria condizione, ha diritto a una relazione che sviluppi e solleciti i potenziali con didattiche individualizzate idonee, anche speciali, ma mai escludenti e/o isolanti.
Dunque, ci aspettiamo molto dalla Politica perché sciolga i tanti nodi irrisolti, per andare oltre ai molti pregiudizi e ostacoli corporativi.
Riprendiamoci la pedagogia
Le tendenze in atto sull’interpretazione di ogni difficoltà umana in chiave clinica e certificativa hanno prodotto un confuso apparato gestionale dove domina la burocrazia sanitaria e non una logica integrata di analisi della funzionalità di ogni persona.
L’ICF [la Classificazione Internazionale del Funzionamento, della Disabilità e della Salute fissata dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, N.d.R.] non è entrata ancora, non solo nei documenti formali, ma anche nella cultura antropologica di interpretazione della vita umana.
La pedagogia si occupa di persone nella loro dimensione bio-psico-sociale, non di sintomi né di terapie palingenetiche.
Allarghiamo la squadra
La fragilità di sistema delle risorse di personale è giunta ormai a livelli di guardia. Tra docenti di sostegno senza titolo, mobilità caotica del personale, la presenza di altre professionalità mal connesse alla realizzazione di una comunità educante organica, l’esito è di un’inclusione spesso precaria, in cui l’eccellenza sembra dipendere dal caso più che da una visione sistemica.
Vi sono questioni di natura contrattuale, di programmazione seria della formazione e gestione delle risorse che vanno sanate. Troppo spesso abbiamo ancora l’impressione che i bambini siano più pretesto per i posti che un progetto educativo di qualità. Questo per quanto riguarda i docenti.
È giunto però il momento di andare oltre e di avere il coraggio di proporre nuove forme istituzionali e organizzative anche per le altre figure professionali che gravitano nella scuola per l’inclusione. Per questo condividiamo le ipotesi di lavoro a cui stanno lavorando alcuni membri della commissione scuola dell’ANCI (Associazione Nazionale Comuni Italiani) su due figure professionale strategiche:
° Gli educatori professionali per l’autonomia, anche in relazione alla recente “Legge Iori”. Va decisamente superata la loro condizione di essere considerati “accessori di copertura”, realizzando invece una loro utilizzazione, sia dentro che fuori la scuola, come “ponti” in grado di creare relazioni significanti costruendo autonomia. Quindi, non un optional affidato ai Comuni con metodi casuali e realizzati nelle logiche degli appalti sociali. L’internalizzazione di questa professione come organica al sistema formativo pubblico è un obiettivo importante. Supererebbe il cottimo di una professione lasciata al caso e favorirebbe un lavoro di comunità integrato, non costerebbe nulla, se non il trasferimento di fondi da un’amministrazione a un’altra.
° La maturazione di un profilo professionale più maturo nelle attività di assistenza di base affidato doverosamente ai collaboratori scolastici, con una competenza e formazione specifica che superi anche la confusione presente in alcuni territori con gli Operatori Socio Sanitari, immaginando un profilo di collaboratore che potrebbe essere denominato “OSE” (Operatore Socio Educativo), garantendo quindi più organicità e professionalità.
Per una governante locale inclusiva
Dobbiamo riconoscere che si stanno logorando le relazioni tra scuola, servizi sociali, sanitari e famiglie in ordine a una comune realizzazione del “Progetto di vita” per ogni persona.
Impacci burocratici, ma anche difficoltà culturali e pregiudizi, lasciano la scuola spesso da sola o attorniata da controparti. È indispensabile un salto di qualità: l’approccio multidisciplinare e il dialogo multiprofessionale sono le premesse perché l’inclusione funzioni.
Spazio alla ricerca e alla documentazione
Troppo spesso le nostre opinioni sulla qualità dell’inclusione sono più di carattere personale o episodico che più rigorosamente scientifiche. Inoltre, la raccolta e la disseminazione delle cosiddette buone prassi sono aleatorie. Anche i sistemi di valutazione dell’inclusione sono al momento incerti.
È indispensabile aprire una stagione, più intensa e strutturata, di ricerca pedagogica e di ricerca didattica, svolte non solo dal sistema universitario, per avere un quadro più realistico e meno enfatico di come va l’inclusione e per cogliere le fragilità ed eccellenze presenti ai diversi livelli.
Ciò servirebbe anche a replicare con i fatti agli “inclusio-scettici” che in Europa, e anche in Italia, non credono nella scuola inclusiva.