L’Italia l’ha ratificata nel 2013, rendendola la Legge 77/13 del nostro Paese, ma non l’ha ancora fatto l’Unione Europea, pur avendola sottoscritta il 13 giugno 2017, e nemmeno una serie di Paesi appartenenti all’Unione stessa (Bulgaria, Lettonia, Lituania, Repubblica Ceca, Slovacchia e Ungheria).
Parliamo della Convenzione di Istanbul (Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica del 2011), rispetto alla quale, dunque, l’EDF, il Forum Europeo sulla Disabilità, ha voluto diffondere un comunicato, in occasione della Giornata Internazionale per l’Eliminazione della Violenza contro le Donne di ieri, 25 novembre, per chiedere appunto all’Unione Europea e a tutti i suoi Paesi Membri che non l’abbiano ancora fatto, di ratificare quella Convenzione, «proteggendo in tal modo anche tutte le donne e le ragazze con disabilità dalla violenza e dagli abusi, compresa la sterilizzazione forzata».
Sono essenzialmente cinque, secondo l’EDF, i motivi per cui l’Unione Europea dovrebbe ratificare la Convenzione di Istanbul, così come di seguito elencati:
«1. La violenza contro le donne minaccia la sicurezza di metà della popolazione dell’Unione Europea, colpendo oltre 250 milioni di donne e ragazze, con implicazioni sulla loro salute fisica e mentale per tutta la vita.
2. Le donne con disabilità hanno da 2 a 5 volte più probabilità di essere vittime di violenza rispetto alle donne senza disabilità e sono soggette a sterilizzazione forzata e ad aborti contro la loro volontà. Le persone con disabilità psicosociali sono a più alto rischio, soprattutto se segregate in istituti.
3. L’accesso alla giustizia e ai servizi di supporto e protezione è spesso impossibile a causa della mancanza di accesso, di barriere legali e di altro tipo. Un esempio è dato dalla situazione delle donne e le ragazze con disabilità che vivono in istituti, private della loro capacità giuridica, o di servizi disponibili, ciò che impedisce loro di accedere alla giustizia e ai servizi citati. Infatti: le stazioni di polizia e i rifugi per le vittime spesso non sono accessibili alle donne a mobilità ridotta; non è prevista l’interpretazione in Lingua dei Segni per le donne sorde e/o sordo cieche; le informazioni generali non sono disponibili in formato Braille e Easy to Read [“facile da comprendere”, N.d.R.].
4. L’attuazione della Convenzione di Istanbul andrà a vantaggio della vita delle donne in Europa, comprese le donne e le ragazze con disabilità, e dimostrerà il forte impegno dell’Unione Europea per porre fine alla violenza contro tutte le donne e le ragazze che meritano di vivere una vita libera da ogni forma di violenza.
5. La ratifica contribuirà all’attuazione della Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità, di cui l’Unione Europea e tutti i suoi Stati Membri sono parti contraenti, nonché della Convenzione ONU sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione della donna (CEDAW), che tutti gli Stati Membri dell’Unione hanno ratificato».
«Insieme al nostro Comitato Donne – conclude il comunicato del Forum – abbiamo unito le forze con l’EWL, la Lobby Europea delle Donne e con altre organizzazioni per i diritti delle donne, nell’àmbito della Coalizione per porre fine alla violenza contro le donne e le ragazze, che ha anche lanciato la petizione denominata Rise Up Against Violence, già sottoscritta da oltre 150.000 persone». (S.B.)
Ringraziamo Luisella Bosisio Fazzi per la collaborazione.
Per approfondire il tema della violenza nei confronti delle donne con disabilità, suggeriamo innanzitutto di accedere alla Sezione La violenza nei confronti delle donne con disabilità nel sito di Informare un’H-Centro Gabriele e Lorenzo Giuntinelli, Peccioli (Pisa).
Sul tema più generale Donne e disabilità, si può invece fare riferimento al lungo elenco di testi da noi pubblicati, presente a questo link, nella colonnina a destra dell’articolo intitolato Voci di donne ancora sovrastate, se non zittite, oltreché alla Sezione Donne con disabilità, anch’essa nel sito del Centro Informare un’h.