È dedicato a Pierluigi Cappello, suo amico e poeta friulano scomparso due anni fa, il libro Il tuo sguardo illumina il mondo (Solferino, 2018), che Susanna Tamaro ha utilizzato per ripercorrere la propria vita. Ed è proprio pensando al suo amico, che la scrittrice riesce a trovare un parallelismo tra la sedia a rotelle usata da quest’ultimo (che aveva una disabilità motoria), e la propria «sedia a rotelle invisibile», quella che le deriva dall’avere la sindrome di Asperger, una forma di autismo cosiddetta “ad alto funzionamento”, che solitamente non comporta significativi ritardi a livello cognitivo e nello sviluppo del linguaggio.
Una scoperta tardiva, quella di Tamaro, e quasi casuale, dopo i cinquant’anni, in seguito ad un aggravamento della sintomatologia. «Come l’ho scoperto? In sala d’attesa dal medico, lessi un articolo in occasione della Giornata Mondiale dell’Asperger e notai che tutti quei sintomi che erano elencati ce li avevo. Poi mi sono recata in un centro specializzato e lì ho avuto la certezza della diagnosi», ha raccontato in un’intervista rilasciata qualche mese fa al quotidiano «Il Sole 24 Ore» (Enza Moscaritolo, Asperger: Susanna Tamaro “Soffro di questa sindrome, la mia sedia a rotelle invisibile”, 18 febbraio 2019).
«Io ho avuto problemi sin dall’asilo – si leggeva in un altro passaggio dell’intervista -: passavo per una bambina matta, con gravi disturbi, drammaticamente timida, ossessiva. Ho preso psicofarmaci e calmanti sin da piccolissima, anche perché non dormivo di notte e camminavo in casa, aprendo i cassetti. Ero molto stressata. E non ero compresa, ovviamente».
Potremmo pensare ad un caso isolato, ma la verità è che i disturbi dello spettro autistico sono sempre stati considerati disturbi maschili, e che, ancora oggi, sono veramente pochi gli studi che tengono conto della variabile del genere, e che evidenziano come essi possano manifestarsi nelle donne con caratteristiche molto diverse.
Il risultato è che l’autismo femminile finisce spesso per non essere rilevato, e che le donne che ne sono interessate ricevono diagnosi tardive, oppure non le ricevono affatto, con pesanti conseguenze per la salute e la qualità della loro vita. Può dunque accadere che queste donne si ritrovino a passare l’intera vita, o una parte significativa di essa, a porre in essere strategie compensative che consentano loro di integrarsi e mimetizzarsi con le altre persone, ma che hanno un costo emotivo e mentale molto importante. Strategie che, paradossalmente, contribuiscono a rendere invisibile il disturbo e a procrastinare la diagnosi.
Ha detto sempre Tamaro: «Mi accorsi che ero sempre stanca perché dovendo, in qualche modo, vivere secondo convenzioni sociali e dinamiche che non mi appartenevano – e per le donne questo è ancor più vero perché tendono a mascherare questa condizione – provavo una stanchezza tremenda. Ero costretta a “fingere” una natura che non era mia, e dunque avevo un enorme dispendio di energie. Mi sforzavo perché mi colpevolizzavo di non essere all’altezza».
Sulle differenze di genere nella manifestazione dei disturbi dello spettro autistico, e in particolare della sindrome di Asperger, il magazine «OggiScienza» ha recentemente pubblicato un ottimo approfondimento di Eleonora Degano, biologa e comunicatrice scientifica, dal titolo Autismo femminile, dalla diagnosi alle neuroscienze.
Ben argomentato e documentato, il testo mette in luce che «nella diagnosi dei disturbi dello spettro autistico c’è ancora un forte bias di genere, che porta tante donne a vivere tutta una vita sentendosi diverse senza mai capire perché. Con conseguenze anche gravi per la salute mentale».
Il problema è sempre il solito: la convinzione che il sesso e il genere di appartenenza siano fattori irrilevanti nella salute e nella qualità della vita delle persone. Nella realtà, invece, uomini e donne si ammalano diversamente, e tali differenze dovrebbero essere considerate nella prevenzione di tutte le malattie (e delle disabilità), nello studio differenziato dei loro sintomi, nell’individuazione di specifici percorsi diagnostici, e nella stessa interpretazione delle diagnosi, nei test di valutazione sull’uso dei farmaci e sul loro dosaggio, nella scelta dei trattamenti.
Sono tutte istanze che possono trovare un’adeguata risposta solo nell’approccio interdisciplinare delineato dalla medicina di genere che, appunto, si propone di studiare l’impatto del sesso e del genere sullo stato di salute delle persone e sullo sviluppo delle patologie.
Nelle tante testimonianze delle donne con sindrome di Asperger che hanno ricevuto una diagnosi, è frequente scorgere il sollievo di poter finalmente trovare una collocazione al proprio disagio, e strategie per gestirlo.
«Saperlo […] è importante – ha dichiarato ancora Tamaro – perché si comprende la ragione di tanti problemi e si può arrivare a gestire la propria vita quotidiana con serenità, consapevoli dei propri limiti. Scoprirlo è stata un’illuminazione che ha cambiato tutta la mia vita».
Ecco, spesso, quando si parla di questioni di genere, si fa fatica a far capire quale sia la loro reale incidenza sulla vita delle bambine, delle ragazze e delle donne. Tamaro, che, essendo una scrittrice, conosce bene il significato delle parole, usa l’espressione «un’illuminazione che ha cambiato tutta la mia vita». Può bastare questo come motivo per iniziare ad occuparsene?
Per approfondire il tema trattato, oltre alle fonti indicate nel corso del testo, segnaliamo anche:
° Roberta Bacchio e Morena Salvati, L’autismo invisibile: caratteristiche delle donne nello spettro, in «Istituto A.T. Beck», 19 dicembre 2017.
° Marta Impedovo, Ragazze Asperger, la metà incompresa della sindrome, in «La Finestra sulla Mente», 21 giugno 2017.
° Il sito Spazio Asperger.