Riflettendo sulla tragica vicenda accaduta l’altro giorno ad Orbassano (Torino), che ha visto una madre uccidere la figlia di 42 anni, persona con disabilità intellettiva e fisica [se ne legga già anche sulle nostre pagine, N.d.R.], mi ha colpito molto che una coppia di genitori pluriottantenni si occupassero da soli dell’unica figlia, ultraquarantenne con disabilità multiple e gravi.
Nei vari articoli che ho letto, i cui più dettagliati sono apparsi ovviamente su «La Stampa» di Torino, non si fa cenno di assistenza domiciliare, né di un progetto per la vita di indipendente, né di interventi di sollievo per questi anziani genitori.
Ho letto dei vicini che aiutavano negli spostamenti (?!) al bagno: esistono, però, quelle cose che si chiamano ausili, che permettono a chi ha una ridotta mobilità di spostarsi e consentono ai loro caregiver di operare in totale sicurezza, specie quando si tratta di disabilità motorie legate ad un peso della persona importante, come è scritto nel caso di Silvia.
Esiste poi, o dovrebbe esistere, un servizio per cui chi ha al proprio domicilio una persona con disabilità motoria beneficia di una consulenza volta a modificare l’ambiente in cui si vive, rimuovendo le barriere e istruendo la famiglia sulle soluzioni migliori per fare meno fatica possibile.
Ho letto solo di un Presidente di Associazione che parla e spiega come la mamma avesse chiesto un luogo dove poter essere ricoverata insieme alla figlia, in modo da poterla assistere e contemporaneamente essere assistita, dato che di recente aveva subito una frattura del femore che sappiamo essere un evento molto pericoloso dopo una certa età. Le è stato risposto, in maniera per nulla professionale, nonché poco rispettosa della situazione delicata e dell’età della richiedente, che non esiste una struttura che possa ospitare insieme una persona con disabilità e una persona anziana. Eh già. Non esiste.
Mi meraviglia molto che in un piccolo centro della provincia di una delle città più grandi d’Italia non vi sia una rete di interventi attorno a una famiglia come quella di Maria, Silvia e Clemente. Quante famiglie così ci sono a Orbassano?
Non era necessario trovare una struttura, ma bastava applicare un po’ di leggi esistenti, come quella sull’assistenza domiciliare, educativa, oppure elaborare un progetto di vita indipendente (Legge 162/98), attivare un assegno di cura, grazie al quale ingaggiare un operatore socio sanitario o o un assistente che si occupasse, al posto dei genitori, di tutto quanto fosse necessario per consentire a Silvia di condurre una vita dignitosa e magari avere dei diversivi, stando a contatto con gente nuova. Non esiste, ad esempio, da quelle parti un’Associazione che si occupi di animazione per persone con disabilità anche grave?
Si è parlato anche, negli articoli di stampa, della Legge 112/16 sul “Dopo di Noi”, il grande “babau”, quest’ultimo, dei genitori di figli con disabilità.
Su quella Legge, fatta male, non mi soffermo. Il “Dopo di Noi” lo devi costruire “Durante Noi” e “durante noi” esiste quel fenomeno che purtroppo in Italia è invisibile, non riconosciuto e che da oltre vent’anni attende una legge che normi e tuteli il settore: questo fenomeno si chiama caregiving familiare.
Siamo – perché anche io sono una madre come Maria – quasi 9 milioni di persone in Italia ad occuparsi di un familiare non autosufficiente, che non significa solo il genitore anziano, ma è appunto il figlio con disabilità, il coniuge, il genitore magari oncologico grave, accudito dal figlio anche minore (esistono pure i caregiver minorenni); insomma, le tipologie di caregiving sono svariate.
La legge dovrebbe inquadrare tutte queste persone come lavoratori e quindi beneficiari di servizi e tutele, come qualsiasi altro lavoratore. Per accudire i nostri cari, la maggior parte di noi, che sono poi le donne, lascia il lavoro perché il carico assistenziale impone l’affiancamento ventiquattr’ore su ventiquattro e quindi c’è anche un impoverimento del nucleo familiare.
Ora pensiamo a te, che hai oltre 40 anni, sei sola, con l’aiuto di tuo marito (se ce l’hai, perché molto spesso, nei casi di figli con grave e plurima disabilità, i mariti abbandonano nei primissimi anni di vita, lasciando la madre a vedersela da sola), che non hai nessuna cognizione medica, infermieristica, di fisioterapia ecc., che ti devi ingegnare a fare tutto questo e a farlo ogni giorno, tutti i giorni per sempre. Non ci sono sabati o domeniche o feste o ferie che tengano, nessuno ti sostituisce, se ti ammali è un dramma e quindi non ti ammali (!) oppure non ti curi come sarebbe necessario, perché non puoi lasciare tuo figlio.
Ci sono studi e ricerche che documentano come il rischio di burn out [esaurimento psicofisico, N.d.R.] sia altissimo, ma sia come sia, questo è un lavoro usurante, che consuma e diminuisce la speranza di vita (addirittura fino a un massimo di diciassette anni in meno!). E così si organizzano convegni, incontri, dibattiti, ma noi rimaniamo entità invisibili, non soccorse.
Come poi la gente “normale”, che non abbia cioè esperienza diretta di caregiving familiare, percepisca il fenomeno, appare in tutta la sua sconcertante evidenza nel Disegno di Legge S.1461 (Disposizioni per il riconoscimento ed il sostegno del caregiver familiare), depositato per iniziativa parlamentare della senatrice Simona Nunzia Nocerino e presentato come il frutto del lavoro di tutte le parti politiche e la summa del meglio in assoluto, per rispondere ai bisogni di noi caregiver familiari.
Ebbene, in quel testo noi siamo «volontari che assistiamo il nostro caro» (anche per quarant’anni). E lo facciamo solo per amore, perché è disdicevole chiedere dei soldi per fare quello che una mamma dovrebbe fare di default. Già: tutte le mamme sono esperte di disabilità, malattie genetiche patologie rare ecc. ecc. e hanno fatto studi approfonditi sulla neuroriabilitazione, la didattica speciale la tecnologia assistiva e così via.
E quanto risparmia lo Stato Italiano grazie a noi volontarie?
Tutto quello che ci spetta, in questo Disegno di Legge, è il prepensionamento… Certo, noi tra un cambio di catetere, un monitoraggio del ventilatore meccanico/saturimetro o il praticare le manovre anti crisi epilettica, “freschi come fiori”, andiamo per otto ore al lavoro, lasciando non si sa a chi il nostro caro… E purtroppo ci sono quelli che a lavorare sono costretti, perché altrimenti non avrebbero i soldi per fare nulla, dato che poi la pensione di invalidità per una persona maggiorenne è di 290 euro al mese, altra gravissima vergogna tutta italiana.
La disabilità grave è un “lusso”, costa tantissimo, chi non la sperimenta non può sapere ciò che serve poiché i tagli ai servizi sanitari sono stati imponenti specie ovviamente per quel che riguarda la disabilità e tu ti ritrovi a dover comprare tutto, se ci riesci, di tasca tua.
Comunque un altro aspetto del fenomeno caregiving è appunto il gesto estremo: quando il genitore non vede più via d’uscita, fa quello che ha fatto Maria a Orbassano. Spesso, poi, riesce a completare l’opera non sopravvivendo. Perché chi arriva a questo estremo, dopo quarant’anni di assistenza alla figlia non è un omicida qualunque. E di solito, appunto, si toglie anche la vita.
Se qualcuno si prendesse la briga di cercare, per il solo anno 2019, scoprirebbe quanti genitori (e non solo genitori) abbiano scelto questa “soluzione”. Ma bisogna saper cercare bene, perché spesso questi episodi sono liquidati come semplici fatti di cronaca nera, come l’ultimo in ordine di tempo, accaduto a Verona il 22 novembre scorso.
Spero che chi dovrà giudicare Maria abbia ben presente il quadro. A lei, noi genitori caregiver mandiamo un grosso abbraccio perché possiamo immaginare quali sentimenti stia provando ora.
Alle Istituzioni sollecitiamo di attivarsi e fare rete, specie tra Enti diversi, in modo da tutelare il più possibile queste famiglie: è sufficiente fare comunità e da lì poi nascono le idee e le iniziative.
Pensiamoci: anche dei volontari che si fossero alternati per leggere un libro o un giornale a Silvia, quale grande terapia sarebbe stata, perché il problema principale per noi famiglie di caregiver è la solitudine in cui ci troviamo.
L’Associazione Genitori Tosti in Tutti i Posti ha attivato recentemente la campagna denominata #UnaleggebuonaXtutti, per il riconoscimento del caregiver familiare come lavoratore, con reddito, tutele e pensione.
«Il caregiver familiare – si legge nel lancio dell’iniziativa – è il genitore che assiste il proprio figlio, il figlio che assiste il proprio genitore, il coniuge che assiste il proprio partner, un parente che assiste un proprio familiare».