Oggi vivono nelle grandi aree urbane di tutto il mondo più di 600 milioni di persone con disabilità, oltre il 60% della popolazione con disabilità del pianeta e l’8% della popolazione mondiale, percentuali destinate a crescere.
Negli ultimi anni, nelle grandi metropoli – a prescindere se situate in un Paese ricco o povero – la condizione sociale delle persone con disabilità è notevolmente peggiorata. Si è sviluppato, causa la decadenza dei valori umani, un senso di frammentazione, insicurezza e disagio che incide in maniera importante sulla condizione delle persone che vivono con una disabilità.
Il problema non è solo di natura economica, con difficoltà crescenti nell’inserimento di una persona con disabilità nel mondo del lavoro, ma è anche legato al diffondersi di una povertà culturale che ha favorito l’instaurarsi di modelli compassionevoli e demagogici, dalla risposta facile, incapaci di dare soluzioni a lungo termine.
Credo infatti che sul fronte del sostegno alle marginalità si sia sviluppata una crescita dell’assistenzialismo, definibile come una “bontà residuale”, una sorta di “elemosina” elargita sotto forma di dono, mentre io credo che assicurare il benessere delle persone con disabilità dovrebbe discendere dal diritto inalienabile a un’esistenza dignitosa.
Il tema della disabilità viene trattato sempre più come fenomeno deleterio da ricacciare e ci si ritrova a ragionare di politiche sociali e inclusione più in consessi privati che nei luoghi deputati. Ma una politica che trasforma una persona con disabilità in un “fantasma”, che cancella l’identità, aumenta l’insicurezza e l’emarginazione anziché favorire il dialogo e la convivenza.
Oggi diventa necessario contrastare politiche sociali e culturali frammentarie, c’è bisogno di uno sguardo globale sul tema della disabilità. Per non confinare la marginalità in luoghi chiusi, dobbiamo liberare le persone dalla disabilità per renderle partecipi alla vita sociale. Una sfida che partendo dalla sofferenza urbana, dal benessere e dalla salute mentale, non coinvolge soltanto questioni mediche, ma suscita una riflessione sulle buone e le cattive politiche, investendo la sfera del diritto di cittadinanza e lo sviluppo di una comunità pienamente democratica e partecipativa.
Meno solidarietà (spesso solo a parole), più diritti! Questa è la richiesta alla politica: il perdurare della mancanza dei Decreti Attuativi per rendere esigibili i nuovi LEA (Livelli Essenziali di Assistenza), i tagli alle politiche inclusive stanno costringendo alla chiusura molti servizi, quelli più vicini ai cittadini con disabilità, eppure continuiamo a lottare per costruire diritti e condizioni di vita più dignitose.
Come ricordava don Milani, non c’è nulla di più ingiusto che dividere parti eguali tra persone diseguali!
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