L’uso del digitale ha ricadute umane, dunque reali, enfatizzare l’estraniazione cui il virtuale può condurre è fin troppo facile. E se i moderni videogiochi potessero aiutare le persone con disabilità?
C’è un’esperienza che mi ha colpito per impiego della tecnologia e target dei beneficiari, nonché per i risultati ottenuti. Iniziamo dal target: i videogiochi di cui sto parlando sono stati sviluppati a partire da una ventina di piccoli utenti fra i 3 e i 12 anni, con patologie neurologiche complesse, della Fondazione milanese Together to go (Fondazione Tog).
Si tratta di bambini con disabilità molto impegnative, per i quali i movimenti sono difficoltosi e le potenzialità cerebrali almeno parzialmente inesplorate. Sono piccole persone per cui è ingegnoso realizzare un mezzo di interazione con l’ambiente che sia utile e dilettevole, come la loro età esige che sia.
Il mezzo individuato è l’eye-tracking, cioè quel sistema che consente di interagire con il computer mediante il movimento degli occhi. Guardando il videogioco sullo schermo, i bimbi possono interagire fissando lo sguardo su alcuni punti del monitor. Contemporaneamente un terapista segue la sessione di gioco da un tablet separato, visualizzando i movimenti dello sguardo del bambino. In questo modo l’operatore può comprendere cosa il piccolo stia guardando, traendone dati utili sia dal punto di vista clinico che terapeutico.
Via via che il gioco prosegue, il software tara la risposta dello stesso sul singolo bambino, in modo da renderlo più funzionale. Simmetricamente, l’operatore che osserva i movimenti oculari del fanciullo dalla sua prestazione separata può aiutarlo in caso di difficoltà, facendo produrre al gioco segnali sonori o apposite animazioni in maniera invisibile. Cioè operando senza che il bambino sia distratto dalla sua presenza fisica.
L’uso dei giochi sta evidenziando facoltà cognitive di cui i terapisti della Fondazione non avrebbero potuto accorgersi in mancanza di un sistema che aggirasse le difficoltà motorie dei piccoli, per metterli in condizione di manifestare le proprie attitudini.
L’apparato si chiama Top! Together to Play, e consiste in una suite di dieci videogiochi coprogettata dal polo di ricerca e progettazione OpenDot e dalla Fondazione Tog, con il contributo dello studio di progettazione multidisciplinare Dotdotdot, del gruppo di lavoro WeAreMuesli, dell’IRCCS Istituto Mondino di Pavia e del laboratorio PHuSeLab dell’Università di Milano.
Mi piace sottolineare che l’apparato è stato messo a punto in conseguenza di un’esigenza dei bambini, quelli della Fondazione Tog, che consisteva nel miglioramento del loro benessere e che ha trovato risposta in un’organizzazione pronta a collaborare, fornendo il meglio della tecnologia. Questa realtà è la già citata OpenDot, la stessa di cui avevo già avuto occasione di scrivere, su queste stesse pagine, a proposito dei guantini che facilitano la comprensione delle tabelline.
La collaborazione tra Fondazione e progettisti è emblematica di come anche richieste estreme possano trovare soluzioni efficaci grazie alla disponibilità delle persone e dei mezzi. Il digitale è un’opportunità, non un “mostro”!
Tornando ai giochi, tre servono a favorire l’apprendimento della tecnologia del tracciamento oculare, quattro «a rafforzare l’esplorazione sistematica, i paragoni visivi, il discernimento tra classi di oggetti e la deduzione logica» e altri tre per l’intrattenimento, utili a sfogare l’aggressività.
I videogiochi che aiutano a esplorare la realtà sono basati sui cosiddetti “giochi di strada”, cioè quelli che si facevano una volta nei cortili, tipo “ruba bandiera”. È bello constatare come bambini che fanno un’incredibile fatica a interagire con l’ambiente possano fare i giochi che fanno tutti.
Il progetto è partito lo scorso anno e si concluderà nel 2021, con l’obiettivo di fornire informazioni di valore scientifico sull’approccio terapeutico adottato. Da OpenDot non nascondono che un obiettivo successivo potrebbe consistere nell’effettuare sessioni di gioco in contesti non ospedalieri, per acquisire dati sullo stato emotivo del paziente, sempre difficile da rilevare quando si parla di bambini con patologie neurologiche complesse.
Quanto mi piace immaginare questi bambini che giocano! E giocando vengono aiutati a stare meglio. Viva la tecnologia, la scienza e l’umanità!