La Regione Lombardia ha ripristinato i fondi per l’assistenza delle persone con disabilità grave e gravissima che in un primo momento aveva dimezzato, con una Delibera di Giunta del 23 dicembre scorso, ma che due mozioni approvate con voto bipartisan (segreto) dal Consiglio Regionale a metà gennaio, avevano indicato di rimettere in bilancio anche per l’anno in corso [se ne legga ampiamente anche sulle nostre pagine, N.d.R.].
Allo stesso tempo, però, sempre la Regione ha posto anche restrizioni nuove che prima non c’erano, una su tutte l’ISEE (socio-sanitario per gli adulti, ordinario per i minori [della differenza tra queste due categorie si legga nel box in calce, N.d.R.]) come criterio di accesso alle risorse erogate, questione che ha provocato forti proteste da parte delle Associazioni e delle opposizioni al presidente della regione stessa Attilio Fontana.
«Non siamo soddisfatti dalla Delibera XI/2862 approvata il 18 febbraio dalla Giunta, manca una chiara strategia a lungo termine e constatiamo che la quota minima erogata effettivamente è scesa dai 1.000 euro circa del 2018 a quasi la metà di oggi», ripetono all’unisono le principali organizzazioni attive sul territorio lombardo. Bisogna fare perciò una battaglia sui diritti e non arretrare, perché una norma a livello nazionale determina la quota minima da stanziare per la non autosufficienza a 400 euro. La Lombardia, una delle aree più ricche d’Europa, dovrebbe dare l’esempio alle Regioni meno virtuose e la persona dovrebbe restare al centro delle considerazioni della politica, senza diventare un numero qualunque all’interno di calcoli di bilancio. I soldi a livello regionale destinati al settore sanitario non mancano e bisogna sostenere anche tutti quei cittadini con disabilità grave e gravissima che hanno più bisogno e si trovano in condizione di estrema fragilità.
La quota minima della cosiddetta “Misura B1” per l’assistenza personale (derivante dal Fondo per la Non Autosufficienza) torna così, come nel 2019, a 600 euro mensili per 7.044 disabili gravissimi, con 300 euro aggiuntivi nei casi di particolare gravità e necessità del richiedente. Si tratta, ad esempio, dell’utilizzo del respiratore notturno, o in relazione a bisogni complessi correlati a situazioni di dipendenza vitale e stati vegetativi e in assenza di personale regolarmente impiegato, ma con un caregiver familiare impegnato nell’assistenza diretta. È stato confermato inoltre che in caso di riconoscimento di buono mensile di 600 euro al disabile gravissimo che frequenta la scuola, per i mesi di luglio e agosto lo stesso contributo viene innalzato a 900 euro a compensazione del maggior onere assistenziale per il caregiver familiare dovuto al periodo di chiusura della scuola.
La soglia massima è stata aumentata a 1.700 euro mensili, ma in gran parte è coperta da voucher sanitari che non tutti i fruitori della Misura B1 richiedono o possono utilizzare per migliorare la loro qualità di vita. In particolare le persone con la SLA (sclerosi laterale amiotrofica), ma non solo loro, non possono usufruire di questi voucher, perché rappresentano un particolare servizio sanitario effettuato da personale OSS (Operatori Socio Sanitari), che non può trattare queste persone per le loro peculiari esigenze di cura e assistenza personale ventiquattr’ore su ventiquattro.
«Ci danno dei voucher aggiuntivi che non ci servono», protestano a tal proposito alcune Associazioni di persone con la SLA. La stessa Commissione Sanità del Pirellone ha ammesso nella seduta del 18 febbraio che questi voucher sono sostanzialmente dei «servizi recepiti da una piccola minoranza degli aventi diritto», mentre secondo le Associazioni locali che difendono i diritti delle persone con disabilità, «solo 1 su 5 dei cittadini in condizione di disabilità gravissima, che risultano essere presi in carico a dicembre 2019, ha fatto richiesta di questi voucher opzionabili oltre ai 600 euro». «In sostanza – aggiungono – invece di potenziare la quota minima per tutti, si offre la possibilità di utilizzare dei voucher sanitari, senza però che vengano effettivamente usati dai richiedenti della Misura B1».
C’è chi considera questo ripristino un “bicchiere mezzo pieno”, altri sostengono invece che si stia continuando un percorso inesorabile di tagli. Di sicuro è importante anche rimarcare che il problema non è solo lombardo, anzi, ma è evidente che siamo in presenza di una crisi complessiva del welfare italiano e non solo.
ISEE Ordinario e ISEE sociosanitario
L’ISEE (Indicatore della Situazione Economica Equivalente) serve a fornire una valutazione della situazione economica delle famiglie, tenendo conto del reddito di tutti i componenti, del loro patrimonio e di una scala di equivalenza che varia in base alla composizione del nucleo familiare. Esso tiene conto di particolari situazioni di bisogno, prevedendo trattamenti di favore per i nuclei con tre o più figli o dove siano presenti persone con disabilità o non autosufficienti. L’ISEE è necessario per l’accesso alle prestazioni sociali la cui erogazione dipende dalla situazione economica familiare.
L’ISEE ordinario (o standard) contiene le principali informazioni sulla situazione anagrafica, reddituale e patrimoniale del nucleo familiare. Questo tipo di Indicatore vale per la maggior parte delle prestazioni.
L’ISEE sociosanitario è utile per l’accesso alle prestazioni sociosanitarie, come l’assistenza domiciliare per le persone con disabilità e/o non autosufficienti, l’ospitalità alberghiera presso strutture residenziali e semiresidenziali per le persone che non possono essere assistite a domicilio. Le persone con disabilità maggiorenni possono scegliere un nucleo più ristretto rispetto a quello ordinario. Per esempio, una persona maggiorenne disabile non coniugata e senza figli, che vive con i genitori, in sede di calcolo ISEE può dichiarare solo i suoi redditi e patrimoni.
(fonte: INPS)