Dopo avere annotato che le misure adottate dal Decreto 18/20, cosiddetto “Cura Italia”, non contengono alcun riferimento di tutela delle persone con disabilità in base ai trattati internazionali e ai princìpi della Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità, vogliamo evidenziare quanto segue.
I cittadini con disabilità sono detentori degli stessi diritti umani di tutti gli altri? La loro assistenza è o non è un servizio essenziale? Meglio: senza assistenza, le persone con disabilità sono in grado di restare in vita? Queste sono le domande a cui si deve rispondere per chiarirsi in un lampo le idee.
Perché a tal punto è chiarissimo a chiunque che, dalla nostra Costituzione a tutte le Convenzioni Internazionali e Concordati vari, si comprende come l’assistenza alle persone con disabilità e in generale ai cittadini in condizione di estremo svantaggio sociale, economico e sanitario, siano un obbligo prioritario dello Stato e non della famiglia che rientra tra le stesse condizioni di svantaggio!
In una situazione emergenziale come quella attuale, dove le Istituzioni stesse faticano – con tutti gli strumenti e il potere di cui dispongono – ad organizzare e a garantire l’assistenza, si sta forse chiedendo agli individui in condizione di assoluta fragilità di organizzare da soli l’assistenza che permette loro di vivere?
L’unico supporto aggiuntivo che sembra concepire il Governo è una maggiore possibilità di liquidità che, in un contesto nel quale non si evince una necessità assistenziale, può permettere l’iniziale organizzazione di un nucleo familiare, ma che, invece, può rappresentare addirittura un ostacolo e una maggiore fonte di pericolo nei contesti di persone singole e famiglie con persone non autosufficienti o in condizione di fragilità.
Si rifletta, ad esempio, sui furti negli appartamenti che avvengono ora e che si concentreranno soprattutto nelle abitazioni di persone sole e fragili.
Si rifletta, inoltre, su tutte le situazioni connesse all’assistenza indiretta e alla vita indipendente: le persone con disabilità non autosufficienti che vivono a casa con il supporto degli assistenti personali che fine faranno, se abbandonate per la fuga di ritorno nei Paesi di origine di molte e molti “badanti”?
E ancora, pensiamo al rischio di contagio in cui incorrono, per il fatto che le/i loro assistenti devono comunque avere un turnover, oltre che dover uscire per fare la spesa, andare dal medico ed espletare le varie azioni di supporto necessarie alla vita quotidiana, sia per gli assistiti che per loro stesse/i.
Un ulteriore enorme bacino di rischio è costituito poi dall’intera rete delle RSD, le Residenze Sanitarie per Persone con Disabilità le quali, in caso di contagio, diventerebbero vere e proprie “case epidemiche”, costringendo a morte certa i residenti. Serve quindi una riconduzione di assistenza equiparabile a quella sanitaria, di tipologia ospedaliera.
È alla luce di tutto quanto detto, che proponiamo qui di seguito una serie di emendamenti al Decreto “Cura Italia”, da noi ritenuti necessari.
Citando la Dichiarazione Universale sulla Bioetica e i Diritti Umani dell’Unesco e la Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità, ricordiamo innanzitutto che i princìpi di base da applicare in ogni provvedimento dello Stato, delle Regioni, Comuni ed Enti locali sono quelli della non discriminazione e dell’eguaglianza di opportunità.
Alle «situazioni di rischio ed emergenze umanitarie» la Convenzione ONU dedica un apposito articolo (l’11°), che obbliga gli Stati Membri ad adottare, «in conformità agli obblighi derivanti dal diritto internazionale, compreso il diritto internazionale umanitario e le norme internazionali sui diritti umani, tutte le misure necessarie per garantire la protezione e la sicurezza delle persone con disabilità in situazioni di rischio, incluse le situazioni di conflitto armato, le emergenze umanitarie e le catastrofi naturali», richiedendo «agli specialisti sanitari di prestare alle persone con disabilità cure della medesima qualità di quelle fornite agli altri» (articolo 25).
Su tale indicazione, e per contrastare efficacemente la diffusione dell’epidemia inerente al coronavirus nei confronti delle persone con disabilità e di tutti i cittadini in condizione di fragilità a rischio, si rende necessario provvedere con le seguenti disposizioni a tutela dei servizi di assistenza domiciliare, compresi quelli erogati in modalità “indiretta”, e ogni formula di finanziamento connesso alla vita indipendente proveniente dalla normativa ministeriale, regionale e, a cascata, da tutti gli Enti Locali.
Per chiarire meglio, in aggiunta al dettato dell’articolo 48 relativo ai servizi domiciliari del Decreto “Cura Italia”, il quale prevede che «le pubbliche amministrazioni forniscano, avvalendosi del personale disponibile, già impiegato in tali servizi, dipendente da soggetti privati che operano in convenzione, concessione o appalto, prestazioni in forme individuali domiciliari o a distanza», chiediamo la costituzione immediata in ogni regione di Unità Speciali di Pronto Intervento, per individuare le condizioni di estrema fragilità e rischio di isolamento, al fine di:
° Verificare e garantire l’erogazione delle prestazioni sanitarie, sociosanitarie e assistenziali a domicilio, compreso il servizio di consegna dei farmaci, alle persone con disabilità o anziane che vivono da sole e/o con assistenti familiari e/o assistenti personali (cosiddette/i “badanti”); alle famiglie monoparentali con persone non autosufficienti; alle famiglie con pluriproblematicità (persone anziane, con patologie gravi e/o non autosufficienza); alle famiglie con elevata conflittualità che vivono in ambienti insalubri; alle famiglie di persone con disabilità neurologiche non contenibili in regime di quarantena.
° Verificare e garantire, con un’apposita modifica a integrazione del citato articolo 48 del Decreto “Cura Italia”, a tutela dei servizi e sostegni di assistenza domiciliare e assistenti personali (badanti), la continuità di ogni intervento economico in vigore, relativo all’assistenza fornita in modalità indiretta, ai Piani Individuali per la Vita Indipendente (sia derivanti da Fondi Regionali che dal Fondo Ministeriale stabilito dal Decreto Direttoriale 669/18), nonché agli assegni di cura.
° Salvaguardare ogni rischio di incolumità e isolamento dovuto a ritardi nell’erogazione o, peggio, per rimodulazioni al ribasso da proibire con forza, perché causano l’interruzione dei contratti di lavoro e la fuga degli assistenti (al contrario, si dovrebbe invece aumentare decisamente la dotazione delle misere risorse attuali nelle prestazioni in forme individuali domiciliari, soprattutto per quelle formule di assistenza indiretta che tutelano proprio il “restare a casa”).
° Attuare controlli nell’intera rete delle RSD (Residenze Sanitarie Disabili), che in caso di contagio si trasformerebbero in gravissimi focolai di epidemia, per definire una metodologia di assistenza equiparabile a quella sanitaria di tipologia ospedaliera.
° Procedere ad effettuare il test di positività al coronavirus nei confronti delle suddette categorie di persone, allo scopo di garantire gli interventi della filiera assistenziale in sicurezza e, nel caso di conferma del test, assicurare la necessaria profilassi della fase successiva (ricordando che l’abbandono da parte degli assistenti è in gran parte dovuto al processo mediatico che ha erroneamente contribuito a caratterizzare in modo generalizzato negli anziani e nelle persone con disabilità i soggetti più esposti al contagio del virus).
° L’individuazione delle situazioni di rischio e di emergenza va effettuata tramite la ricognizione anagrafica dei nuclei composti da una sola persona molto anziana o con disabilità, la segnalazione dei medici curanti di individui già in carico dei servizi sociali, la segnalazione di esposti o denunce delle Forze dell’Ordine, la verifica del funzionamento del servizio di consegna gratuita dei farmaci a domicilio.
° A seguire, si deve contattare telefonicamente ogni persona – ciò che si fa normalmente con le vendite promozionali – per verificare l’eventuale assenza di una rete sociale, con domande tipo «ha un assistente attualmente?», «il suo assistente vive con lei?», «ha un parente che sente regolarmente almeno una volta al giorno?», «la sua abitazione è a poca distanza dalla parrocchia e/o da servizi quali la farmacia, gli alimentari ecc.?», «abita in un appartamento poco accessibile (molto piccolo, con scale, mal ridotto, troppo isolato ecc.)?».
Le persone che non rispondono al telefono vanno contattate direttamente in casa, anche chiedendo ai vicini le stesse notizie (se avevano un assistente, da quanto tempo non li vedono affacciarsi alla finestra o non li sentono muoversi in casa e così via).
° Verificare la possibilità di trovare un vicino o un abitante nel medesimo quartiere, “responsabile” della detta persona. Ovvero, in cambio di un piccolo compenso (se titolare di Reddito di Cittadinanza potrebbe anche già riceverlo), ci si prende l’impegno, anche a giorni alterni, di bussare o citofonare al cittadino solo, in condizione di fragilità, per chiedere se ha bisogno di approvvigionamento alimentare o farmaceutico, anche fatto in concomitanza con la spesa di chi si è individuato come responsabile.
Il negoziante e il farmacista saranno pagati attraverso dei voucher rilasciati direttamente dai Servizi Sociali, in modo che possano essere verificati anche da loro, per non mettere a maggior rischio di circolazione di denaro la persona in condizione di fragilità.
° In ogni caso, per questo periodo di emergenza, la soluzione ottimale sarebbe applicare ciò che viene predisposto anche per le persone in quarantena, ma con modalità diversificate, perché i cittadini con fragilità, e soprattutto le persone con disabilità, non devono in alcun modo subire una doppia segregazione per la loro condizione.
Quindi, come si sta procedendo a utilizzare gli alberghi, occorre individuare ulteriori ambienti (villaggi vacanze, edifici con spazi verdi, come le strutture religiose o/e educative), per creare formule di cohousing (“coabitazione”), dove queste condizioni di fragilità possano essere adeguatamente protette, garantendo anche prestazioni assistenziali ventiquattr’ore su ventiquattro.
Nelle situazioni dove non è possibile applicare tali modalità, o che possano rappresentare rischi di disgregazione della rete relazionale faticosamente creata, le persone non autosufficienti devono ricevere una maggiore assistenza, non una riduzione della stessa, che può generare pericolose deleghe totalizzanti ad una persona (familiare o lavoratore che sia).
Perché, sebbene non si dovrebbe nemmeno chiarirlo, una persona che svolge il lavoro di assistenza ha necessità di turnover per staccare e riposare, tanto più adesso, altrimenti mette in grave pericolo la persona con disabilità che assiste, oltreché se stessa, ricordando inoltre che la deprivazione del sonno, la carenza di riposo, la forzata contiguità sono le premesse per psicosi depressive, atti di violenza, e/o distrazioni fatali.
Appare quindi evidente come in questo periodo, per garantire la sopravvivenza di una persona con disabilità, occorra aumentare la normale assistenza, non certo diminuirla.
Riteniamo davvero indispensabili queste indicazioni, prima che si arrivi a una situazione davvero catastrofica.