In tempi di quarantena si comprende ancor meglio quanto il tempo sia una convenzione umana. Esso si dilata e si restringe a seconda della condizione in cui ci troviamo.
In questi giorni – forse succede anche a voi – ci sono momenti in cui pare che le ore siano interminabilmente lunghe, altri invece in cui è subito sera. Oggi, ad esempio, tutto scorre molto in fretta, troppo in fretta, tanto da rendermi conto che il troppo tempo passato ad incamerare informazioni, a leggere e a scrivere sui social, non permettono alla mente di discernere esattamente l’utile dall’inutile.
C’è un aspetto, però, che mi fa riflettere, leggendo i lunghi, appassionati, a volte livorosi, interventi sui social riguardo la legittimità, l’importanza e la necessità assoluta di poter svolgere attività fisica anche in tempo di coronavirus.
Per me è incomprensibile che persone, alcune delle quali anche dotate di intelletto, antepongano il proprio diritto individuale alle necessarie restrizioni imposte dall’emergenza. Ci sarebbe molto da dire a riguardo, ma io mi voglio soffermare sul fatto che il coronavirus dimostra ancora una volta di avere dei pregi, per chi sa comprenderli.
In questo caso mette tutti in condizioni di provare ciò che centinaia di migliaia di persone con disabilità gravi e gravissime provano ogni giorno della loro vita: l’immobilità. Non solo l’immobilità fisica causata dalla disabilità o dalla malattia, ma l’impossibilità di poter uscire, socializzare, avere una vita partecipata a causa del contesto e delle limitazioni ambientali rappresentate dalle barriere architettoniche, psicologiche e culturali di questa nostra società.
Una moltitudine di persone, non una semplice percentuale, un numero, che vive in case private, residenze per anziani o disabili, in contesti familiari difficili sia dal punto di vista economico, piuttosto che psicologico e/o relazionale.
Persone abituate a giornate tutte uguali, senza sole, senza pioggia, senza imprevisti, spesso senza svago, talvolta addirittura senza interessi. Persone che potrebbero essere diverse, essere utili per se stesse e per la società in cui vivono, ma che invece sono trasparenti, esistono solo nelle percentuali, nei costi di un welfare che non solo non è adeguato, ma che non rispetta la dignità dell’uomo e il diritto di vivere una vita compiuta che dev’essere assicurato a tutti i membri di una società evoluta, democratica e giusta.
Ecco, se oggi vi sentite privati delle vostre libertà, non potendo fare la corsetta salutare per il vostro benessere psicofisico, allora state provando la stessa sensazione, o quasi, di molte altre persone che, invece, molto spesso non hanno neanche la libertà di scegliere quando farsi una doccia.
Dura la vita, vero?
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