Maria si è chiusa in bagno. Stremata. Dalle botte, dalle grida, dalla paura. Tenere chiuso in casa suo figlio Giulio, autistico, è impossibile. Le disposizioni del Governo non avevano contemplato casi come questo. Oramai lo sappiamo. Per contrastare e contenere la diffusione del coronavirus bisogna stare a casa, limitare le uscite solo per spesa, farmacia, lavoro.
Ma nella condizione di Maria, mamma sola – quindi caregiver (familiare che si occupa in forma esclusiva di un parente con disabilità) – ci sono migliaia di persone, che in questo momento stanno soffrendo più del solito e più degli altri. Persone che si sentono abbandonate dai servizi sociali, che devono fare la fila come gli altri per entrare al supermercato e in farmacia, senza un accesso prioritario (le mamme con bambini pure in aereo salgono prima, per dire).
Magari queste donne, stremate da una notte insonne, hanno il figlio con disabilità accanto, che si innervosisce e diventa irrequieto. A rischio crisi. Non possono andare da sole. Già, perché molti operatori a casa non vanno più. Troppa paura del contagio. E poi, le mascherine. Non si trovano. Per averne, chi c’è riuscito, le ha pagate anche 20 euro l’una. Scuola online per i ragazzi con disabilità neanche a parlarne. Potrebbe essere un diversivo, un modo per mantenere un contatto con l’esterno.
«Mio figlio deve uscire, altrimenti impazzisce – dice la mamma di un ragazzo con problemi psichiatrici -, siamo confinati in casa. Diventa pericoloso. Abbiamo paura. Non ce la facciamo».
Sono arrivate decine di segnalazioni come questa ad Elena Improta, presidente dell’Associazione romana Oltre lo Sguardo, donna combattiva e tenace, che ha avuto la forza di esporsi a nome di tutte le persone che vivono situazioni di disabilità in famiglia ai tempi del Covid-19.
Elena non ha avuto paura di mostrare il suo dolore davanti alle telecamere del Tg1, vicino al suo amato Mario, trentenne gravemente disabile per colpa di un parto gestito male. Elena si è battuta, ha pianto, ha lottato, ha scritto sui social, è stata notata dalla consigliera regionale Chiara Colosimo, ha contattato altre ONLUS e una giornalista del servizio pubblico (che poi sarei io).
L’altroieri eravamo al telefono a cercare di capire come affrontare la situazione. Mentre parlavamo, Elena – che era in auto – è stata fermata per un controllo.
Il poliziotto è stato gentilissimo, ha capito che stava facendo qualcosa per qualcun altro: doveva consegnare delle traverse all’amica del cuore Sara, per il suo Simone allettato. Ha mostrato il certificato, si è commossa per la gentilezza (sì, ci sono persone che ancora si commuovono quando ci si rivolge loro con delicatezza e sensibilità) e ha proseguito.
L’ultima volta che l’avevano fermata con Mario in auto, avevano pure capito. E dopo avere preso le generalità, la targa e aver fatto compilare la dichiarazione, hanno consigliato una certificazione del medico di base con su scritto lo stato di necessità, a fine terapeutici, di uscire in auto per contenere stati di ansia e aggressività dovuti alla patologia associata allo stato di quarantena. Ma i medici di base non sono stati autorizzati a farlo, rimandavano la certificazione allo specialista.
Bene. Anzi, male. Ma subito dopo è arrivata la notizia che nella Regione Lazio, alle persone con grave disabilità intellettiva, disturbi dello spettro autistico o problematiche psichiatriche e comportamentali è consentito uscire da casa per poter prevenire e gestire le crisi.
Il Sindaco di Boves, in Piemonte, solo pochi giorni fa aveva riaperto il parco ad un ragazzo con una grave disabilità, avendo compreso che per lui era al pari di una medicina salvavita.
Anche Treviso e Trento hanno concesso deroghe all’ultimo giro di vite. Con un’apposita autocertificazione si può dimostrare che si sta accompagnando il familiare in una passeggiata indispensabile per la sua salute. E Rimini ha riaperto uno spazio verde per i ragazzi autistici in quarantena (la lista sta trionfalmente aumentando nel corso delle ore, cercheremo di aggiornarla appena possibile).
Grazie alla battaglia di quelle che Elena Improta ama definire “le sorelle di cuore”, ora anche le famiglie con disabilità residenti nel Lazio potranno avere almeno un peso in meno. E Mario potrà cantare gioioso le canzoni di Masini in auto con la mamma, guardando dal finestrino il paesaggio spettrale che ci circonda, fatto di silenzio e deserto.
Quello che molte di queste famiglie vivono quotidianamente. Sentendosi trasparenti, troppo spesso vinte, ma non per questo meno forti per combattere per i propri diritti.
Sarebbe il caso che il resto d’Italia riflettesse sulle stesse misure da prendere per situazioni analoghe. E che molti di noi si rendessero conto che il nostro confinamento provvisorio è una condizione per altri perenne. Ed avere, magari, un po’ di solidarietà.
«Dopo varie sollecitazioni posteriori all’uscita di questo mio pezzo, anche il Veneto – scrive Isabella Schiavone – sta attuando deroghe per persone con queste problematiche. E la possibilità di camminare, per loro, ad oltre duecento metri da casa». Dal canto nostro aggiungiamo che di tale questione, oltre ai testi già apparsi sulle nostre pagine, in riferimento alla Lombardia, alla Provincia di Pisa in Toscana e al Friuli Venezia Giulia, è sato soprattutto diffuso un importante chiarimento a livello nazionale, da parte dell’Ufficio per le Politiche in favore delle Persone con Disabilità della Presidenza del Consiglio, di cui riferiremo domani stesso.