Insieme al Forum del Terzo Settore Lombardia, all’UNEBA Lombardia (Unione Nazionale Istituzioni e Iniziative di Assistenza Sociale) e all’Alleanza Cooperative Italiane-Welfare Lombardia, la LEDHA – Lega per i Diritti delle Persone con Disabilità, componente lombarda della FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap) – ha inviato una lettera aperta alle Istituzioni della propria Regione e a quelle Nazionali, per denunciare la drammatica situazione che stanno vivendo le persone con disabilità e fragilità, soprattutto anziane, ma non solo.
Come sottolineano infatti tali organizzazioni, «a queste persone, una volta contratta la malattia, viene negato l’accesso ai pronto soccorso e agli ospedali, lasciandole morire nei loro letti. Muoiono nelle case o nei servizi residenziali, senza potere avere accesso a tutte le cure a cui vengono invece sottoposte le persone che riescono ad essere ricoverate. Chiediamo dunque agli enti preposti di fornire al più presto agli enti gestori delle strutture residenziali tutti i presìdi di protezione, i medici, i farmaci necessari per garantire diagnosi e cure tempestive, per permettere alle persone con disabilità di qualunque età di poter accedere, almeno in condizioni di parità rispetto al resto della popolazione, alle terapie intensive quando utile e necessario».
Qui di seguito proponiamo integralmente il testo della lettera, sottoscritta anche da numerose altre organizzazioni (se ne legga l’elenco nel box in calce) (S.B.)
«Questa volta gli innocenti non sono bambini, ma persone anziane con disabilità. Ma muoiono lo stesso, a centinaia. Tanti a casa loro, molti di più nelle residenze socio-sanitarie regionali.
Sono le persone con disabilità e fragilità, soprattutto anziane ma non solo, a cui in queste settimane è stata negata ogni forma elementare di difesa dal Covid-19 e che ora stanno pagando con la vita questa negligenza.
A queste persone, infatti, una volta contratta la malattia, viene negato l’accesso ai pronto soccorso e agli ospedali, lasciandole morire nei loro letti. Muoiono nelle case o nei servizi residenziali, senza poter avere accesso a tutte le cure cui vengono invece sottoposte le persone che riescono ad essere ricoverate. Viene attuato così, in modo silenzioso, quanto già previsto dalle “Linee Guida” degli anestesisti italiani [il riferimento è alle discusse “Raccomandazioni di etica clinica per l’ammissione a trattamenti intensivi e per la loro sospensione, in condizioni eccezionali di squilibrio tra necessità e risorse disponibili”, disponibili a questo link, diffuse dalla SIAARTI- Società Italiana di Anestesia, Analgesia, Rianimazione e Terapia Intensiva, N.d.R.]: di fronte alla carenza di posti letto in terapia intensiva viene data la precedenza alle persone giovani e senz’altre patologie rispetto a quelle anziane con patologie pregresse.
Le persone che li assistono, si tratti di parenti o di operatori sociosanitari, rimangono ancora sprovvisti delle mascherine e dei dispositivi di protezione necessari per evitare di contagiare e di essere contagiati. Anche nella distribuzione “pubblica” dei DPI (Dispositivi di Protezione Individuale), infatti, sono state privilegiate, sinora, le strutture sanitarie rispetto a quelle socio-sanitarie.
Sono persone che muoiono nel silenzio: spesso non rientrano neanche nel conteggio dei “decessi per Covid-19” perché a loro è stato negato anche il diritto alla diagnosi, prima ancora che al trattamento e alla cura, come già alcuni Sindaci stanno denunciando. Persone che, si dice, “sarebbero morte lo stesso” e che invece, lo sappiamo e lo dicono anche le statistiche, se curate in modo adeguato avrebbero potuto continuare a vivere chi per uno, chi per due, chi per dieci o vent’anni.
Non vi è nulla di naturale in questa scelta crudele di sacrificare le persone più fragili, illudendosi così di salvare quelle più forti. Con le loro vite stiamo sacrificando anche la nostra dignità, la dignità di ognuno di noi. Per alcuni, per molti di loro, siamo ancora in tempo a cambiare rotta. Facciamolo!
Forniamo subito agli enti gestori tutti i presìdi di protezione, i medici, i farmaci necessari per garantire diagnosi e cure tempestive. Permettiamo alle persone con disabilità di qualunque età di poter accedere, almeno in condizioni di parità rispetto al resto della popolazione, alle terapie intensive quando utile e necessario.
Non neghiamo a nessuno la speranza e la possibilità di poter guarire e vivere».
La lettera aperta inviata alle Istituzioni della Lombardia e a quelle nazionali dalla LEDHA (Lega per i Diritti delle Persone con Disabilità), dal Forum del Terzo Settore Lombardia, dall’UNEBA Lombardia (Unione Nazionale Istituzioni e Iniziative di Assistenza Sociale) e dall’Alleanza Cooperative Italiane-Welfare Lombardia, è stata sottoscritta anche da:
ACLI Lombardia (Associazioni Cristiane lavoratori Italiane); AISM Lombardia (Associazione Italiana Sclerosi Multipla); Ancescao Lombardia (Associazione Nazionale Centri Sociali Comitati Anziani e Orti); ANFFAS Lombardia (Associazione Nazionale Famiglie di Persone con Disabilità Intellettiva e/o Relazionale); ANTEAS Lombardia (Associazione Nazionale Tutte le Età Attive per la Solidarietà); ARCI Lombardia; ARLEA (Associazione Regionale Lombarda Enti di Assistenza); Associazione Banco Alimentare Lombardia; Auser Lombardia; CNCA Lombardia (Coordinamento Nazionale Comunità di Accoglienza); CEAL (Coordinamento Enti Accreditati e Autorizzati Lombardia); Federazione Regionale Lombarda Società San Vincenzo de’ Paoli; MAC Milano (Movimento Apostolico Ciechi); MAC Varese; UILDM Comitato Lombardo (Unione Italiana Lotta alla Distrofia Muscolare).