Quest’anno la Giornata Mondiale per la Consapevolezza dell’Autismo di domani, 2 Aprile, cade nel mezzo di una situazione catastrofica in cui è difficilissimo, quasi impossibile, parlare di qualcosa che non sia il coronavirus, con il suo bollettino quotidiano di vittime, di terapie intensive intasate e sempre insufficienti e di comportamenti non solo consigliati, ma imposti per legge, che sono esattamente il contrario di quelli da sempre raccomandati come buoni e salubri fino a soli due mesi fa.
Ma questa catastrofe non cancella le altre, che da sempre, e ancor più adesso, si consumano all’interno delle famiglie nel silenzio e nell’abbandono. Tra queste vi è quella dell’autismo che, dopo essere stato considerato per decenni “colpa” della mamma, ora viene finalmente considerato per quello che è, ovvero una condizione biologica di cui, se si conoscessero le cause e la patogenesi, si potrebbero trovare terapie innovative efficaci per alleviare i sintomi o, nella migliore delle ipotesi, per cambiarne la storia naturale.
Sono queste le premesse che hanno portato qualche tempo fa alla nascita della FIA (Fondazione Italiana Autismo), che ogni anno raccoglie fondi per la ricerca scientifica e che lo sta facendo anche in questi giorni, e fino al 12 aprile, tramite la campagna #sfidAutismo20, avvalendosi del numero solidale 45588. Se le risorse raccolte saranno sufficienti, a questo link vengono elencate le ricerche che saranno finanziate, selezionate dal Comitato Scientifico della FIA, di cui chi scrive si onora di fare parte.
A tal proposito è certamente degno di nota il fatto che la prima ricerca che verrà finanziata (Biomarcatori clinici, biochimici, immunologici e microbiologici nei bambini con disturbo di spettro autistico: basi per un assessment coerente con un modello patogenetico complesso), si inserisce in un filone di studi di altissimo livello.
Si tratta di un progetto complesso, come del resto è complesso l’autismo, ma ciò che va maggiormente essere messo in risalto è il fatto che questo studio già si intravede la possibilità, che dovrà naturalmente essere testata mediante una sperimentazione ad hoc, di terapie non con farmaci gravati da possibili gravi effetti indesiderati, ma con integratori alimentari che agirebbero sulle alterazioni biochimiche individuate dallo studio stesso, come l’aumentato stress ossidativo e l’infiammazione.
A portare avanti questa ricerca saranno un gruppo clinico e un gruppo biomedico, facenti capo alle docenti dell’Università di Bologna Antonia Parmeggiani e Marina Marini, che collaboreranno ciascuno con le proprie competenze specifiche, ciò che ha già consentito loro importanti pubblicazioni (se ne legga a questo link). Saranno inoltre coinvolti nel lavoro ricercatori e gruppi prestigiosi, operanti in diverse sedi sparse in tutta Italia.
E dunque, anche in mezzo alla tempesta del coronavirus, è importante donare e far donare anche piccole somme che, se aggiunte a tante altre, potrebbero diventare grandi somme, per consentire a questo e ad altri importanti progetti di ricerca sull’autismo di procedere al meglio.