Le giornate celebrative sono inutili e anche fastidiose, molto fastidiose, perché la maggior parte della sedicente informazione è convinta che invadendo le reti e la stampa di siparietti a lieto fine con personaggi improbabili, una via di mezzo tra Rain Man e gli “angioletti dell’albero di Natale”, si possa considerare in questo caso onorata la Giornata per la Consapevolezza dell’Autismo.
Io, invece, vorrei trasformare questa Giornata, che ritengo inutile, in un momento di protesta, articolata su più livelli.
L’epidemia da coronavirus ha catapultato l’intera società in una situazione che noi famiglie di persone con disabilità, e autistiche in particolare, conosciamo molto bene. Diciamo pure che il 41 bis [riferimento all’articolo della Legge 354/75, che stabilisce il carcere duro per certi tipi di condanne, N.d.R.] è per noi da anni pane quotidiano, che la quasi totale mancanza cronica di socialità non è ascrivibile ad un nostro essere orsi o a voler rifiutare ricche occasioni conviviali di gruppo. È proprio che a noi non ci si fila nessuno dei cosiddetti “normali”. La maggior parte delle volte, infatti, che riusciamo a organizzare una pizza, un’uscita, un’occasione di svago, lo facciamo tra di noi, con i nostri figli che hanno ciascuno le proprie problematiche e quindi restiamo ancora una volta confinati in un limbo di disabilità, mentre l’integrazione, per la quale ci spendiamo da anni, sarebbe la via migliore non solo per loro, ma soprattutto per i cosiddetti “normodotati”, per non parlare del fatto che è il fine ultimo del percorso di una persona con disabilità all’interno della società, sancito anche dalla Costituzione. Quindi per noi la quarantena non costituisce una novità, ma può decisamente aumentare i “comportamenti problema”, l’ansia, le reazioni violente all’incepparsi delle rassicuranti routine alla base della vita delle persone autistiche.
Cosa fare? Con grande fatica e bussando a tutte le porte, abbiamo avuto il permesso di poter portare i nostri figli a passeggiare “nei dintorni dell’abitazione” per lo stretto necessario. È come se a un animale in gabbia si costruisse un’ulteriore gabbia all’interno della precedente, ma sempre meglio di niente.
Nulla, però, è gratis, poiché per usufruire di questa opportunità, è necessario munirsi di una documentazione che farebbe impallidire l’Archivio di Stato: documento di riconoscimento di disabile e accompagnatore, autocertificazione dell’accompagnatore, documentazione attestante la disabilità, ulteriore certificato del medico di famiglia che raccomanda l’uscita, onde evitare comportamenti violenti e stati d’ansia, eventuali delibere regionali, comunali, municipali aggiornate, perché le forze dell’ordine preposte non sono state informate. Per non parlare degli insulti rivolti via finestra nel vederci passare.
A questo proposito a qualcuno è venuta la brillante idea di munire le persone autistiche di un segno di riconoscimento, un nastro blu che aiuterebbe ad evitare il facile insulto. Come dire: mettetevi un marchio così siete identificabili, cosa già vista in altri tempi e di triste memoria, intollerabile pratica mortificante, anche perché posso dare una notizia: i nostri figli sono autistici, non scemi e capiscono e sentono molto più di quanto si pensi.
Mi pare che abbiamo già un cammino abbastanza irto di difficoltà, mortificazioni, frustrazioni e ingiustizie, per aggravarlo con ulteriori iniziative imbecilli.
Sempre nell’àmbito del periodo straordinario che stiamo vivendo, la cosa più macroscopica è stata ed è la totale assenza di misure economiche e di sostegno alla categoria dei disabili e delle loro famiglie. Mi pareva di aver sentito dire e ripetere da tutti che “nessuno sarà lasciato solo”, invece posso annunciare che noi lo siamo.
Chiusi i centri diurni, assistenza domiciliare sospesa se non per cause tecniche, per paura o scarsa fiducia di profilassi; visto infatti che viviamo nel terrore che accada ai nostri figli o a noi di beccarci il virus, in quel caso che fine faremmo entrambi, essendo di fatto indivisibili?
Nessuno ci ha spiegato quali sarebbero i protocolli se questo si verificasse, nessuno ci ha raccontato quante persone con disabilità siano morte, quante guarite, come siano state curate, come assistite. Nessuno ci ha telefonato per sapere se avevamo bisogno di qualcosa, dando per scontato che siamo abituati a farlo da sempre. Nessuno ha avuto la decenza di ricordarsi di noi, nessuno ha stanziato un centesimo per noi, forse perché sanno che siamo abituati a essere ignorati.
Perché non siamo una categoria con potere contrattuale, perché la maggior parte delle persone pensa che siamo una sorta di “parassiti della società”, che viviamo grazie alle tasse pagate da altri, perché ancora gira il concetto che un disabile sia “un peso” e “un essere inutile” per la società, ignorando le capacità che i nostri figli hanno, la sensibilità, la voglia di vivere, non vedendo le nostre vite che passano nel frenetico tentativo di assicurar loro un domani senza di noi, sapendo lucidamente di non poterci aspettare un aiuto adeguato da questo Paese, con l’incubo di saperli chiusi in una struttura a lungadegenza, come quelle dove è in atto una vera e propria ecatombe da coronavirus e non solo perché i pazienti sono anziani.
Alla luce di tutto questo sfido tutti a trovare nella giornata di oggi e in tutte le altre ipocrite giornate un senso. Per noi è un giorno come un altro, faticoso, in salita, al fianco dei nostri figli che meriterebbero un Paese migliore, una società migliore tutti i giorni dell’anno.