Da inizio marzo viviamo tutti, o quasi, una condizione di quarantena e distanza sociale. È la prima volta nella storia della Repubblica italiana che viene adottata una misura di tale portata. Questa situazione sta avendo e avrà grosse conseguenze, non solo dal punto di vista della salute, ma anche economiche e sociali. La richiesta che ci viene fatta di rimanere a casa, lontani dalle nostre abitudini e dai nostri affetti, rappresenta un radicale cambiamento del nostro stile di vita quotidiano. Dobbiamo abbandonare il ritmo frenetico al quale la società moderna ci ha abituati e dobbiamo fermarci e restare a casa.
Questa nuova situazione può generare in ciascuno di noi sensazioni di smarrimento, ansia e panico. D’altro canto, però, questo particolare periodo può rappresentare un’opportunità per adoperare il tempo, i talenti e gli strumenti tecnologici, per creare e usufruire dell’arte, della musica e della cultura in generale.
Va anche considerato che la paura del coronavirus, lo stato d’allarme e di quarantena, ci inducono a trascorrere molto tempo ascoltando e ricercando le notizie. Sentiamo l’esigenza di capire e di essere sempre aggiornati, nella speranza di apprendere presto che il virus è stato sconfitto.
La necessità, a volte bulimica, di informarci può comportare conseguenze negative: non sempre, infatti, si riesce a distaccarsi dai mezzi di comunicazione, o a fruirne in modo misurato. Molte persone si affidano a Internet spesso senza prestare attenzione a verificare e scremare le fonti. Così facendo il rischio di credere alle fake news [“notizie false”, N.d.R.] e contribuire alla loro diffusione è ancora più elevato rispetto alla “normalità”.
Per far fronte alla crescente diffusione di notizie false relative all’emergenza Covid-19, in questi giorni è stata istituita presso la Presidenza del Consiglio l’Unità di monitoraggio per il contrasto della diffusione di fake news relative al COVID-19 sul web e sui social network. Alla task-force vengono affidati i seguenti compiti: dall’analisi delle modalità e delle fonti che generano e diffondono le fake news, al coinvolgimento di cittadini e utenti social, per rafforzare la rete di individuazione, al lavoro di sensibilizzazione attraverso campagne di comunicazione. Tutto questo in stretta collaborazione con l’AGCOM (Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni), il Ministero della Salute, la Protezione Civile, nonché avviando partnership con i soggetti del web specializzati in fact-checking [monitoraggio delle notizie false o fuorvianti, N.d.R.], i principali motori di ricerca e le piattaforme social.
Il contrasto alla diffusione delle notizie false non risparmia nessuno, tanto che Twitter, nel giro di pochi giorni, ha cancellato alcuni tweet dei Presidenti di Brasile e Venezuela in cui si parlava di cure più o meno miracolistiche per il coronavirus.
Le fake news sono sempre esistite, ma oggi più che mai è necessario porci alcune domande sull’uso del web e dei media. Come usiamo il web? Come lo usano i bambini e gli adolescenti e quali rischi corrono? Qual è il nostro rapporto con l’informazione e i mass-media? Quando postiamo una notizia verifichiamo le fonti? Quali sono le fonti che prediligiamo? La quarantena può essere il momento giusto per porci tali domande e, in caso, educarci ed educare ad un uso consapevole delle potenzialità della rete.
I cosiddetti “nativi digitali” usano la rete già da piccolissimi. Per aiutare i genitori ad educare i figli all’uso sicuro del web, l’Unicef ha pubblicato l’interessante guida Come parlare ai bambini di Internet, che affronta tutte le opportunità e i rischi della navigazione in rete, l’uso delle chat e dei social network, partendo dalla consapevolezza che alcuni Paesi hanno accesso a Internet da più di vent’anni e che questo rappresenta uno strumento per svolgere innumerevoli attività.
D’altra parte, l’Unicef mette in guardia sul fatto che non è mai stato così facile per i “bulli”, gli autori di reati sessuali, i trafficanti e coloro che arrecano danni ai bambini, contattare le potenziali vittime in tutto il mondo, condividere le immagini del loro abuso e incoraggiarsi l’un l’altro a commettere ulteriori reati. Per questi motivi la guida reca alcuni consigli al fine di aiutare i genitori dei “nativi digitali” a usare la rete in modo corretto e consapevole.
Ad esempio, si raccomanda loro di aiutare i propri figli a sviluppare una responsabilità sociale e quindi a riflettere bene prima di condividere contenuti sui social network e a gestire la privacy e l’accesso alle applicazioni installando sistemi di autorizzazione e controllo sui dispositivi in mano a bambini e adolescenti.
Tra le conseguenze di questo periodo di quarantena vi è anche il fatto che si passa più tempo in famiglia e i genitori, spesso fuori tutto il giorno per lavoro, possono finalmente conoscere meglio la quotidianità dei loro figli. Potrebbe essere quindi questa una buona occasione per sedersi accanto a loro davanti al PC, lo smartphone o il tablet e navigare insieme, scambiandosi consigli e impressioni sull’uso della rete.
Internet rappresenta una grande risorsa per noi persone con disabilità: infatti, grazie alla rete siamo più autonomi nello studio, nel lavoro, nella possibilità di comunicare, nell’accesso ai servizi pubblici e alla cultura. Va però considerato anche che nel mondo virtuale si celano delle insidie, ancora più potenzialmente dannose per le persone con disabilità, in quanto, in molti casi, non si investe sulle loro capacità cognitive, né si sprona la condivisione dei loro stati d’animo e sentimenti. Inoltre, l’isolamento comporta spesso l’assenza di amici, figure al di fuori della famiglia con le quali potersi confrontare più liberamente. Ed è qui che il web diventa il luogo dove, inappropriatamente e non con pochi rischi, si condividono pensieri e domande troppo intimi.
Nelle chat e sui social alcune persone con disabilità parlano della propria condizione, suscitando inconsapevolmente, pietà, fastidio, curiosità e devotismo. L’impatto emotivo è più grande e pericoloso di quanto si pensi.
Di frequente mi scrivono su Facebook persone con disabilità che si sentono sole, mi danno il loro numero di cellulare, mi chiedono di fare una videochiamata. Non posso sapere se dall’altra parte ci sia realmente un soggetto fragile che vive una condizione di isolamento, o se magari si tratti di un malintenzionato che si finge disabile per entrare nella mia sfera privata. In questi casi non mi intrattengo troppo a parlare e cerco sempre di spiegare all’interlocutore quanto sia rischioso dare il proprio numero telefonico. Ma il problema rimane: non sono poche le persone con disabilità che mi contattano e a monte sembra esserci sempre una situazione di solitudine e una vita povera di stimoli. Queste persone lamentano il fatto che la famiglia e la società non riconoscono i loro bisogni primari, quali il lavoro, la socializzazione, l’emancipazione, l’amore e la sessualità.
Ecco, tanto si discute di riconoscere i diritti fondamentali, ma poi in molti casi l’isolamento sociale delle persone con disabilità e delle loro famiglie è forte e non è certo legato solo all’emergenza Covid-19. Ovviamente la quarantena non fa che esasperare una condizione già complessa che non si può affrontare sui social, in quanto richiederebbe l’intervento di specialisti in grado di agire sulla persona, ma anche sul contesto familiare.
Particolarmente vulnerabili alle insidie descritte sono le persone con disabilità cognitiva. Al fine di promuovere la loro inclusione anche attraverso l’uso consapevole e sicuro della rete, Inclusion Europe, organizzazione europea di persone con disabilità intellettiva e delle loro famiglie, che conta 78 membri in 39 Paesi europei, ha lanciato, con il supporto della Commissione Europea, la campagna Safe Surfing [se ne legga già ampiamente anche sulle nostre pagine, N.d.R.], un ambizioso progetto, implementato nel periodo 2014-2016, volto a formare le persone con disabilità intellettiva in materia di protezione dei dati sul web.
L’iniziativa si fonda sulla convinzione che se le persone con disabilità intellettiva non possono vivere tutti gli àmbiti della vita con pari diritti e pari opportunità non può esserci piena inclusione nella società: sostenere le persone con disabilità relativamente all’uso sicuro del web può avere un enorme impatto sul loro livello di indipendenza, sul loro benessere e sul loro senso di appartenenza alla società.
Nel dettaglio, il progetto è consistito in cinque sessioni formative online nell’àmbito delle quali sono state affrontate le seguenti tematiche relative alla navigazione via web: cosa sono i dati personali e come tutelarli online; i pericoli della rete; smartphone e applicazioni; come proteggere se stessi su Facebook; cosa condividere online.
È auspicabile, dunque, che iniziative come queste aumentino e soprattutto che riescano a raggiungere e coinvolgere un numero sempre maggiore di persone con disabilità attraverso un’efficace comunicazione da parte delle Istituzioni e degli enti promotori. Molto spesso, infatti, per l’assenza di una corretta formazione sulle potenzialità della rete, le persone con disabilità limitano il loro uso di Internet ai social, semplicemente per colmare, temporaneamente, situazioni di noia e solitudine. A questo andrebbe poi affiancata una necessaria consapevolezza sui rischi e le potenzialità del web, così come attuato da Inclusion Europe.