È arrivato “l’Invasore” ovvero liberi di vivere

di Giorgio Genta*
«Questa contro “l'Invasore” - scrive Giorgio Genta - è una battaglia che si combatte su un terreno a noi ben noto: casa nostra. E del resto, cosa abbiamo fatto per tutta la vita da caregiver? Siamo rimasti a casa, ad accudire un nostro congiunto, con rare sortite nel mondo esterno per soddisfare i bisogni primari. Oggi, invece, restare a casa è una scelta obbligata per tutti e ad alcuni pesa come una privazione di libertà. Ma è anche la libertà di continuare a vivere, di evitare il propagarsi illimitato del contagio, di potere un giorno tornare ad uscire, almeno un poco, per noi come prima»
Statua di Atlante
«È così inappropriato – si era chiesto a suo tempo su queste stesse pagine Giorgio Genta – paragonare la vita del caregiver familiare a quella di Atlante, il personaggio mitologico condannato dal dio Giove a tenere sulle spalle l’intera volta celeste?»

Da quando il Covid-19, “l’Invasore”, ha stravolto le nostre abitudini di vita, riducendo spazi e occasioni di socialità, noi vecchi caregiver combattiamo una nuova battaglia.
Avevamo resistito, sempre giocando in difesa, alle diagnosi incerte e a quelle infauste, all’insipienza di alcuni uomini di scienza, alla codardia di molti politici di ogni partito, alla nefanda burocrazia, a chi specula anche sulla pelle dei poveri cristi e ora ci tocca combattere “l’Invasore”.
Questa volta è una battaglia diversa che si combatte su di un terreno pericoloso, ma che ci è ben noto: casa nostra.

Cosa abbiamo fatto del resto per tutta la vita da caregiver? Siamo rimasti a casa, ad accudire un nostro congiunto, con rare sortite nel mondo esterno per soddisfare i bisogni primari (non impazzire, procurarci il cibo, pagare le tasse ecc.).
Però era una libera scelta: avevamo scelto noi di fare il caregiver, anche se erano state le circostanze, quasi, ad imporcelo. Alcuni questa scelta non l’hanno fatta e non so se vivano meglio.
Oggi, invece, restare a casa è una scelta obbligata per tutti e ad alcuni pesa come una privazione di libertà. Ma è anche la libertà di continuare a vivere, di evitare il propagarsi illimitato del contagio, di potere un giorno tornare ad uscire, almeno un poco, per noi come prima.
Certo, abbiamo ridotto ulteriormente i contatti con il mondo esterno, almeno quelli materiali. Abbiamo provvisoriamente rinunciato alla maggior parte dei servizi – di quei pochi servizi – che erano dedicati al nostro assistito e che ci erano costati mille battaglie per averli: troppo pericoloso, oggi, il personale di assistenza che lavora anche nelle comunità, come hanno dimostrato i dati degli ultimi giorni, con una vera e propria “strage” in molte RSA (Residenze Sanitarie Assistenziali) e strutture analoghe: ci è rimasto solo un aiuto per la spesa alimentare che generosi operatori ci portano sino alla soglia di casa.

Per me personalmente è cambiato molto poco: mi manca sola la “fuga” del mattino al bar, una mezz’ora a leggere velocemente due giornali, focaccia in mano e un bicchiere di lumassina davanti. Per il resto solita vita.
Per Silvia [la figlia con grave disabilità di Giorgio Genta, N.d.R.] non è cambiato niente, anzi la sua vita, rischi a parte, è “migliorata”: ha a disposizione i due nipotini che, ad asilo chiuso, ne combinano letteralmente di tutti i colori (grandi pittori, loro!).
Il bel tempo ci ha finora permesso di restare spesso in giardino e di anticipare i tempi dell’abbronzatura.
Per il resto della famiglia, invece, è peggiorata assai , dovendomi sopportare per più tempo e dovendo sopperire alle mie manchevolezze di caregiver anziano.

Caregiver anziano.

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