Gli ultimi mesi ci hanno, in qualche modo, travolti, mettendo a dura prova le nostre capacità di resistenza, di resilienza, svelando in molti casi impietosamente le grandi fragilità e le grandi diseguaglianze presenti nel nostro sistema e i loro potenziali effetti, realmente drammatici, sulla vita di noi tutti e in particolare su quella delle persone più vulnerabili, quelle già a maggior rischio di esclusione, segregazione, discriminazione, ancor prima che scoppiasse questa emergenza.
Il virus che ha colpito il mondo intero, costringendoci a rivedere pesantemente tutte le nostre abitudini di vita, sta lasciando in noi, persone con disabilità, famiglie, operatori del settore, pesanti ferite. Ci siamo scontrati con l’indifferenza delle Istituzioni, con la necessità di provvedere, praticamente da soli, a mettere il più possibile al sicuro le persone con disabilità e i servizi che frequentano e in cui in molti casi vivono, a supportare la famiglie, nella maggior parte dei casi lasciate completamente sole. A dover ricordare – letteralmente parlando – alle Istituzioni la nostra esistenza.
Ci siamo trovati, nostro malgrado, a doverci stringere attorno alle nostre famiglie in lutto per la perdita dei propri figli. Abbiamo assistito ad atti di vero e proprio “eroismo” da parte di operatori, di famiglie… pronti a fare grandi sacrifici e scelte difficili per tutelare la salute delle persone con disabilità, per metterle il più possibile al riparo da rischi che per loro possono assumere, ancor di più che per il resto della popolazione, tinte drammatiche.
Abbiamo quindi anche riscoperto risorse, rimesso a posto priorità, scoperto nuovi modi di fare le cose e soprattutto scoperto la possibilità e la forza di restare vicini, nonostante le distanze fisiche.
L’emergenza che abbiamo vissuto ci ha appunto lasciato ferite profonde ed è probabile che ancora ce ne lasci, poiché siamo consapevoli che non è ancora terminata.
Al tempo stesso, oggi iniziamo a volgere il nostro sguardo al futuro, al domani, quando – non sappiamo ancora con certezza se tra settimane o giorni – le nostre vite gradualmente torneranno alla normalità, o a qualcosa che ci assomiglia, e saremo chiamati a tornare a svolgere le nostre attività fuori casa, a riaprire i servizi per le persone con disabilità, a trovare delle nuove modalità di “convivenza” con questa mutata situazione, almeno fino a che non sarà definitivamente dichiarata conclusa questa emergenza.
È importante, quindi, provare ad interrogarsi su che cosa cambierà, domani.
Da che cosa ripartiremo? Cosa avremo imparato da tutta questa situazione? Quali “lezioni” potremo portare con noi, per rendere migliori le nostre vite e soprattutto per evitare che molte delle cose che ci sono successe si ripetano? A cosa possiamo ancorarci per assicurarci che le nostre vite, domani, siano migliori?
Per quanto riguarda il futuro dei servizi non vi è alcun dubbio che questa emergenza stia facendo risaltare tutte le carenze, i ritardi, gli errori del precedente sistema. Per questo sarebbe clamoroso non fare tesoro di questa pur terribile esperienza, per ri-pensare il tutto o costruire un “nuovo sistema di welfare”.
Mettere realmente al centro le persone non può che diventare il nuovo imperativo.
È vero, da anni lo proclamiamo, lo richiediamo, più o meno convintamente. Al tempo stesso, oggi abbiamo avuto modo di “toccare con mano” cosa significhi non riuscire a traguardare questo obiettivo. Mettere al centro le persone significa adattare i servizi alle persone e non, come spesso è stato fino ad oggi, le persone ai servizi.
Occorrerà realmente costruire una “rete integrata di servizi” in grado di garantire, ad ogni singola persona, la concreta semplice e agevole fruizione del proprio diritto ad avere i giusti e necessari sostegni personalizzati.
Occorrerà davvero che il progetto individuale di vita, basato sugli obiettivi, interessi e aspettative espressi dalla persona, divenga il cardine sul quale i fornitori di sostegni professionali, formali e informali incentrino la propria opera. Allo stesso tempo, occorrerà realmente e con onestà fare i conti con gli esiti di tutto ciò che si mette in campo: sarà l’incidenza, sui diversi domìni della qualità di vita delle singole persone, a rappresentare il principale indicatore di processo e di esito per verificare l’efficacia dei sostegni progettati ed erogati.
È probabilmente arrivato il momento affinché l’intero contesto e l’intera collettività predispongano e pongano in essere un’autentica “rivoluzione copernicana”, atta a garantire ad ogni singolo cittadino con disabilità pari opportunità rispetto alla generalità dei cittadini senza disabilità.
La partecipazione e l’inclusione sociale dovranno essere gli obiettivi da perseguire. L’esclusione, la segregazione, la discriminazione dovranno essere le condizioni da contrastare da tutti e in tutti i modi. I diritti civili, umani e sociali dovranno rappresentare i paradigmi di riferimento nel pensare e attuare politiche attive in favore delle persone con disabilità. Lo stigma sociale, i pregiudizi e la negazione dei diritti dovranno essere i nemici da combattere in tutti i modi e in tutte le sedi.
La piena e concreta esigibilità dei diritti dovrà essere posta a base di una necessaria opera di semplificazione normativa, a partire dal sistema di riconoscimento della condizione di disabilità. La valutazione multidimensionale e multiprofessionale dovrà accompagnare verso una rapida transizione dal superato modello pietistico/assistenziale/medico verso il modello biopsicosociale e basato sui diritti umani.
Occorrerà superare l’attuale diaspora tra il sistema sanitario-socio/sanitario-sociale-educativo e lavorativo, in favore di un nuovo sistema nel quale la persona viene considerata in una visione “olistica”, dove, a prescindere dal suo “funzionamento”, le vengano garantiti, distinti per qualità, intensità e quantità, i giusti e necessari sostegni in tutte le età e in tutte le stagioni della vita.
In tale contesto, analoga attenzione andrà posta nei confronti dei familiari e dei caregiver che, a loro volta, vanno adeguatamente sostenuti e aiutati.
L’autoderminazione e l’autorappresentanza dovranno essere considerati dei diritti individuali inviolabili e garantiti nella massima misura possibile.
Le persone con disabilità non dovranno più essere considerate come “pesi per la società”, ma come risorse.
Per fare ciò, occorrerà che già a partire dal percorso scolastico le stesse siamo inserite in un percorso formativo che abbia come sbocco, a medio periodo, il mercato del lavoro in attività produttive. Inoltre si dovrà rivedere il sistema delle indennità e delle provvidenze, per far sì che ogni persona con disabilità abbia una propria autonomia economica sufficiente a garantire una vita dignitosa e indipendente il più possibile autodeterminata ed autogestita.
A tutte le persone con disabilità e non autosufficienti andranno, infine, sempre garantiti il rispetto della dignità intrinseca ed estrinseca e il diritto a considerare il valore della propria vita al pari di tutta la restante popolazione umana.
Occorrerà contrastare ogni firma di marginalizzazione sociale e che in tutti i contesti in cui la persona vive (in famiglia o in soluzioni alloggiative extra familiari), non si creino situazioni segreganti ed istituzionalizzanti.
In buona sostanza, occorrerà dare concreta attuazione a quanto previsto dal Secondo Programma di Azione biennale per la promozione dei diritti e l’integrazione delle persone con disabilità, ma bisognerà farlo come grande progetto di cambiamento culturale di approccio alla disabilità e alla non autosufficienza, adeguandoci ai paradigmi della Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità e agli Obiettivi per lo Sviluppo Sostenibile del pianeta, presenti nell’Agenda ONU 2030, e non come ennesimo atto formale o semplicemente estetico, che – come abbiamo visto – non è in grado di produrre i cambiamenti che sono necessari.
Tutto questo noi lo sapevamo già. Al tempo stesso abbiamo avuto modo di sperimentare proprio in queste settimane quanto ancora sia fragile questo paradigma e quali effetti, nefasti, possa produrre.
Abbiamo avuto modo di sperimentare sulla nostra pelle come serpeggi ancora, anche nei livelli istituzionali, un modello pronto a mettere rapidamente da parte dignità, diritti, perfino salute e sicurezza delle persone con disabilità, come se vi fosse alla base la convinzione che le loro vite, nel caso in cui occorra dare delle priorità, abbiano meno valore o siano più facilmente sacrificabili.
E non siamo più disposti a permettere che accada. A nessuno. Mai più.