La didattica a distanza, gli esami e le persone con sindrome di Down

«Può la didattica a distanza assicurare l’inclusione, oltre che l’istruzione? In che modo la stanno affrontando gli studenti con sindrome di Down? Con quali difficoltà e con quali supporti viene loro garantito il percorso scolastico “a casa”? E come sarà il futuro prossimo, soprattutto per coloro che dovranno affrontare l’Esame di Stato?»: sono tutti quesiti ai quali l’AIPD (Associazione Italiana Persone Down), in attesa delle prossime disposizioni governative, sta cercando di rispondere, innanzitutto tramite un documento elaborato dal proprio Osservatorio Scolastico
Videochiamata da parte di un bimbo con sindrome di Down
Videochiamata da parte di un bimbo con sindrome di Down

«Può la didattica a distanza assicurare l’inclusione, oltre che l’istruzione? In che modo la stanno affrontando gli studenti con sindrome di Down? Con quali difficoltà e con quali supporti viene loro garantito il percorso scolastico “a casa”? E come sarà il futuro prossimo, soprattutto per coloro che dovranno affrontare l’Esame di Stato?»: a chiederlo e a chiederselo è l’AIPD (Associazione Italiana Persone Down), che in attesa delle prossime disposizioni governative, ha innanzitutto reso disponibile, tramite il proprio Osservatorio Scolastico, una pagina dedicata e in continuo aggiornamento con Materiali utili per la scuola ai tempi del Coronavirus. Inoltre, il responsabile dell’Osservatorio stesso, Nicola Tagliani, ha elaborato una scheda tecnica di approfondimento (disponibile integralmente a questo link).

«Più degli altri – annota in primo luogo Tagliani – gli studenti con disabilità risentiranno negativamente della sospensione delle attività didattiche in presenza, anche per gli aspetti di socializzazione e di relazioni interpersonali concrete che sono venute a mancare. In generale, poi, nelle scuole in cui l’inclusione funzionava bene “in presenza”, essa continua a funzionare anche a distanza, essendo state attivate modalità adeguate per i nostri ragazzi. Tanti di loro, invece, sono stati “dimenticati” e per loro la scuola è solo un bel ricordo».

Cresce poi la preoccupazione per la valutazione finale, soprattutto per gli alunni che devono sostenere gli Esami di Stato conclusivi del primo e del secondo ciclo. “Il Decreto Legge 22/20 – spiega Tagliani – ha cominciato a delineare le possibili modalità di svolgimento degli esami, sia nell’ipotesi (remota) di un ritorno a scuola entro il 18 maggio, sia nel caso (molto più probabile) di una sospensione della attività in presenza fino alla fine dell’anno scolastico. In ogni caso ci sarà una semplificazione degli esami, come si può vedere anche in una nostra scheda normativa. Il Decreto accenna anche velocemente al fatto che, qualunque sarà la modalità di esame applicata, dovrà tener conto delle esigenze degli alunni con disabilità, DSA e ulteriori BES».

In attesa dunque che le prossime Ordinanze Ministeriali definiscano le specifiche modalità operative per gli esami di quest’anno, restano valide le attuali normative, con ciò che queste prevedono anche, nello specifico, per gli studenti con disabilità. A tal proposito, appare particolarmente complessa la questione degli esami conclusivi del secondo ciclo e del relativo conseguimento di un diploma o, in alternativa, un attestato.
«Il conseguimento del diploma – sottolinea il responsabile dell’Osservatorio Scolastico AIPD – è possibile solo per quegli alunni che hanno svolto durante il proprio percorso di studi una programmazione riconducibile ai programmi ministeriali, anche se “semplificata per obiettivi minimi” (equiparabili al livello di apprendimento che ciascun docente per la propria disciplina reputa “sufficiente” per tutti gli alunni). In sede di esame l’alunno può svolgere allora “prove equipollenti”, cioè diverse da quelle dei compagni per contenuti e modalità, ma che devono misurare livelli di apprendimento analoghi a quelli dei compagni. Diverso, invece, è il caso in cui l’alunno abbia svolto una “programmazione differenziata”: in questo caso, anche l’esame conclusivo avverrà con prove differenziate tarate sugli obiettivi del proprio PEI [Piano Educativo Individualizzato, N.d.R.]: non si conseguirà il diploma, ma un attestato che certifica i crediti formativi maturati durante il percorso di studio, in quanto criterio per la valutazione saranno gli obiettivi del proprio PEI e non i programmi ministeriali».
«Questa differenza con il primo ciclo – prosegue Tagliani – è dovuta al fatto che il diploma di scuola secondaria di secondo grado è in qualche modo “professionalizzante” e quindi si può ottenere solo svolgendo un programma riconducibile a quello ministeriale. La forza dell’inclusione scolastica italiana è sempre stata infatti la possibilità di realizzare percorsi di studio personalizzati e individualizzati per tutti gli alunni, con l’idea di dare la possibilità a tutti di svolgere un percorso scolastico tarato sulle proprie competenze, indipendentemente dalla disabilità. Questa possibilità di scegliere tra programmazione semplificata “per obiettivi minimi” e “programmazione differenziata” è la concretizzazione di questo principio di pari opportunità, ma comporta effetti formali finali diversi: diploma o attestato, appunto».

«La scelta sul tipo di programmazione da svolgere – ricorda in conclusione Tagliani – è un aspetto molto delicato e importante. Per questo riteniamo che debba essere presa con un accordo condiviso tra scuola, famiglia e operatori socio-sanitari che hanno in carico l’alunno, mettendo al centro il benessere dello studente. L’effetto finale di tale scelta (diploma o attestato) non dovrebbe, invece, essere il criterio per scegliere il tipo di programmazione. Nella nostra esperienza, infatti, abbiamo costatato più volte che, ad esempio, per un successivo inserimento lavorativo efficace, non conta tanto il titolo di studio posseduto dalla persona o neppure le sue conoscenze teoriche di cultura generale (entro certi limiti), quanto la sua capacità di entrare nel ruolo di lavoratore: rispetto dei tempi, dei compiti affidati, della gerarchia, delle regole, del rapporto con i colleghi e con i superiori, della cura di sé ecc. Oggi circa il 13,5 % delle persone con sindrome di Down lavorano e sono l’autonomia e la capacità di svolgere in modo adeguato i propri compiti che lo rendono possibile. È su questi aspetti e sulla documentazione delle competenze raggiunte che la scuola può e deve offrire il suo contributo nella crescita e nella formazione dei ragazzi; occorre cioè che nel PEI o in altro Progetto vadano condivisi come obiettivi i prerequisiti sul funzionamento adattivo che poi ci permetteranno di lavorare con il sostegno di un Job Coach esperto nei contesti naturali, a cominciare dalle esperienze di progetti -ponte e di transizione scuola lavoro. Bisognerà ora vedere come gestire questi aspetti così delicati alla luce delle nuove modalità di didattica e di valutazione a distanza che si rendono necessarie quest’anno». (S.B.)

Per ulteriori informazioni e approfondimenti: Ufficiostampaaipd@gmail.com.

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