«Non sono solo le lacune o gli errori di profilassi ad avere causato il disastro, bensì la stessa logica di coabitazione, di aggregazione forzata, che troppo spesso contraddistingue queste strutture e questi modelli. E le eccezioni, le buone prassi che non mancano rendono ancora più grave tutto ciò che non funziona»: così si era espressa una decina di giorni fa la FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap), anche su queste pagine, in riferimento alla tragedia consumatasi in queste settimane nelle RSA [Residenze Sanitarie Assistenziali, N.d.R.] e nelle strutture che accolgono persone con disabilità e non autosufficienti, vera e propria “strage annunciata”, di fronte alla quale la Federazione aveva sottolineato la necessità di «mettere finalmente «in discussione un intero sistema di strutture segreganti, di “luoghi speciali” o spacciati per tali in funzione di pseudo-specialità riabilitative perché indirizzati a questa o a quella condizione patologica».
Riferendosi ad esempio ai dati prodotti in un report del Garante nazionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale, la FISH aveva parlato «di vero e proprio orrore», senza tuttavia stupirsi «che questa ecatombe si sia consumata proprio in quelle strutture che da anni segnaliamo come segreganti, come umilianti della dignità personale, come espressione lontanissima a qualsiasi logica di abitare sociale, di inclusione, di prossimità e di trasparenza rispetto al territorio. Da anni, infatti, ripetiamo che lo Stato e le Istituzioni territoriali dovrebbero compiere ogni sforzo mirato alla deistituzionalizzazione delle persone con disabilità che vivono in strutture segreganti, intervenendo sia nella direzione di garantire adeguate dimissioni da quei luoghi di detenzione, sia nel divieto alla realizzazione di nuove strutture che riproducano situazioni segreganti, vietandone l’accreditamento istituzionale e, conseguentemente, qualsivoglia finanziamento diretto o indiretto».
Sul tema delle residenze sanitarie per persone con disabilità e dell’elevato numero di persone contagiate che ancora oggi vi permane, intervengono anche, in una lettera-appello congiunta, riferita in particolare alle persone con disabilità intellettive e disturbi del neurosviluppo, l’ANFFAS (Associazione Nazionale Famiglie di Persone con Disabilità Intellettiva e/o Relazionale), il Comitato lombardo Uniti per l’Autismo, l’ANGSA (Associazione Nazionale Genitori Soggetti Autistici) e la SIMA (Società Italiana di Medicina Ambientale), con il supporto dell’Istituto per la Ricerca e l’Innovazione Biomedica del CNR (Consiglio Nazionale delle Ricerche), chiedendo di «porre in essere urgentemente efficaci strategie di previsione e prevenzione dell’ulteriore diffusione della pandemia, attuando un’oculata gestione del territorio, risparmiando i presìdi ospedalieri dal contagio ed evitando che diventino essi stessi amplificatori della diffusione».
L’iniziativa si pone il duplice obiettivo «di portare l’attenzione sulla forte criticità delle residenze, per un urgente intervento sia nelle strutture già coinvolte sia in quelle finora risparmiate da Covid-19», ciò che può essere realizzato, secondo le organizzazioni firmatarie della lettera-appello, «solo mettendo in pratica un “modello di sorveglianza attiva” che tutelando le fasce di popolazione più fragili e vulnerabili, eviterebbe automaticamente l’ulteriore diffondersi del contagio».
Nello specifico, il modello citato prevede l’esecuzione di tampone nasofaringeo e orofaringeo a tutti gli ospiti e operatori delle strutture, con periodica rivalutazione; l’immediato isolamento delle persone risultate positive, indipendentemente dalla sintomatologia, con l’allontanamento immediato degli operatori positivi e il trasferimento degli ospiti positivi in settori o strutture dedicati; l’allestimento di strutture o settori di isolamento per gli ospiti positivi, sia asintomatici che sintomatici, con efficaci “zone filtro”, mediante la riorganizzazione degli spazi interni delle residenze (ad esempio padiglioni dedicati) o l’utilizzo di altre strutture messe a disposizione dalle Aziende Sanitarie Territoriali o dal Comune di appartenenza; strumenti diagnostici e protocolli approvati e aggiornati per l’assistenza domiciliare e ospedaliera non intensiva degli ospiti sintomatici, possibilmente in collaborazione con le USCA (Unità Speciali di Continuità Assistenziale); l’adeguamento del personale in forza nelle residenze, attraverso l’attivazione di bandi per richiamare personale qualificato ancorché per adesione volontaria e incentivato a fornire la propria collaborazione; l’attivazione di applicativi e percorsi di telemedicina, monitoraggio e training per operatori e familiari, al fine di garantire la continuità degli interventi terapeutici ed il supporto necessario durante l’emergenza sanitaria».
«Quello che è accaduto – commenta Roberto Speziale, presidente nazionale dell’ANFFAS – ha dimostrato ancora una volta che le necessità, i bisogni e in questo caso particolare la salute delle persone con disabilità, soprattutto intellettive e con disturbi del neurosviluppo, delle loro famiglie e di tutti coloro che lavorano con e per loro, sono considerate come sacrificabili, meno importanti di quelle degli altri cittadini. Per questo riteniamo fondamentale, dopo avere sin dall’inizio dell’emergenza sanitaria ancora in corso chiesto provvedimenti e protocolli ad hoc, mettere in pratica in tempi brevi quanto indicato nella lettera-appello, integrata delle competenze che le Società Scientifiche stanno mettendo a disposizione». (S.B.)