Una grande famiglia che vive una “normalità diversa”

di Carla Cavelli Traverso*
«Conobbi due madri - racconta Carla Cavelli Traverso, mamma di un’atleta Special Olympics - che mi insegnarono a capire cosa voglia dire avere una figlia con disabilità, a comprendere i diritti e i doveri, ad ipotizzare un futuro migliore. Io ero ancora sopraffatta dalla situazione e raccontai loro che soffrivo se sull’autobus o per la strada le persone guardavano mia figlia. Entrambe mi dissero: “Tranquilla, tra qualche anno non ci farai più caso. La vita avrà una configurazione più stabile con una valutazione e una consapevolezza di una ‘normalità diversa’”. E così è stato»
Eleonora e Gianluca, atleti Special Olympics
Eleonora e Gianluca, atleti Special Olympics

Sono la mamma, abbastanza matura, di una giovane con disabilità, Eleonora, 33 anni, che da più di quindici fa attività sportiva in quello che in precedenza era stato il gruppo sportivo dell’ ANFFAS Liguria (Associazione Nazionale Famiglie con Disabilità Intellettiva e/o Relazionale) e che oggi è lo Special Team Genova, realtà da sempre affiliata a Special Olympics [il movimento internazionale dello sport praticato da persone con disabilità intellettiva e/o relazionale, N.d.R.].

Quando mia figlia era bambina e poi ragazza, non si concepiva un’attività sportiva per giovani con disabilità e quindi si arrivava a Special Olympics molto tardi, verso i 17-18 anni circa, perdendo in questo modo molto tempo e molte occasioni di recupero, con i nostri figli che partecipavano agli allenamenti con i “normodotati”, arrivando sempre ultimi o tra gli ultimi alle gare finali, vivendo quindi come un insuccesso e con tanta frustrazione quei momenti.

Ora fortunatamente non è più così. Eleonora si era avvicinata al gruppo sportivo ANFFAS Liguria, una volta dimessa intorno ai 16 anni dall’ambulatorio dell’ANFFAS, per una scelta della famiglia di rimanere comunque in un contesto ANFFAS, del quale fino ad allora eravamo stati molto soddisfatti.
Iniziò a fare ginnastica perché era molto comoda come dislocazione della palestra. Una scelta che ci aprì letteralmente un nuovo mondo. Immediatamente, infatti, Eleonora fece amicizia con due ragazze, Isabella Fusaroli e Silvia Zinolli. Veniva invitata a turno il sabato pomeriggio nelle loro case, inizialmente accompagnata da me e poi da sola.

Conobbi le madri di queste ragazze, molto più adulte di me, Anna e Cecilia, che mi insegnarono a capire che cosa vuol dire avere una figlia con disabilità, a comprendere i diritti e i doveri, ad ipotizzare un futuro migliore. Io ero ancora sopraffatta da questa situazione, mi ricordo che raccontavo loro che sull’autobus o per la strada, se le persone guardavano mia figlia, io soffrivo. Entrambe mi rispondevano: «Tranquilla, tra qualche anno non ci farai più caso. La vita avrà una configurazione più stabile con una valutazione e una consapevolezza di una “normalità diversa”».

Qualche anno dopo, una sera, mentre accompagnavo Eleonora alla partenza della squadra di sci per l’allenamento ad Entracque (Cuneo), mi fermò Benedetta, mamma di Gianluca Cincotta, chiedendomi il numero del telefono di casa perché suo figlio aveva piacere di parlare con mia figlia. Glielo diedi, anticipando però che Eleonora mai parlava o rispondeva al telefono. Benedetta mi rispose: «Gianluca la convincerà». E così è stato: da allora, infatti, Eleonora e Gianluca si telefonano spessissimo, chiacchierano, sentono la musica insieme e soprattutto si danno sostegno nei momenti difficili.

Anche in questi giorni di quarantena le telefonate sono costanti, a volte litigano, a volte le mamme staccano i telefoni perché esagerano, ma la loro amicizia è stabile e collaudata dagli anni.
E intanto io e Benedetta siamo diventate non solo amiche, abbiamo deciso di impegnarci insieme nel gruppo sportivo, conoscendo l’importanza di questo spazio per i nostri ragazzi, lei è diventata un’oculata tesoriera e io una Presidente al meglio delle mie capacità.
Siamo tutti una grande famiglia!

Madre di un’atleta Special Olympics Italia.

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