La sospensione delle attività educativo-didattiche in tutta Italia è stata disposta a partire dal 5 marzo scorso dal Decreto del Presidente del Consiglio del giorno precedente, il quale ha previsto che i dirigenti scolastici attivassero modalità di didattica a distanza per tutta la durata della sospensione, «avuto anche riguardo alle specifiche esigenze degli studenti con disabilità».
La didattica a distanza coinvolge circa 8 milioni di studenti e un milione di “addetti ai lavori” (dirigenti scolastici, insegnanti di classe e di sostegno, assistenti educativi) e, di riflesso, tutte le loro famiglie.
Disorientamento, timore per la diffusione del contagio da coronavirus, ignoranza sui mezzi per contenerlo, ansia per la ricerca di informazioni e spiegazioni, senso di smarrimento e impotenza hanno, strada facendo, lasciato il posto alla volontà di reagire delle famiglie, di mettersi in gioco e adattarsi alla nuova situazione, nonostante tutto.
In una situazione di stress e di precarietà, anche economica, molti genitori hanno dovuto loro stessi iniziare a lavorare da casa in modalità “smart”, pur di non perdere il posto di lavoro e continuare a percepire il salario, oltre a provvedere al reperimento del cibo (reso difficile dalla necessità di rispettare le misure di distanziamento sociale), alla preparazione e cottura degli alimenti, al riordino e alla pulizia della casa, cercando di coinvolgere i figli in tali incombenze per necessità o anche solo perché facciano tesoro della situazione per acquisire o mantenere autonomie aiutando i genitori.
La didattica a distanza e l’affanno creato dalla rapida successione di atti normativi in materia hanno aggiunto stress allo stress delle famiglie, molte delle quali prive della strumentazione occorrente (connessione web, PC, tablet, smartphone) e delle conoscenze necessarie per farne un uso competente.
In una situazione simile, per chi ha figli con disabilità (gli ultimi dati ISTAT parlano di 284.000 persone) ai problemi di tutti i genitori si sono sommate ulteriori preoccupazioni: non solo spiegare ai figli, con tutte le difficoltà che si possono immaginare, in linguaggio semplice e accessibile se sono persone con disabilità intellettiva, le misure e i comportamenti da adottare per evitare il contagio, ma non far perdere ai figli stessi le competenze e gli apprendimenti faticosamente raggiunti a scuola o nelle attività riabilitative e offrire loro occasioni per sviluppare piccole autonomie domestiche (cucina, riordino e pulizia della casa), spesso trascurate per mancanza di tempo o anche solo per la stanchezza generata dai continui spostamenti imposti loro in tempi “normali” dalla routine quotidiana (casa-scuola o centro diurno-palestra/ piscina /campo sportivo/ ambulatori per attività riabilitative ecc.).
I lavoratori che hanno nel proprio nucleo familiare una persona con disabilità hanno diritto a svolgere la prestazione di lavoro in “modalità agile” (smart working), ma compatibilmente con le caratteristiche della mansione svolta. Molti di loro, che non hanno ottenuto tale agevolazione, pur di assistere i figli rimasti a casa da scuola, hanno fatto ricorso ai congedi straordinari previsti dalla normativa più recente (Decreto Legge 18/20, cosiddetto “Cura Italia”), poi a ferie, permessi e aspettative, ma il protrarsi della sospensione delle attività didattiche rischia di determinare a breve situazioni di pesante disagio, soprattutto per chi versa in difficili situazioni economiche o svolge lavori precari o, peggio, irregolari.
Lavorare dal proprio domicilio e seguire un figlio con disabilità confinato in casa tutto il giorno, in spazi spesso angusti e affollati, aiutandolo anche ad accedere alle piattaforme attivate dalla scuola o anche solo a leggere mail o partecipare a gruppi di whatsapp non è cosa da poco.
Se poi le condizioni economiche non permettono neppure un PC o uno smartphone né una connessione ad internet veloce, i problemi crescono a dismisura e rischiano di stravolgere equilibri di per sé già precari.
Il monitoraggio del Ministero di cui ha dato conto la ministra Lucia Azzolina nel suo intervento in Senato del 26 marzo, riferisce di un milione e 600.000 alunni/studenti (su 8,4 in totale) non raggiunti ancora a quella data da attività di didattica a distanza e dell’11% delle scuole che dopo venti giorni dall’avvio della didattica a distanza non avevano ancora predisposto attività e materiali specifici per gli alunni con disabilità.
Con l’ultimo Decreto Legge 22/20 dell’8 aprile, la didattica a distanza è di fatto diventata obbligatoria, ma perché sia un diritto esigibile occorre che ai genitori che lavorano vengano confermati i permessi e le agevolazioni previsti dalla normativa emergenziale, che vengano distribuiti tablet e chiavette a chi non possiede la strumentazione necessaria, che famiglie e alunni i quali mancano di mezzi e competenze informatiche vengano affiancati, anche a distanza, da esperti, che l’inclusione a distanza venga programmata e realizzata in modo congiunto dagli insegnanti curricolari e di sostegno, insieme agli assistenti all’autonomia e alla comunicazione e alle famiglie.
Come ANS (Associazione Nazionale Subvedenti), stiamo cercando di sostenere le persone con disabilità visiva e le loro famiglie, fornendo loro soprattutto informazione, ascolto, consulenza e sostegno e segnalando le “buone prassi” esistenti*.
*In riferimento alle “buone prassi” esistenti relativamente alla didattica a distanza, Donatella Morra ne elenca una serie, sia in àmbito istituzionale che associativo o riguardante gli organi d’informazione (a questo link è disponibile l’elenco completo).
Vicepresidente dell’ANS (Associazione Nazionale Subvedenti), membro del Gruppo LEDHA Scuola (la LEDHA è la Lega per i Diritti delle Persone con Disabilità, componente lombarda della FISH-Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap).
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