Nelle scorse settimane avevamo parlato di “dramma delle persone con disabilità negli Stati Uniti”, riprendendo l’allarme lanciato dal giornale «Avvenire» sulla scelta di molti Stati degli USA, durante l’emergenza coronavirus, di non curare persone con diverse disabilità per consentire la cura delle altre persone. Oggi, con altrettanta preoccupazione, leggiamo quanto scrive Adriana Belotti in «Lettera 43», su quanto sarebbe accaduto – e starebbe tuttora accadendo – in Gran Bretagna, come riferito il 19 aprile dal quotidiano «The Guardian».
In sostanza, il Governo britannico avrebbe escluso un cospicuo numero di persone con disabilità, anziane e ammalate dalla possibilità di accedere al servizio di distribuzione dei pacchi alimentari erogato dalle autorità locali o di usufruire della consegna prioritaria della spesa ordinata online tramite i siti internet dei supermercati. A tutte quelle persone, infatti, valutate nell’ordine di almeno un centinaio, era stato imposto il divieto di uscire di casa per dodici settimane, allo scopo di evitare il rischio di contagio, ma nonostante l’obbligo di isolamento domiciliare, era stata anche negata loro la possibilità di iscriversi al registro online riservato alle famiglie inglesi estremamente vulnerabili, condizione indispensabile per accedere appunto ai servizi di approvvigionamento.
«Molte di quelle persone – scrive Belotti, sempre riprendendo da “The Guardian” – hanno dichiarato alla stampa di dormire quasi tutto il giorno per non sentire i morsi della fame o di essere costrette a nutrirsi solo di frutta. Come Deborah Bhatti, una donna cinquantenne che assume quaranta farmaci al giorno, inclusi quelli per l’asma e un disturbo autoimmune. Non è stata considerata idonea a rientrare nel servizio di raccolta delle prescrizioni mediche e di distribuzione dei farmaci e dei pasti caldi offerto dal suo Comune e si trova quindi costretta a dividere le scatolette di tonno con il suo gatto. O Vicky McDermott, quarantenne affetta da artrite reumatoide e madre di una bambina colpita da una patologia severa, che racconta di avere ricevuto quattro lettere dal Governo in cui la si ammoniva di restare a casa e di aver cercato di iscriversi al registro online senza tuttavia riuscirci. Il Governo britannico, quindi, ha lasciato che circa cento persone patissero la fame e non potessero curarsi per diverse settimane oppure che fossero costrette a uscire di casa per procurarsi da sole cibo e medicinali, correndo il rischio di essere contagiate».
Di fronte alle proteste di numerose organizzazioni, il Dipartimento per la Salute e le Cure Sociali ha cercato dapprima di rispondere, ammettendo che il tutto sarebbe stato causato da «ritardi burocratici» (!). Successivamente, però, il Governo ha cercato di “allentare” i criteri necessari per accedere al registro online, suscitando tuttavia ulteriori proteste da parte di organizzazioni come l’MND (Motor Neurone Disease Association), secondo la quale «alcuni Parlamentari avrebbero sottolineato che le persone con forma lieve di malattia del motoneurone [SLA, atrofie muscolari spinali, N.d.R.] non avrebbero diritto ad essere inserite nella lista. Noi, però, non abbiamo mai visto “forme lievi” di malattie come quelle che seguiamo».
Dal canto suo, l’organizzazione WellChild stima che molti dei 100.000 bambini e giovani con gravi patologie nel Regno Unito non soddisferebbero i criteri per rientrare nel Registro.
A questo punto è certamente degno di riflessione il commento conclusivo di Belotti, che scrive: «Quanto sta accadendo ha l’amaro sapore di una “pulizia” dove la vittima, anziché un’etnia particolare, è una minoranza sociale. La Gran Bretagna, patria dei primi movimenti di attivisti per la difesa dei diritti delle persone con disabilità, sta precipitando nell’inciviltà e nella barbarie. Ogni Stato dovrebbe essere in grado di attivare risorse per la presa in carico di tutti, anche in emergenza, non selezionare chi può essere salvato e chi invece lasciare al proprio destino. In base a quale criterio, poi?». Un quesito da sempre presente sulle nostre pagine, ancor più nell’attuale situazione di straordinarietà. (S.B.)