Sono la madre di una ragazza con sindrome di Down di 17 anni che frequenta la scuola secondaria di secondo grado e in relazione al dibattito acceso sulle pagine di «Superando.it» a seguito della proposta dell’avvocato Salvatore Nocera di modifica dell’Ordinanza Ministeriale 90/01, con l’eliminazione della possibilità, attualmente data alle famiglie, di rifiutare il “PEI differenziato” [Piano Educativo Individualizzato, N.d.R.] a partire dal secondo anno della scuola secondaria di secondo grado e di lasciare al solo Consiglio di Classe la possibilità di decidere il percorso scolastico degli alunni con disabilità, mi permetto di esprimere il mio modesto parere, maturato sulla base della mia personale esperienza di genitore di ragazza con disabilità cognitiva e della conoscenza dell’esperienza di moltissime famiglie che si sono trovate e si trovano nella mia medesima condizione [si legga nella colonnina a fianco l’elenco dei contributi da noi pubblicati su questo tema, N.d.R.].
Non sono assolutamente d’accordo con la proposta dell’avvocato Nocera di estromettere le famiglie dalla scelta del percorso scolastico – “semplificato” o “differenziato” – nelle scuole secondarie di secondo grado a partire dal secondo anno scolastico e ne vorrei spiegare le ragioni, basando la mia analisi e le mie considerazioni sull’osservazione di un quadro realistico dell’attuale situazione della scuola, conosciuto per esperienza diretta e limitandomi alle scuole secondarie di secondo grado per non dilungarmi troppo sui vari problemi.
La decisione di procedere ad un piano di studi differenziato nelle scuole superiori viene presa all’inizio dell’anno scolastico, dopo pochi giorni dall’apertura della scuola, quando i docenti non hanno ancora conosciuto l’alunno, le sue capacità, il suo modo di apprendere, il suo modo di comunicare, il suo essere persona. Spesso non c’è raccordo tra la scuola media di provenienza e non viene fatto un incontro di presentazione dell’alunno. Le ASL e i neuropsichiatri, quando ci sono, non forniscono informazioni e indicazioni, se non generiche, sulle modalità da seguire per consentire gli apprendimenti. Dal canto loro, i docenti curricolari, non formati sulla didattica inclusiva, delegano al solo insegnante di sostegno il compito di redigere il piano didattico e di prendersi cura degli apprendimenti dell’alunno. La presenza dell’insegnante di sostegno, però, non è garantita fin dal primo giorno di scuola e molto spesso le famiglie sono costrette a rivolgersi ai Tribunali per vedere realizzato tale diritto. Inoltre, non sempre il docente di sostegno nominato ha una specializzazione e a volte si trova al suo primo incarico sul sostegno, senza avere alcuna esperienza, se non buona volontà (quando va bene). Spesso le risorse assegnate all’alunno per garantire l’inclusione si rivelano solo un modo per togliere l’alunno stesso dalla classe e relegarlo nelle “aule di sostegno”.
E negli anni successivi al primo? Non è certamente sufficiente un anno scolastico per conoscere un alunno e non sempre il Consiglio di Classe è lo stesso negli anni successivi, perché non viene assicurata la continuità né dei docenti curricolari né dell’insegnante di sostegno. Inoltre, quasi sempre al passaggio dal biennio al triennio l’intero Consiglio di Classe, o buona parte di esso, è sostituito da altri docenti e si deve nuovamente instaurare una relazione e una conoscenza reciproca tra docenti, alunno e famiglia. Quindi poco cambia che sia il primo anno o i successivi, il problema rimane. Aggiungo che, se viene seguito un percorso differenziato, per l’alunno che volesse recuperare e avesse bisogno di un tempo più lungo per assimilare quei saperi che lo potrebbero portare a seguire il programma della classe, non è possibile neanche la ripetenza e la possibilità di recuperare le eventuali carenze o di adeguare il suo percorso scolastico ai suoi tempi di apprendimento.
E le famiglie? I genitori, in genere, si affacciano al mondo della scuola con fiducia e con rispetto, nutrendo in essa aspettative sull’aiuto, il supporto, la condivisione, la collaborazione, la cooperazione, la fiducia reciproca; essi affidano i figli alla scuola, sicuri che questa attivi le migliori risorse ed energie per garantire e tutelare il diritto all’istruzione e all’educazione degli alunni.
Nel tempo, però, possono rendersi conto che non sempre i diritti dei figli vengono rispettati e garantiti; a volte solo col passare del tempo riescono a constatare quale perdita di chance sia stata causata ai loro figli e a realizzare che il sistema che avrebbe dovuto contribuire significativamente al processo di crescita si è rivelato come un ostacolo. E a volte questa consapevolezza si assume quando il tempo-scuola trascorso è ormai passato e non può tornare…
Chi ancora può, deve – sottraendo tempo alla famiglia, al proprio lavoro e al figlio stesso – rimboccarsi le maniche per studiare la normativa, informandosi sui diritti e sugli obblighi di ciascuno, per poter far rispettare i diritti dei propri figli. Deve rimettersi a studiare le varie materie per poter seguire il figlio e sostituirsi alla scuola nella spiegazione e nella semplificazione degli argomenti. È inoltre costretto ad affidarsi ai legali per la tutela dei diritti dei figli o a professionisti esterni alla scuola per essere supportato, didatticamente o pedagogicamente, con notevole aggravio economico.
Non tutti, però, hanno le competenze, le capacità economiche, il tempo, le possibilità culturali e sociali per attivarsi e non tutti gli alunni con disabilità hanno alle spalle una famiglia che possa supplire alle carenze della istituzione scolastica.
Ora, in questo quadro realistico, mi chiedo come possa definirsi sin dai primi mesi il percorso scolastico che lo studente con disabilità dovrà seguire. Come si può prevedere che sia il solo Consiglio di Classe a stabilirlo? Non può certamente conoscere già all’inizio della scuola secondaria di secondo grado le potenzialità e il livello che il ragazzo svilupperà nel futuro e “imprigionarlo” in un percorso che segnerà la sua vita. La scuola inclusiva non può essere solo per chi ha i genitori culturalmente, economicamente, psicologicamente, fisicamente in grado di tutelare i propri figli. I genitori non dovrebbero sostituirsi alle incompetenze e alle carenze della scuola, ma dovrebbero poter contare sulla garanzia che la scuola metta in campo tutte le risorse, gli strumenti e le competenze professionali sin dal primo giorno.
La citata Ordinanza Ministeriale 90/01, così come oggi formulata, consente alle famiglie il diritto di rifiutare il “PEI differenziato” proposto dal Consiglio di Classe. Qualora quest’ultimo non sia favorevole alla richiesta da parte della famiglia di passaggio dal “PEI differenziato” al “PEI semplificato”, e quindi in caso di rifiuto della famiglia del “PEI differenziato”, l’alunno sarà valutato come se non avesse la disabilità, pertanto, con i criteri e la griglia di valutazione della classe. Già tale previsione, a mio parere, rappresenta una palese discriminazione in quanto la valutazione deve sempre tener conto delle caratteristiche personali dell’alunno e quindi anche della sua disabilità e ciò deve poter sussistere anche in caso di rifiuto da parte della famiglia del “PEI differenziato”. Attualmente, invero, è spesso utilizzata come uno strumento per impedire alle famiglie di esercitare il proprio diritto alle scelte educative dei figli, nonché come strumento di “ritorsione” da parte di alcuni docenti nei confronti degli studenti e delle famiglie. Pertanto, la modifica che andrebbe proposta è che tale stortura venisse rivista ed eliminata, consentendo che, anche in caso di rifiuto del “PEI differenziato”, la valutazione tenesse conto della disabilità e delle caratteristiche personali dell’alunno.
La proposta di modifica dell’avvocato Nocera di eliminare in toto la possibilità alle famiglie di rifiutare il “differenziato” dal secondo anno della scuola secondaria di secondo grado va nel senso opposto a quanto esse chiedono e aggraverebbe ancor di più la situazione degli alunni con disabilità le cui famiglie stanno lottando da anni per l’abolizione di tutto ciò che limita la piena realizzazione dell’uguaglianza sostanziale dei propri figli.
Le famiglie chiedono in sostanza che non si decidano percorsi differenziati sulla base di pregiudizi, ma che si attuino percorsi personalizzati che portino ogni alunno a raggiungere il successo formativo sulla base delle proprie reali potenzialità, applicando tutti gli strumenti e gli ausili necessari per mettere in condizione l’alunno stesso di apprendere.
Le famiglie chiedono di potere affidare i propri figli a una scuola sana, senza storture, senza pregiudizi, senza carenze, dove ognuno si assuma le proprie responsabilità e metta a frutto le proprie competenze, dove si attui una reale e vitale collaborazione tra scuola e famiglia, dove si concretizzi il diritto all’istruzione dei propri figli, dove si realizzi la piena inclusione e il rispetto delle caratteristiche di ognuno, dove ogni ragazzo sia sostenuto e supportato nelle proprie fragilità, e, nel contempo, sia spinto a tirar fuori il meglio di sé e delle proprie potenzialità, dove ogni ragazzo possa costruire il suo bagaglio di competenze, dove ogni percorso, infine, sia calzato su misura per ogni alunno e possa portarlo alla piena realizzazione di sé.
Impegnamo le nostre menti, le nostre idee, le nostre forze, le nostre risorse a realizzare una scuola veramente inclusiva, anziché proporre di togliere alle famiglie il diritto di esprimersi sull’educazione dei propri figli. Rafforziamo il patto educativo scuola-famiglia, invece di mettere l’uno contro l’altro in un braccio di ferro che non fa bene a nessuno. Realizziamo una reale condivisione degli obiettivi tra tutti coloro che gravitano intorno all’alunno con disabilità. Ma soprattutto mettiamo al centro la persona, il ragazzo, la ragazza, le sue capacità, le sue aspettative, i suoi desideri, i suoi sogni, i suoi progetti. Non si può precludere a nessuno il suo futuro.