#IwantWork, ovvero “Io voglio lavorare”: è questo lo slogan, l’hashtag e anche l’appello che ValueAble, la rete europea per l’inclusione lavorativa delle persone con disabilità intellettiva già ampiamente presentata a suo tempo anche su queste pagine, lancia nell’imminenza del Primo Maggio, Festa dei Lavoratori, «un appello – come sottolineano dall’AIPD (Associazione Italiana Persone Down), capofila di ValueAble – che suona particolarmente forte nel momento in cui il mondo intero da quasi due mesi si è fermato e tanti lavoratori sono in difficoltà. Proprio per questo, dunque, la campagna lanciata dalla rete, cui aderiscono sei Paesi europei, assume un significato e un valore particolare: ha il compito, infatti, di far sentire con forza la voce di queste persone, per le quali il lavoro è anche inclusione sociale e autonomia».
A #IwantWork, dunque, possono partecipare tutte le persone con sindrome di Down o un’altra disabilità intellettiva che lavorano e/o che cercano il lavoro. La richiesta è di pubblicare un post sui social, tra il 30 aprile e il 3 maggio, con il messaggio “Io voglio lavorare”, accompagnato dagli hashtag #InternationalWorkersDay, #ValueableNetwork, #IwantWork e con il tag dell’associazione di riferimento, dell’azienda presso cui si è eventualmente inseriti e di @ValueableNetwork. Il tutto, accompagnato da una foto in cui la persona tenga in mano un cartello con la scritta “Io voglio lavorare”.
«Oggi – ricordano dall’AIPD – nella nostra rete lavora il 13,5% delle persone con sindrome di Down adulte, svolgendo occupazioni semplici ma reali e contribuendo in modo significativo alla produttività delle aziende in cui sono inserite. I numeri sono cresciuti negli ultimi anni grazie a politiche di collocamento mirato e a una progressiva maggiore disponibilità dei settori dell’accoglienza e della grande distribuzione. Con l’attuale crisi sanitaria, sociale ed economica, per altro, la richiesta di lavoro da parte delle persone con disabilità intellettiva potrebbe rischiare di suonare fuori contesto e inaccoglibile. Per noi, invece, assume particolare importanza e urgenza per diverse ragioni. Primo, perché il lavoro rappresenta, per le persone con sindrome di Down, una possibilità di sviluppo di autonomia e competenze. Rimanere senza un impiego significa, nella maggior parte dei casi, restare a casa con i genitori. E ora più che mai sappiamo tutti quanto sia difficile, appunto, restare a casa senza una motivazione personale e una vita sociale. In secondo luogo, sono proprio i settori della ristorazione e della ricettività alberghiera, in cui sono inseriti tanti lavoratori con sindrome di Down, a soffrire oggi una crisi che minaccia di durare più a lungo che non in altri àmbiti produttivi. Sappiamo quindi che le persone con sindrome di Down rischiano più di altri di perdere il lavoro o di non essere accolti con nuovi tirocini e ci rendiamo ben conto delle difficoltà legate a quella che sarà sicuramente una richiesta inferiore da parte di ristoranti e alberghi. Per questo ci candidiamo, con la nostra esperienza e la nostra creatività, per individuare, insieme agli imprenditori e alle istituzioni, nuove figure professionali e mansioni lavorative, che nasceranno per necessità dall’attuale crisi, in cui le persone con sindrome di Down potranno essere coinvolte. Pensiamo, ad esempio, all’imballaggio dei pasti da asporto, al commercio a distanza o alla vigilanza e al controllo nelle aree verdi, come sarà richiesto dalle esigenze di contenimento del contagio».
«Confidiamo dunque – concludono dall’AIPD – che il prossimo Primo Maggio sia l’occasione per iniziare a riflettere sui “nuovi lavori” che le persone con Sindrome di Down e con altre disabilità intellettive potranno svolgere, in questa delicata fase che il mondo sta attraversando. È importante, infatti, non dimenticarsi di questi lavoratori e del loro diritto come cittadini ad avere un ruolo sociale riconosciuto dalla nostra Costituzione secondo le proprie capacità, dimostrate in anni di storia dell’abilitazione al lavoro, di fronte al pericolo di ricadere in risposte solo assistenziali che umiliano la loro crescita e la loro volontà». (S.B.)
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