Sono un cattolico praticante, ex presidente nazionale del MAC (Movimento Apostolico Ciechi), Associazione di fedeli laici ciechi e vedenti riconosciuta dalla CEI (Conferenza Episcopale Italiana), in base al diritto canonico e anche dal Governo italiano, che ha riconosciuto ad essa la personalità giuridica e ora l’ha anche regolata con le norme sugli Enti di Terzo Settore.
Ho letto il Protocollo fra CEI e Governo italiano del 7 maggio scorso sulla riapertura delle chiese per la celebrazione delle Messe e ho molto apprezzato le norme cautelative poste a difesa del diritto alla salute dei fedeli e dei celebranti e della prevenzione dalla diffusione del coronavirus.
Avevo già apprezzato, in buona compagnia con altri cattolici praticanti, la saggezza con la quale la CEI e il nostro Governo avevano concordato di tenere chiuse le chiese allo scoppio della pandemia ed ero stato in disaccordo con quanti, anche carissimi amici e persone religiose da me profondamente stimate, insistevano per l’immediata riapertura delle chiese stesse e per la ripresa delle celebrazioni delle Messe.
Sono però rimasto sbalordito quando ho letto il punto 1.8 del citato Protocollo che così recita: «Si favorisca, per quanto possibile, l’accesso delle persone diversamente abili, prevedendo luoghi appositi per la loro partecipazione alle celebrazioni nel rispetto della normativa vigente».
Lascio da parte la terminologia «persone diversamente abili», che ormai non è più in vigore da l’Italia ha ratificato, con la Legge 18/09, la Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con disabilità. Questa è infatti la terminologia legale che un protocollo diplomatico sottoscritto dal nostro Governo dovrebbe ben conoscere.
Però, ripeto, mi ha sbalordito la norma citata, che prevede, solo per le Persone con disabilità, la benevola concessione della possibilità eventuale, e non del diritto come per tutti gli altri fedeli e gli altri cittadini, di «luoghi appositi per la loro partecipazione alle celebrazioni».
Ritengo ovvia e giustissima la chiusa del periodo normativo, valida per chiunque, ove si scrive «nel rispetto della normativa vigente». Tale inciso, infatti, si riferisce chiaramente alle indispensabili misure di sicurezza previste per tutti e quindi anche per le Persone con disabilità. Ma se esse rispettano le distanze di un metro e mezzo, se portano le mascherine, se non hanno una temperatura corporea non superiore a 37.5°, se evitano in chiesa assembramenti, perché devono essere discriminate in un luogo separato, “escluse” dalla comunità dei fedeli?
In particolare l’inciso «luoghi appositi per la loro partecipazione» mi lascia incredulo, come se mi arrivasse dal Medioevo e mi chiedo, ritenendo che siano in tantissimi a pensarlo, come si sia potuta scrivere nel 2020 una frase del genere, quando sia in Italia da oltre cinquant’anni, sia nei discorsi ufficiali di tutti gli ultimi Papi, a partire dal Concilio Vaticano del 1962-1965, oltreché nella prassi corrente della Chiesa, si parla di integrazione e di inclusione sociale ed ecclesiale.
Ci sono stati convegni in cui le massime autorità italiane hanno sottolineato il valore dell’inclusione sociale delle Persone con disabilità e ci sono stati anche Giubilei espressamente dedicati all’inclusione ecclesiale delle stesse Persone con disabilità. Anche la CEI, del resto, ha voluto creare un Ufficio apposito per l’inclusione ecclesiale delle Persone con disabilità che è meritorio per la diffusione della cultura teologica e della prassi pastorale disseminata ovunque nelle parrocchie, favorendo in modo mirabile una cultura assai avanzata in questo senso.
Dato lo sbalordimento per questa incredibile norma, mi sono dato da fare per saperne di più, e mi pare di avere capito che inizialmente il divieto fosse venuto dal Comitato Scientifico di medici della Presidenza del Consiglio, il quale avrebbe inizialmente interdetto alle Persone con disabilità la partecipazione alle Messe, per proteggerle dal rischio di contagio, in quanto persone particolarmente «fragili». Di fronte però al rifiuto della CEI di sottoscrivere una norma manifestamente discriminatoria, il Comitato ha preteso che il Governo proponesse questo attuale “compromesso”.
È invero strano che le Persone con disabilità per ciò stesso debbano essere tutte “fragili”; certo, ce ne sono, ma non perché sono con disabilità, bensì perché hanno anche altri problemi di salute, come tutti.
Anche le persone anziane sono “particolarmente fragili” e i dati statistici di queste ultime settimane lo hanno dimostrato con grande dolore per noi tutti. Ma non perché sono persone anziane, bensì perché avevano delle malattie o erano immunodepresse.
Correttamente il Comitato Scientifico non ha neppure per un minuto pensato di inserire anche per le persone anziane una norma simile a quella relativa alle Persone con disabilità, per le quali sarebbe bastato disporre che non si consentiva la partecipazione solo a quelle con altre malattie o immunodepressi. E allora perché l’ha fatto?
A mio avviso perché è ancora troppo diffuso, anche in ambienti colti e scientifici, il pregiudizio che noi Persone con disabilità siamo “facilmente esposte a tutti i rischi” e quindi dobbiamo essere “protette”. Pertanto è un un eccesso di zelo nel nostro interesse che avrebbe portato a questa norma estremamente prudenziale. Questo pregiudizio, però, risulta non avere alcun fondamento scientifico, dal momento che tante Persone con disabilità svolgono sport non solo amatoriali, ma anche agonistici e molti di noi sono occupati in lavori non solo intellettuali, bensì anche fisici, smentendo così tanti pregiudizi ancora esistenti.
Per altro, l’inciso «nel rispetto della normativa vigente » avrebbe dovuto creare delle perplessità nel Ministro dell’Interno e nel Presidente del Consiglio. Essi infatti, che pure hanno avviato politiche di tutela dei diritti, specie in questi momenti emergenziali, devono conoscere la Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità, che vieta ogni discriminazione legata alla disabilità. La Convenzione è ormai diritto vigente in Italia e quindi non avrebbero dovuto accettare di seguire pedissequamente il “compromesso” proposto dal Comitato Scientifico, limitandosi a pretendere tutte le misure di garanzia previste per tutti e i divieti per le Persone con disabilità malate, immunodepresse, positive al virus o che siano state in contatto con persone positive al virus, come per tutti.
Questa attuale discriminazione è dunque ingiustificata, scientificamente non fondata e giuridicamente illegittima sotto il profilo costituzionale e internazionale.
Per porre rimedio a tale vulnus sarà necessario modificare il Protocollo nel senso testé indicato, perché esso costituisce pure una violazione del Concordato, impedendo «l’esercizio del diritto di culto alle Persone con disabilità in condizione di uguaglianza con le persone senza disabilità», come espressamente recita la Convenzione ONU in varie sue norme.
Questo, chi scrive, insieme a tantissime altre Persone con disabilità, chiediamo alla CEI, apprezzandone il suo iniziale rifiuto contro il diniego assoluto alla nostra partecipazione, e questo chiediamo al Presidente del Consiglio che, unico Presidente del Consiglio italiano, ha creato un apposito Ufficio presso la Presidenza del Consiglio per coordinare finalmente tutte le politiche sul superamento dell’handicap e la migliore qualità dell’inclusione in Italia.
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