L’epoca dei sepolcri imbiancati: riflessioni semiserie di un’addetta ai lavori

di Marcella Nalli
«Ma come? - si chiede e chiede Marcella Nalli - Prima, in riferimento alla scuola, si abusava del termine “formazione”, ora si parla quasi sempre di “educazione”… Ma l’educazione non era una delega affidata alla famiglia? Che sia perché da oggi alla famiglia si chiede di tutto?»: è il primo di tre dubbi condivisi con i Lettori, il secondo dei quali riguarda l’attuale ruolo dell’insegnante di sostegno e il terzo la didattica a distanza per gli alunni con disabilità grave. «Nonostante questi dubbi - conclude Nalli - vado avanti a sperare che la crisi attuale produrrà almeno qualcosa di buono»

Aula scolastica vuotaCome moltissime altre persone, la tastiera del PC questa mattina mi trova nei primi giorni della settimana di riapertura dopo il lockdown: finalmente ci siamo, è il momento di bilanci e di ripartenze!
Lavorando da casa, e avendo come incarico la formazione del personale per una grande organizzazione del Terzo Settore che si occupa anche di servizi scolastici per la disabilità, ho cercato di tenere gli occhi (e le orecchie) bene aperti sui cambiamenti che possono arrivare nel modo di “far scuola” dopo un periodo così interessante, potenzialmente foriero di tanti cambiamenti.
Si sa, una maledizione cinese (…come il Covid-19) recita: «Ti auguro di vivere in tempi interessanti», intendendo che i tempi interessanti e ricchi di stimoli sono quasi sempre tempi difficili e questo che stiamo vivendo non fa alcuna eccezione…
Così, partecipando ai mille webinar disponibili e leggendo tanti articoli della stampa specializzata sui temi della scuola nei riflessi della crisi, specialmente sul mondo variegato dalla disabilità, mi sono sorte mille domande e mi sono posta mille dubbi con il risultato che il mio “bilancio personale” vacilla.
Faremo passi avanti dopo questa crisi, resteremo “fermi ai blocchetti di partenza” o ci ripeteremo ancora il tormentone “Andrà-tutto-bene”, dimenticando che il motto è (ahimè!) la citazione di una mistica inglese del ’400 (Giuliana di Norwich) che percepì la frase da Gesù ai piedi della Croce?

Primo dubbio: ora, in riferimento alla scuola, si parla quasi sempre di educazione. «Ma come?», mi sono chiesta. Prima si abusava del termine formazione e la stranezza era che ci si riferiva ad un àmbito scolastico e non professionale in cui tradizionalmente si relegava il termine stesso. Ora si parla solo di educazione: ma l’educazione non era una delega affidata alla famiglia?
La risposta mi è apparsa chiara ben presto! Da oggi chiedono di tutto alla famiglia: ecco il perché! La famiglia deve provvedere all’acquisto (salvo poche eccezioni, salite agli onori della cronaca) dei devices [apparecchiature tecnologiche, N.d.R.], pur avendo anche spesso l’onere di provvedersi degli strumenti tecnologici per lo smart working [“lavoro agile”, N.d.R.] dei suoi componenti.
La famiglia deve eleggere ad “educatore di supporto” un proprio membro che affianchi lo studente, salvo che il Piano di Educazione Individuale (per gli studenti che hanno Bisogni Educativi Speciali) era un emerito sconosciuto ai più dei genitori, nonostante l’obbligo formale, dal 2019, di prendere parte alla sua stesura.
La famiglia deve conoscere le strategie utilizzate per i processi di inclusione, dimenticando che una sofferenza connaturata con la genitorialità di un figlio “speciale” le rende difficile (o le impedisce) di affrontare la concretezza degli “obiettivi ridotti” per il congiunto e infine che le metodologie didattiche specifiche non sono poi così popolari, a partire dalla conoscenza del codice Braille/LIS/ CAA [la LIS è la Lingua dei Segni Italiana, la CAA è la Comunicazione Aumentativa Alternativa, N.d.R.], per lo più ignota anche agli insegnanti.
«In educazione non si devono fare esperimenti rischiosi», mi insegnava durante il corso di laurea un mio vecchio professore di pedagogia speciale. Ma allora?…

Secondo dubbio: fino all’anno scorso si imputava agli insegnanti curricolari di non essere sempre sufficientemente preparati in materia di strategie educative per l’inclusione e si esigeva da loro il “supremo” rispetto dello svolgimento esaustivo dei programmi ministeriali. Inoltre si specificava che fra essi, gli insegnanti di sostegno non erano addetti al singolo studente con certificazione (Legge 104/92), ma la loro assegnazione, giustificata dalla presenza nella classe dallo studente certificato, li qualificava come addetti a realizzare il processo di inclusione e il buon esito dei relativi progetti per tutti i componenti della classe.
Ora, invece, si dà per scontato che gli insegnanti cambieranno velocemente il loro approccio didattico ancora vagamente “gentiliano” e, insieme alle necessarie lezioni sui contenuti, realizzeranno nel contempo incontri a distanza per la cura del mantenimento dei buoni rapporti con i tutor amicali (i compagni) per il senso di appartenenza dell’alunno distanziato dalla sua classe, e con le famiglie. Si dà per scontato che possano scegliere qualsiasi piattaforma per la didattica a distanza, anche se non provvista dei criteri di accessibilità. Ora si ascrive all’insegnante di sostegno l’incarico di scegliere le TIC (Tecnologie dell’Informazione e della Comunicazione) per le singole disabilità o per i BES (Bisogni Educativi Speciali), dando per scontato che gli insegnanti di sostegno lavorino con il singolo studente anche con videolezioni personalizzate, quindi con obiettivi diversi da quali che in precedenza doveva curare.
Forse, nella confusione, mi sono persa qualcosa. Non era il completamento annuale dei programmi ministeriali l’incubo e l’ambizione dei docenti? Non erano proprio gli insegnanti curricolari e di sostegno a reclamare un supporto esterno con assistenti specializzati (assistenti per la comunicazione e l’autonomia) a cui si riconosceva l’indubbia preparazione nel merito della didattica speciale adattata alle diverse disabilità e a cui demandavano ogni scelta, sentendosi impreparati in materia?

Terzo e ultimo dubbio: la didattica online utile per studenti con la disabilità grave può esistere e, se sì, come deve essere? Forse però questo terzo dubbio non è solo mio, poiché una delle frasi più citate nei molti webinar a cui ho assistito, proviene dalla Lettera a una professoressa del visionario Don Milani ed è: «Non c’è nulla che sia più ingiusto quanto far parti uguali fra disuguali».
Chi lavora nei servizi educativi per la disabilità sa bene che gli obiettivi didattici per i soggetti più fragili (ad esempio i multi-disabili gravi), rimandano a “saperi pratici” che rendere efficacemente online è quanto meno improbabile. Forse con questa crisi socio-sanitaria, in materia di Scuola, è arrivato il momento di riconoscere che anche se tutti abbiamo un’uguale dignità come Persone, non siamo tutti uguali e forse qualcosa è impossibile per qualcuno… “Il re è nudo!”: tutti lo sanno, ma solo oggi qualcuno ha il coraggio di affermarlo!

Ho condiviso alcuni dei miei dubbi, sicuramente frutto della reclusione da Covid-19, ma nonostante essi, vado avanti a sperare che la crisi attuale produrrà almeno qualcosa di buono. In fin dei conti l’intelligenza dell’uomo sta proprio nella sua adattabilità. Solo, per favore: alziamo l’asticella delle aspettative e non neghiamo le evidenze!

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