La fantascienza ci ha raccontato, nelle sue narrazioni, di mondi paralleli, e di mondi “di sopra” e mondi “di sotto”. La scuola inclusiva di Roma, nella fase dell’emergenza Covid-19, è entrata in un romanzo di fantascienza scritto male. O forse c’era già…
Il “mondo di sopra” del nostro racconto è quello in cui tutti gli Amministratori si impegnano al massimo, la didattica a distanza è assicurata a tutti e l’inclusione scolastica è garantita.
Un mondo in cui a due mesi dalla chiusura delle scuole, finalmente il Comune di Roma ha approvato il Verbale d’Intesa per l’approvazione di misure urgenti relative al servizio OEPA di Roma Capitale per tutto il periodo di sospensione delle attività didattiche in presenza per emergenza Covid-19 fino alla data di ripresa delle predette attività scolastiche in presenza [se ne legga anche sulle nostre pagine, N.d.R.] , in cui si plaude da alcune testate «ai tremila posti di lavoro salvati» (miracolo!).
Un mondo in cui la sindaca di Roma Virginia Raggi esclama : «Scuola, per gli alunni disabili AEC anche a domicilio, […] una risposta alle esigenze degli alunni con disabilità e a quelle delle loro famiglie e la garanzia della tutela salariale degli operatori» e alla quale fa eco l’assessora comunale Veronica Mammì: «Abbiamo voluto consolidare il coordinamento tra le strutture territoriali responsabili dei servizi, gli enti gestori e le famiglie, nell’interesse primario degli alunni con disabilità e a tutela dei lavoratori. Accessibilità, libertà di scelta e condivisione».
Un mondo bellissimo… con garanzie e diritti per tutti, alunni con disabilità e operatori (OEPA o AEC? Magari saperlo…).
E poi c’è il “mondo di sotto”, quello in cui ogni giorno, in ogni scuola, bisogna combattere per far restare i bambini con disabilità in classe, perché non seguono come gli altri, o disturbano, e allora devono stare nelle cosiddette “aule H”.
Un mondo in cui noi assistenti all’autonomia e alla comunicazione – è questa l’unica denominazione corretta, come da articolo 13 della Legge 104/92 – dobbiamo occuparci (perché le scuole ce lo chiedono, perché mancano gli ATA formati, perché bisogna farlo…) dell’assistenza di base, che spetterebbe agli ATA (Assistenti Tecnici Ausiliari), come stabilito da Sentenze, Note Ministeriali quale la 3390/01, nonché dal Contratto Collettivo Nazionale del Comparto Scuola.
Un mondo in cui ci dovremmo occupare di socializzazione e relazione, coltivare l’educazione socio-affettiva e la mediazione comunicativa con i compagni e i docenti. Se rimane tempo, però, quando non bisogna fare didattica, perché le ore di sostegno sono poche e non si può stare in compresenza.
Un mondo in cui se ti fai male (il 67% dei colleghi romani dichiarano di avere avuto almeno un infortunio a scuola negli ultimi cinque anni) non denunci, per “non mettere nei guai nessuno”.
Un mondo in cui devi stare a mensa col bambino per assicurare le sue autonomie, ma non puoi mangiare con lui e in cui se è assente te ne devi andare.
Un mondo in cui ti pagano sette-euro-sette all’ora e d’estate non vieni retribuito anche se hai un contratto a tempo indeterminato. Perché c’è il part-time ciclico.
Un mondo, infine, dove tutti gli altri professionisti della scuola, pubblici, non hanno smesso di lavorare e di essere retribuiti perché la scuola era chiusa. E non ha importanza quante volte noi assistenti abbiamo chiesto di essere coinvolti, a quanti sindacati e giornali abbiamo scritto. Niente. Ci hanno lasciato a casa ad aspettare ammortizzatori sociali che non arrivano. E le famiglie e i bambini ad aspettare, come noi.
E allora ritorno nel “mondo di sopra”, o almeno mi ci affaccio. E parlo dell’accordo “salvifico” del Comune di Roma, arrivato a tre settimane dalla fine della scuola…
Le parole chiave di esso sono coprogettazione, ovvero gli interventi devono essere rimodulati, tenuto conto delle esigenze delle parti rispetto alle necessità del bambino, come stabilito nel PEI (Piano Educativo Individualizzato); dunque l’intervento domiciliare si profila solo in caso di «alunni in condizioni di particolare gravità». Si intende che nella rimodulazione siano coinvolti tutti gli attori: ASL, Municipi, Famiglie, Scuole, Terapisti privati, Operatori.
Il secondo termine chiave è volontarietà degli operatori. Viene data in tal senso facoltà agli operatori di accettare l’intervento domiciliare o no, dato che in molti, moltissimi di noi pensano che l’operatore scolastico sia tale solo nel contesto-classe, inserito nell’équipe. Pensano insomma che il loro intervento si debba svolgere a scuola, per non perdere la sua natura e la sua specificità, per non snaturare collusivamente i rapporti con le famiglie. D’altronde la legge prevede la didattica a domicilio per gli insegnanti (articolo 41 del Decreto Legislativo 66/17) e noi non facciamo didattica, ma interventi di implementazione delle autonomie e di socializzazione.
Infine la sicurezza: per predisporre cioè gli interventi domiciliari, bisogna: adeguare i Documenti di Valutazione Rischio per i lavoratori; fornire tutti i dispositivi di protezione individuale (le fantomatiche mascherine FP2 e FP3) e i guanti, le tute ecc.; fare i corsi di formazione sulla sicurezza; predisporre gli adempimenti della Legge 328/00 con colloqui e visite domiciliari nelle case degli alunni per verificare condizioni abitative e necessità specifiche; certificare l’avvenuta sanificazione degli ambienti.
Detto ciò, ritorno nel mio mondo, quello “di sotto” e racconto una favola, ovviamente inventata, una storia di fantascienza, in cui ogni riferimento a luoghi, fatti o fatine è del tutto casuale.
C’era una volta, in un municipio “X” di una città grande grande, una scuola. In questa scuola si fa un bel Gruppo di Lavoro Inclusione di Istituto e si parla del Protocollo del Comune per il servizio di assistenza scolastica. Si fa coprogettazione, però il Neuropsichiatra dell’ASL, quello che dovrebbe valutare i casi gravissimi per cui serve il domiciliare, non c’è. Che abbia incontrato il lupo cattivo nel bosco?… E non c’è nemmeno la cooperativa. Allora una fatina buona del municipio “X” dice che si deve fare così: «Se le famiglie hanno detto che sono d’accordo sia per la didattica a distanza che per il domiciliare, allora scelga l’operatore». Bellissimo, che sensazione di libertà!
Però, c’è un però. Se l’operatore vuole fare la domiciliare, quel Municipio pagherà tutto, se invece vuole fare la didattica a distanza come gli insegnanti, allora si pagano solo due ore. Viva la libertà!
Si può scegliere, dunque: se si vuole essere pagati si fa la domiciliare. Punto. E le cooperative? Siamo dipendenti, dobbiamo accettare. Alla faccia di ogni altra valutazione. Anche se non vorremmo correre altri rischi, anche se, dopo avere accettato per anni ogni svilimento, ogni malversazione, ogni dapauperamento del diritto, non vorremmo fare un’altra volta ancora, l’ennesima, una mansione che non è la nostra.
E torniamo alla “guerra tra i mondi”. C’è un “mondo di sopra”, dove si parla di diritti, di inclusione, di progettazione, di incentivare il capitale umano. E un “mondo di sotto”, con operatori scolastici che si occupano, in condizioni miserevoli, di garantire i diritti dei bambini con disabilità (anche loro cittadini stabili del “mondo di sotto”, sia detto forte e chiaro), ma che non hanno mai visto né diritti né riconoscimento.
Come si fa a rendere conto della stanchezza, del disincanto, della profonda amarezza e anche della rabbia che proviamo noi assistenti all’autonomia e alla comunicazione in questo momento?
Si può fare un’unica considerazione: gli Enti Locali hanno fallito, perché non si può affidare il servizio di assistenza scolastica in mano a persone segnate dall’alterna fortuna delle vicende politiche e dai vincoli di bilancio. Si tratta infatti di un livello essenziale di assistenza, continuativo e strutturale e l’unico modo per garantirlo adeguatamente è un profilo professionale unico e definito, nonché l’internalizzazione nel Ministero dell’Istruzione.
Il Governo batta un colpo: noi assistenti all’autonomia e alla Ccomunicazione aspettiamo da decenni e i nostri bambini e le famiglie con noi. Fateci salire nel “mondo di sopra” a respirare un po’ di aria buona e pulita, perché quaggiù stiamo soffocando!