Non sono passati molti mesi da quando ci eravamo occupati della vicenda di Martina, giovane con sindrome di Down che una Commissione Medica del Torinese aveva giudicato «non autonoma, con poca capacità dell’uso di gambe e braccia, con la necessità di essere accompagnata e quindi non in grado di lavorare».
Martina, però, è una campionessa regionale di equitazione, pratica la subacquea e ha vinto nel nuoto varie medaglie con Special Olympics, il movimento internazionale dello sport praticato da persone con disabilità intellettive. Le gambe e le braccia, quindi, dovrebbe certamente saperle usare. Già da qualche anno, inoltre, va a scuola in autobus, oltre a partecipare a un progetto nazionale per l’autonomia coabitativa.
La storia, così come era stata resa nota anche dal quotidiano «la Repubblica» (cronaca di Torino), lasciava a dir poco perplessi, pensando, per dirne una, alle decine e decine di esempi di persone con sindrome di Down seguite da organizzazioni come l’AIPD (Associazione Italiana Persone Down) o l’ANFFAS (Associazione Nazionale Famiglie di Persone con Disabilità Intellettiva e/o Relazionale), inserite nel mondo del lavoro.
Quel verdetto, però, non era stato affatto accettato né da Martina né dai genitori Barbara e Valerio, che grazie anche al lancio sui social dell’hashtag #iostoconmartina, avevano dato grande visibilità alla vicenda, suscitando proteste a livello locale e nazionale.
«A quelle proteste – viene riferito oggi dalla CPD di Torino (Consulta per le Persone in Difficoltà) – non sono evidentemente rimasti sordi nemmeno i vertici dell’ASL TO 3, che sin da subito si sono resi disponibili a verificare la possibilità di sottoporre la ragazza ad un nuovo esame».
Il 5 scorso, quindi, la ventunenne si è ripresentata davanti alla Commissione del Distretto Sanitario Locale e questa volta il responso dei medici è stato esattamente l’opposto di quello precedente.
«Martina ha vinto per lei e per chi verrà dopo di lei – ha dichiarato la madre Barbara -; infatti, come abbiamo sempre sostenuto, la battaglia di un singolo deve diventare la battaglia di tutti e la vittoria di uno si trasforma nella vittoria di tutti».
Certo, a questo punto sembra quasi un paradosso dover esultare per il fatto che una giovane con sindrome di Down, campionessa dello sport e partecipante a un progetto per l’autonomia coabitativa, sia stata giudicata da una Commissione «in grado di lavorare e rendersi autonoma». Ma tant’è, quel che conta è che la battaglia sua e della sua famiglia sia stata finalmente vinta. (S.B.)