C’è un motivo per cui in Toscana – ma il problema è di tutta l’Italia – i centri diurni e le attività di socializzazione che coinvolgono le persone con disabilità debbano rimettersi in moto per buoni ultimi? Mentre cinema, teatri, spiagge e finanche le discoteche, dopo bar, pizzerie, ristoranti e ogni tipologia di locale pubblico, sono stati autorizzati a riaprire i battenti?
Onestamente un motivo proprio non c’è. E tuttavia ancora oggi sono molti i centri che non hanno riaperto le porte, con le persone con disabilità sotto stress perché private di punti di riferimento importanti e spesso delle uniche occasioni di socializzazione di cui dispongono, oltreché con i familiari snervati e in preda a burnout dopo mesi durissimi, nel corso dei quali la presa in carico delle persone con disabilità psichica, intellettiva e relazionale è durata ventiquattr’ore su ventiquattro.
Qual è il motivo di questa sottovalutazione dei problemi? L’indifferenza della burocrazia? Il timore “comodo” per persone considerate fragili? Le tutele pensate più per chi autorizza che per chi ha il problema? Oppure la consapevolezza che certe famiglie, annichilite da anni di fatica, finiscono per sopportare comunque ed essere acquiescenti?
Perché alla fine, onestamente, viene da pensar male. Dal momento che prima i tempi previsti erano dal 18 al 30 maggio. Poi all’inizio di giugno. Quindi entro fine mese. E con ogni probabilità finirà che molte riaperture avverranno entro la prima quindicina di luglio. Le notizie che arrivano un po’ da tutta la Toscana, sono queste.
E non si tratta nemmeno di sottovalutare i rischi del Covid-19. Non è proprio il caso. Perché salvo situazioni specifiche legate a immunodepressioni, i rischi sono gli stessi per tutti. Disabili e non. E con questi rischi dovremo convivere tutti, fino a che non arriverà il vaccino. Punto.
Se le cose stanno così, però, allora il problema è un altro. Il che significa che bisogna cambiare il modo di mettersi in relazione con le Istituzioni. E fare come fanno tutti: urlare e protestare in modo visibile. Verrebbe da dire strumentale. Perché sembra essere l’unica strada per essere presi in considerazione. E ottenere risultati.
Chi rappresenta le persone con disabilità psichica, intellettiva, relazionale o patologie psichiatriche – famiglie o associazioni – non lo fa mai volentieri, perché un conto è potersi autodeterminare, un conto è sollevare polveroni in nome di altri che non possono difendersi. Parlare in prima persona. Ma se fosse l’unica strada, bisognerà avere la forza d’animo di percorrerla fino in fondo. Non costringeteci a farlo. Ne va della dignità di tutti.