Nell’articolo 4-ter del recente “Decreto Scuola” recante Misure urgenti sulla regolare conclusione e l’ordinato avvio dell’anno scolastico e sullo svolgimento degli esami di Stato [Decreto Legge 22/20, convertito nella Legge 41/20, N.d.R.], appare la proposta e la legittimazione di un’azione didattica scientificamente infondata, culturalmente irricevibile e politicamente obsoleta.
Si tratta di introdurre, limitatamente all’anno scolastico 2019-2020 e solo per gli alunni con disabilità, l’opportunità di consentire la reiscrizione al medesimo anno di corso già frequentato, se sia stato «accertato e verbalizzato il mancato conseguimento degli obiettivi didattici e inclusivi per l’autonomia, stabiliti nel piano educativo individualizzato». Tradotto nella prospettiva dell’alunno, per altro non menzionata, si consente di essere “ripetente”, a fronte dell’ammissione “in massa” di tutti gli alunni all’anno successivo, decretata a metà maggio, sempre per “effetto Covid” [di tale provvedimento si legga già ampiamente anche sulle nostre pagine, ad esempio a Salvatore Nocera, “Ahi scuola, ‘nave senza nocchiere in gran tempesta’…”, disponibile a questo link e Id., “Né promuovere per ‘cacciare’, né bocciare per ‘parcheggiare’”, disponibile a questo link, N.d.R.].
L’articolo non ha fatto scalpore o sollevato indignazione, tranne che attraverso il dissenso della Presidenza della Società Italiana di Pedagogia Speciale. D’altra parte, la mitologia della “ripetenza” come dispositivo didattico utile, se non efficace, ha una lunga storia e sedimentazione nella pratica scolastica ed è tra le credenze di pedagogia popolare più influenti sui nostri sistemi di istruzione.
Nello specifico, diventa un vero e proprio “bias” che accomuna tutti gli interessati senza un confronto tra posizioni. Tutti tranne l’alunno, probabilmente, su cui ricade il peso esclusivo della soluzione emergenziale. Sul piano didattico, infatti, quale vantaggio riserverebbe agli alunni con disabilità “ripetere” l’anno 20192020? La risposta è molto semplice: nessuno. La mera ripetizione di una annualità non è – e i dati e la letteratura sono ampi sul tema – un dispositivo didattico capace in se stesso di promuovere uno sviluppo superiore sul piano dell’apprendimento, né una leva motivazionale per la vita creativa e fiorente degli individui.
Sebbene “ripetere” abbia un fondamentale valore, persino creativo, nei processi che stanno alla base dell’imparare, nulla ha a che vedere con la ripetenza di una classe scolastica, che implica componenti logistiche e tempistiche che non corrispondono alla personalizzazione dei percorsi scolastici.
L’articolo incriminato non parla di “bocciatura”, ma si fatica a credere che una mera “re-iscrizione”, salvaguardata da una formale ammissione, senza alcun altro connotato didattico correlato e necessario addotto, sia una soluzione possibile, laddove la stessa Legge 104, cui fa appello, pioniera nel mondo in tema di inclusione, dovrebbe garantire a tutti e comunque la differenziazione dei percorsi didattici nelle classi “di tutti” nel corso delle annualità, facendosi carico di introdurre i fattori contestuali favorevoli e rimuovendo ogni barriera all’attività e alla partecipazione. La disabilità non è un attributo degli alunni, ma ciò che emerge da un contesto sfavorevole/inadeguato ai funzionamenti diversi delle persone.
C’è da chiedersi come verrà spiegato a quell’alunno e alunna, che “godranno” del diritto a re-iscriversi, che non troveranno i loro compagni e compagne in aula a settembre, per effetto Covid… ma che sicuramente il Dirigente avrà provveduto a sistemare opportunamente e per tempo il nuovo organico, come si chiarisce in una Nota Ministeriale al Decreto.
Da docente di Didattica e Pedagogia Speciale e Inclusiva, sto dalla parte degli alunni e dico: no. Come cittadini dovremmo fare altrettanto, se non vogliamo tornare indietro, anziché cogliere la crisi come opportunità di “non ripetere”.