«Dal mese di marzo, cioè da quando è stato introdotto il lockdown su tutto il territorio nazionale per contenere la diffusione del Covid-19, una famiglia residente in provincia di Monza e Brianza non può visitare né far uscire il proprio figlio minore con grave disabilità ricoverato in una struttura residenziale. Allo stesso modo, una donna residente in provincia di Lecco non riesce a fare visita al fratello, un uomo di 50 anni con sindrome di Down, ricoverato in una struttura residenziale. E ancora, per mesi i genitori di un ragazzo con autismo non hanno potuto incontrare il figlio: solo da metà giugno, infatti, la struttura residenziale in cui vive il ragazzo ha permesso visite all’aperto, ma solo per brevi periodi di tempo. E infine, a un uomo con disabilità motoria viene negata la possibilità di uscire dalla RSD (Residenza Sanitaria Disabili) dove vive: sono solo alcune delle segnalazioni giunte in questi giorni al nostro Centro Antidiscriminazione Franco Bomprezzi, da parte di genitori e familiari che, aseguito della Delibera n. 3226 della Regione Lombardia (9 giugno), non possono visitare i propri congiunti ricoverati all’interno di strutture residenziali»: a denunciarlo è la LEDHA, la Lega per i Diritti delle Persone con Disabilità che costituisce la componente lombarda della FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap), ricordando di avere già messo pesantemente in discussione, a suo tempo, quella stessa Delibera della propria Giunta Regionale, insieme ad altre realtà del Terzo Settore lombardo (se ne legga anche sulle nostre pagine), ritenendolo un provvedimento «che avrebbe potuto essere adeguato all’inizio della pandemia, quando più che mai sarebbe stato necessario rendere impermeabili i servizi residenziali alla diffusione del Covid-19 (e in particolare le Residenze Sanitarie Assistite), ma che oggi risulta totalmente sproporzionato rispetto alla situazione attuale ed espone molte persone con disabilità a rischio di segregazione».
«Infatti – sottolinea ancora la LEDHA – la Regione Lombardia ha disposto che l’accesso alle strutture residenziali per persone con disabilità da parte di familiari, caregiver e conoscenti venga concesso solo eccezionalmente e su autorizzazione del responsabile medico delle strutture. Quindi, mentre il resto della società civile si apre a nuove relazioni sociali, la fase di confinamento per tutte le persone con disabilità che vivono nei servizi residenziali si sta prolungando a tempo indeterminato».
A fronte di tale situazione, i legali del Centro Antidiscriminazione della LEDHA hanno inviato una lettera all’assessore regionale al welfare Giulio Gallera, al garante nazionale dei Diritti delle Persone Detenute o Private della Libertà Personale Mauro Palma e al coordinatore del Comitato Tecnico-Scientifico dell’Osservatorio Nazionale sulla Condizione delle Persone con Disabilità Giampiero Griffo, sottolineando il carattere discriminatorio di questa situazione. «Ogni restrizione imposta alle persone che vivono nelle strutture residenziali – hanno scritto in tal senso Laura Abet e Giulia Grazioli, legali del Centro – , qualora non sia ragionevolmente motivata, può costituire una discriminazione sanzionabile ai sensi della Legge 67/06. Riteniamo quindi che, con i necessari dispositivi di protezione individuale, previo accertamento dello stato di salute e rilevazione della temperatura, non possa mai essere negato il diritto di incontrare il proprio familiare, dentro e fuori dalla struttura, nel rispetto delle norme attualmente in vigore e del diritto delle persone con disabilità alla dignità e all’inclusione, come previsto dalla Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità, ratificata dallo Stato italiano con la Legge 18/09».
Un ulteriore elemento di criticità messo in evidenza dalla LEDHA è dato dalla previsione normativa voluta dalla Regione Lombardia che contiene indicazioni specifiche in merito alla gestione delle uscite dalle strutture residenziali. Queste ultime, infatti, risulterebbero «lesive dei diritti delle persone con disabilità in quanto restrittive e limitanti, se è vero, ad esempio, che subordinando la possibilità di uscita all’autorizzazione del responsabile della struttura, la Regione attribuisce una discrezionalità estremamente ampia al medico della struttura il quale può limitare la libertà di movimento di una persona».
E ancora, il Centro Antidiscriminazione Bomprezzi considera eccessivamente restrittive e generiche anche le disposizioni regionali sui nuovi ingressi nelle strutture sociosanitarie. Per questo si chiede che, «nel caso in cui le condizioni di vita a domicilio si siano rese difficili, mettendo a rischio la dignità e l’incolumità della stessa persona, e si renda necessario un ricovero in struttura, venga effettuata una valutazione caso per caso. Con i necessari dispositivi di protezione individuale, infatti, previo accertamento dello stato di salute con tamponi e/o test sierologici, riteniamo si possano inserire nuove persone senza farle attendere mesi. Anche in questo caso, pertanto, l’eventuale diniego di un nuovo ingresso o la dilazione infinita dei termini, qualora non ragionevolmente motivati, possono costituire una discriminazione sanzionabile ai sensi della Legge 67/06».
«Auspichiamo – commenta Alessandro Manfredi, presidente della LEDHA – che la Regione Lombardia provveda alla modifica di quella discussa Delibera, tenendo conto delle osservazioni esposte dai legali del nostro Centro Antidiscriminazione i quali stanno già fornendo supporto e consulenze alle famiglie che si trovano in questa difficile condizione. E tuttavia, se necessario, ricorreremo alle vie legali per garantire i diritti delle persone con disabilità coinvolte in questa vicenda, non esitando a schierarci al fianco delle famiglie». (S.B.)
Per ulteriori informazioni e approfondimenti: ufficiostampa@ledha.it (Ilaria Sesana).