A proposito dell’Allegato alla Delibera n. 814/20 della Giunta Regionale Toscana, riguardante le Linee di indirizzo regionali per la presentazione dei progetti di vita indipendente, tale documento contiene a nostro parere alcuni punti inaccettabili, da noi già esposti verbalmente all’assessora regionale al Welfare Stefania Saccardi e al funzionario della Regione Ledo Gori.
Innanzitutto è evidente che, ai fini della vita indipendente, il “case manager” non può che essere il disabile stesso, altrimenti non può esserci la vita indipendente. Questa precisazione è assente nella Delibera.
Aprire poi il bando per la vita indipendente il 15 settembre di ogni anno, con la risposta a fine novembre, è incompatibile con l’utilizzo del bando stesso da parte dei disabili, per frequentare l’università. Se infatti un disabile si è già iscritto all’università, ma poi a fine novembre non gli viene concesso il finanziamento per la vita indipendente, che fa? Si cancella dall’università? E che fa nella vita? È un “mago” e trova in un giorno una soluzione alternativa a problemi così drammatici e enormi?
E ancora, fra i requisiti di accesso al finanziamento è stabilito che la condizione di disabilità non dev’essere determinata dal naturale invecchiamento o da patologie connesse alla senilità. Però, la Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità, vincolante in Italia, non stabilisce alcuna differenza per la vita indipendente per gli anziani. E lo Statuto della Regione Toscana mette sullo stesso piano la vita indipendente per i disabili adulti e per gli anziani.
Fra gli obiettivi prioritari mancano inoltre le voci Tempo libero-Vacanze-Accompagnamento alla riabilitazione. Nell’accompagnare un disabile alla riabilitazione, ad esempio, ci può essere fra l’altro la necessità di aiutarlo a spogliarsi e a rivestirsi, e quindi ci vuole l’assistente personale.
È grave, poi, che si indichino tassativamente come prioritari alcuni obiettivi, senza menzionarvi il tempo libero e le vacanze. L’assenza di tali obiettivi può portare a un isolamento autodistruttivo e quindi letale. Così come è grave che non si indichi fra gli obiettivi l’accompagnamento alla riabilitazione.
Già sotto questi primi profili, pertanto, è evidente che non ci sono titoli da parte della Giunta Regionale della Toscana per indicare gli obiettivi prioritari, senza limitarsi a farlo in maniera assolutamente indicativa.
Ad esempio, considerare la realtà concreta della vita dei disabili e non tenere conto del tempo libero e delle vacanze come obiettivi prioritari significa, come detto, condannare i disabili a un lockdown permanente e quindi, fra l’altro, anche a una morte precoce. Inoltre, tutti quelli elencati devono essere indicati come «fra gli obiettivi prioritari», e non come gli unici obiettivi prioritari. Ovvero deve essere lasciata al disabile la facoltà di indicare quelli che secondo lui sono i propri obiettivi prioritari, da accettare come tali, a meno che non vengano indicati espressamente dall’Ente Pubblico i motivi per cui tali obiettivi siano irricevibili. Ad esempio, se un cittadino italiano indica fra i propri obiettivi prioritari quello di andare alla moschea, questo non può essere legittimamente considerato un obiettivo non prioritario.
Nel corso di un nostro incontro a metà giugno nella sede della Presidenza della Giunta Regionale, alla presenza dei massimi esponenti regionali in materia [se ne legga anche sulle nostre pagine, N.d.R.], parlammo a lungo dell’importanza di tutelare la situazione dei disabili gravi che si trovano a vivere da soli. Per quanto è dato ricordare, ci fu il consenso di tutti sull’importanza dell’argomento.
Ebbene, nella Delibera qui in esame, l’argomento non è stato minimamente preso in considerazione e questo è assai indicativo di quanto non ci si possa occupare di vita indipendente, senza coinvolgere in maniera attiva i diretti interessati.
Invece i disabili che vivono da soli necessitano di una specifica tutela, almeno per i seguenti motivi:
Primo: è una situazione oggettivamente diversa da quella di chi non vive da solo, e quindi c’è la tutela dell’articolo 3 della Costituzione sotto molteplici aspetti.
Secondo: l’articolo 19 della Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità [“Vita indipendente ed inclusione nella società”, N.d.R.] stabilisce che vita indipendente è vivere come la generalità della popolazione ed è noto che una parte consistente della popolazione italiana vive da single.
Terzo: la vita indipendente è nata proprio per i disabili che si staccavano dalla famiglia per andare a vivere da soli e poi, eventualmente, formarsi una loro famiglia. Era stata ottenuta l’abolizione del divieto alla vita indipendente per disabili ultrasessantacinquenni. E tuttavia, nella Delibera in esame, per età si dànno 40 punti a chi ha 20 anni e 4 punti a chi ne ha più di 65. Quindi, di fatto, questo vuol dire far rientrare dalla finestra il divieto di vita indipendente che era uscito dalla porta. E questo è illegittimo, perché in proposito, nella Convenzione ONU non vi è alcuna discriminazione. Inoltre, lo Statuto della Regione Toscana pone sullo stesso piano di priorità la vita indipendente per i disabili adulti e per gli anziani.
È indubbiamente pregevole l’obiettivo di stimolare i giovani a fare vita indipendente, però è anche vero che negare di fatto la vita indipendente agli anziani significa condurli a una tristissima morte precoce e quello che è successo nelle RSA (Residenze Sanitarie Assistenziali) con il Covid-19 è significativo. Quindi, il pregevole obiettivo di favorire la vita indipendente dei giovani non può valere “dieci volte” la vita indipendente di chi ha più di 65 anni. Di fatto, noi persone con disabilità meno giovani ci troviamo escluse da questo finanziamento, perché per gli anziani è previsto un punteggio insignificante e perché non si prevede alcun punteggio per i disabili che vivono da soli.
Sono palesi discriminazioni che indicano la volontà di “affrontare” la disabilità attraverso una “guerra tra poveri” ed è anche un modo semplice per far morire le persone disabili gravi prima dell’inevitabile: c’è infatti la morte precoce, se viene negata l’assistenza personale necessaria ad evitare peggioramenti irrecuperabili.
Considerazioni analoghe a quelle già fatte valgono per quanto riguarda il punteggio stabilito per vari obiettivi prioritari.
Ad esempio, può essere “comico”, ovvero tragico, attribuire 40 punti per iniziare un lavoro autonomo e 16 punti per il sostegno alle attività quotidiane e domestiche. È tragico, cioè, che la Regione Toscana agisca così, per il semplice fatto che, se uno, fra l’altro, non mangia o non va in bagno, di sicuro non può iniziare un lavoro autonomo. Oppure, viene attribuito un punteggio maggiore per l’accompagnamento al lavoro, minore per il sostegno alle attività domestiche. Anche qui, se fra l’altro uno non mangia, come fa ad andare al lavoro? Un minimo di conoscenza della vita è sufficiente per capire che l’aiuto nelle attività domestiche e quotidiane costa molto più di quello necessario ad essere accompagnati a lavoro, ma nella Delibera in esame si dànno più punti per quest’ultimo obiettivo.
Oppure, ancora, per un disabile anziano essere accompagnato a un’attività associativa o di volontariato può fare la differenza tra morire presto o godersi di più la vita. Questa non dovrebbe essere considerata una questione secondaria, eppure nella Delibera in esame, all’obiettivo di accompagnare un disabile anziano alle attività sociali, viene attribuito solo un quinto del punteggio assegnato a un giovane che voglia iniziare una propria attività.
In realtà, poi, per quanto riguarda il punteggio assegnato, non ci si può basare sugli obiettivi da raggiungere, la cui importanza è del tutto soggettiva, ma su ciò che il singolo disabile non può fare da sé per raggiungerli e quindi sulle necessità di assistenza personale. Si tratta perciò di una Delibera scritta senza conoscere la materia, a meno che non si voglia cadere nell’aberrazione di pensare che, in un modo o in un altro, di fatto si vogliano “far fuori” i disabili con maggiori necessità…
Nelle Linee di indirizzo si scrive che il progetto ha validità annuale e si dà un punteggio piuttosto basso per rinnovarlo. Però, per un disabile che inizia la propria vita indipendente, in primo luogo vivere sempre con l’ansia di non sapere fino all’ultimo se il progetto sarà rinnovato è una precarietà di vita inammissibile, dato che il progetto stesso è indispensabile per mangiare, bere, andare in bagno, esercitare il diritto di voto ecc. Inoltre, se si vuole adempiere al dovere di stare coi piedi per terra, se poi il progetto non gli viene rinnovato, a un disabile che ha iniziato la propria vita indipendente non rimane che o morire o rendersi protagonista di proteste esasperate e tragiche.
Quindi, il punto dev’essere non il rinnovo facilitato, ma il rinnovo automatico del progetto, a meno che l’Ente Pubblico accerti che non ci sono più i requisiti per portarlo avanti.
Il finanziamento previsto dalla Delibera è per tre anni: ma il disabile che rinuncia alla graduatoria regionale e si avvale di questo finanziamento, cosa farà fra tre anni?
Nel caso poi in cui una persona sia già in lista d’attesa per il finanziamento regionale e ottenga il finanziamento previsto da questa Delibera, il meccanismo per essere eventualmente eliminati dalla lista d’attesa regionale è comunque lungo e complesso. Allora, se si considera che la domanda per questo bando va fatta a partire dal 15 settembre per un mese e mezzo e che poi ci sono altri trenta giorni per comporre le graduatorie riferite a questa Delibera, in pratica, per avere la lista d’attesa regionale sfoltita, si andrà comunque a gennaio dell’anno prossimo e poiché il massimale individuale del finanziamento previsto dalla presente Delibera è inferiore di un terzo rispetto a quello per il contributo regionale vita indipendente, è poco probabile che il disabile – anche nel caso in cui ottenga il finanziamento previsto da questa Delibera – rinunci alla facoltà di rimanere nella lunga lista d’attesa esistente che si intende sfoltire. Quindi, rispetto allo scopo di sfoltire la lunga lista d’attesa esistente per il contributo regionale, è altamente probabile che la situazione non cambi di una virgola.
Inoltre, anche nel caso in cui – a seguito dello sfoltimento della lista d’attesa regionale – un disabile grave arrivi ai primissimi posti in quest’ultima lista sfoltita, in assenza di ulteriori fondi regionali egli potrà accedere al finanziamento regionale soltanto in caso di decesso di qualcuno che riceve il finanziamento. E questo ci sembra mostruoso.
Altro passaggio. In un punto dell’Allegato alla Delibera si parla di assistente personale al singolare e subito dopo al plurale, rilevando che di norma non è possibile fare vita indipendente con un solo assistente personale. Nel testo in esame, si scrive – con rilievo – della vita indipendente come co-housing [residenza condivisa, N.d.R.], ribadendo che la Convenzione ONU prescrive che vita indipendente è vivere come vivono le altre persone. Viceversa, per quanto è dato sapere, in Italia il co-housing riguarda l’1% della popolazione.
Quindi si raccomanda di integrare la vita indipendente con il “dopo di noi”, ma in realtà i due termini corrispondono a cose diverse per molti motivi e anche in un recente Decreto Legge del Governo Conte “vita indipendente” e “dopo di noi” sono trattati in due commi diversi.
Dal punto di vista, poi, dei finanziamenti, il tetto mensile individuale stabilito da questa Delibera ammonta a 1.200 euro, mentre per i fondi regionali è di 1.800 euro. Quindi, a carico dei disabili, con questo provvedimento la Regione Toscana peggiorala situazione del 33%. È compito della Regione stessa tenere conto della vita concreta delle persone, ma con queste cifre, se si vuole davvero adempiere al dovere di tutelare chi ha gravi disabilità, non si consente in alcun modo la vita indipendente.
Un’ulteriore questione. Per vari motivi le badanti non vanno assolutamente bene per la vita indipendente. Però, anche volendo prendere come aberrante parametro di riferimento la badante, una sola di esse non può bastare per chi ha gravi disabilità, senza poter contare su altri. È matematico, infatti, che non possa bastare, perché ha diritto a undici ore di stacco, a giorni liberi, alle malattie, alle ferie, alle festività, mentre la persona con disabilità ha il diritto di vivere in maniera continuativa. Inoltre, comprendendo ferie, tredicesima, malattie ecc., due badanti costano una cifra vicina ai 4.000 euro al mese, mentre la pensione di invalidità civile è al massimo intorno ai 500 euro. Ebbene, di fronte a queste necessità reali, la Regione Toscana ha addirittura ridotto di un terzo il finanziamento individuale massimo e quindi l’importo mensile per la vita indipendente è un problema da affrontare in via assolutamente prioritaria, perché di fatto, al di là delle chiacchiere e degli inganni, c’è di mezzo l’alternativa fra vivere o morire.
Nel testo in esame è scritto che tutte le somme erogate vanno rendicontate. Ci sono molti motivi elencabili per cui, se si vuol fare davvero vita indipendente, questo è impossibile. A solo titolo di esempio, se un’assistente si ammala all’improvviso e se il disabile ha la fortuna di trovare una persona che la sostituisca momentaneamente, ma non rendicontabile, che fa il disabile? Si lascia morire perché non può rendicontare?
A suo tempo, in un lungo incontro con l’allora Sottosegretaria di Stato al Welfare Franca Biondelli e con Raffaele Tangorra, direttore generale per l’Inclusione e le Politiche Sociali del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, discutemmo a fondo l’argomento e nelle successive linee guida governative veniva raccomandata flessibilità in materia. Anche in altri Paesi è così: la rendicontazione deve essere non trimestrale, come è ora, ma almeno semestrale o annuale. Anche se fosse annuale, infatti, per la Regione non cambierebbe nulla e ai disabili gravi semplificherebbe una vita già molto complicata.
Inoltre, i criteri della rendicontazione devono essere omogenei su tutto il territorio regionale e in tal senso dobbiamo ribadire che per il contributo regionale vita indipendente alcune zone pretendono addirittura la rendicontazione mensile e/o la busta paga: tali abusi devono cessare ed è anche necessario ricordare che i Comuni hanno il compito di integrare le singole situazioni, laddove l’intervento regionale sia insufficiente o assente.
È molto difficile trovare assistenti personali idonei per la vita indipendente e trovare assistenti personali idonei o non trovarli fa la differenza come tra fare e non fare vita indipendente.
In vari incontri a livello regionale fra disabili interessati alla vita indipendente, questo problema delle grandi difficoltà nel trovare assistenti personali idonei è emerso con molta forza. D’altra parte, se gestito bene e trattato in maniera adeguata, questo è un lavoro che piace ai giovani.
A ciò va anche aggiunto che con la pesante situazione economica già in atto e che si prospetta per l’autunno prossimo, poter dare un lavoro soprattutto ai giovani è una cosa molto importante. Quindi, è di notevole importanza un elenco a cui i disabili gravi possano attingere per trovare i propri assistenti personali per la vita indipendente. In primo luogo deve trattarsi di un elenco che non può e non deve essere assolutamente vincolante per i disabili. Ci sono infatti di mezzo le libertà fondamentali e inviolabili, e quindi la scelta non può essere vincolata entro dei binari, anche per via del fatto che in tale elenco possono non esserci persone idonee alle singole necessità.
In secondo luogo, sono assolutamente decisivi i criteri per cui si può entrare in tale elenco. E qui bisogna intendersi su una questione fondamentale: è compito degli Uffici della Regione, e non nostro, trovare la forma giuridica idonea per preparare le persone ad essere ammesse in un elenco del genere, tant’è che oltre vent’anni fa, un nostro consulente, ora dirigente pubblico, comprese con molta intelligenza e onestà le nostre legittime esigenze e trovò con entusiasmo la soluzione giuridica che ci consentì di fare un ottimo lavoro, così come già molti anni prima anche il professor Adriano Milani Comparetti sapeva bene gli obiettivi legittimi, e le formule giuridiche si trovavano.
Tale forma giuridica deve però salvaguardare fino in fondo la sostanza, ovvero che un breve corso per essere ammessi a quell’elenco dev’essere gestito da disabili gravi con una documentata esperienza in tema di vita indipendente. L’elenco non servirebbe serve a nulla, se privo di determinate informazioni. Nel 1999, va ricordato, quale frutto di una collaborazione fra la Regione Toscana e l’Unione Europea, venne messa in piedi un’Agenzia Regionale per la Vita Indipendente gestita dalla nostra organizzazione. Essa è ancora in piedi ed è compito degli Uffici della Giunta trovare il modo formale in cui affidare ad essa la preparazione generale degli assistenti personali.
Quest’ultima dev’essere una preparazione secondo criteri già resi pubblici vent’anni fa nel volume Assistenti personali per una vita indipendente. Il punto fondamentale – chiarito anche in Delibere della Regione Toscana – è che la preparazione specifica degli assistenti personali dev’essere effettuata interamente dal soggetto interessato. È perciò evidente che i criteri indicativi di massima per individuare persone che possono essere idonee a tale compito vanno stabiliti altro da persone disabili con esperienza diretta in materia. Del resto, è come dire che devono essere altre donne ad aiutare quelle che hanno subito una violenza e un compito del genere non può essere certo affidato a degli uomini. Oppure la preparazione al parto non può essere certo affidata agli uomini per mille motivi. Ciò non toglie, certamente, che il proprio compagno sia vicino a una donna prima, durante e dopo il parto, ma non può essere certo l’uomo a porre dei paletti. Allo stesso modo, persone con qualsivoglia titolo pubblico – che non vivono sulla propria pelle le difficoltà concrete della vita indipendente – non possono condizionare in alcun modo l’inviolabilità del vivere pienamente anche con gravi disabilità.