«Questi sono passi avanti, frutto delle richieste delle Associazioni di persone con disabilità e delle loro famiglie, ma l’impegno forte sul fronte della disabilità è urgente e deve ancora venire. L’accessibilità, del resto, è un elemento fondamentale, come da anni ribadiamo, per rilanciare il confronto con le Amministrazioni perché c’è una legge da tempo [dal 2004, N.d.R.], la cosiddetta “Legge Stanca”, pochissimo applicata, tant’è che ci sono Amministrazioni che continuano a produrre documenti in formato non accessibile. Per quanto poi riguarda il contrassegno unico, vedremo che cosa succederà. Fino ad oggi le persone con disabilità hanno dovuto fare comunicazioni ai Comuni ogni volta che si spostavano, e molte segnalazioni non andavano a buon fine, per cui arrivavano le multe e si doveva fare ricorso. Tutto un aggravio di costi sociali in capo alle famiglie».
Lo ha dichiarato alla testata «Vita» Vincenzo Falabella, presidente della FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap), commentando alcuni provvedimenti previsti dall’articolo 29 del Decreto Legge 76/20, il cosiddetto “Decreto Semplificazioni”, pubblicato nei giorni scorsi in Gazzetta Ufficiale, a partire dalle disposizioni per favorire l’accesso delle persone con disabilità agli strumenti informatici, estendendo l’obbligo di rendere accessibili i siti web e le applicazioni per smartphone e tablet ad altri soggetti pubblici e anche a privati che forniscono servizi di rilevanza per il pubblico.
Il medesimo articolo prevede anche – come riferiamo in altra parte del giornale – un unico permesso nazionale per accedere con il contrassegno nelle ZTL (Zone a Traffico Limitato) di tutta Italia, nonché il fatto che gli interventi all’interno dei condomìni per l’abbattimento delle barriere architettoniche vadano considerati, in tutti i casi, come «non voluttuari», prescrivendo che l’unico divieto ad essi sia quando si reca pregiudizio alla stabilità o alla sicurezza del fabbricato.
Ora però, secondo Falabella, «c’è da fare ben altro e ben di più – ha dichiarato sempre a “Vita” -: dobbiamo ricostruire il sistema di welfare del nostro Paese che è basato su un sistema di protezione e non su una logica di riconoscimento dei diritti. Guardando tuttavia alla pandemia di quest’anno, quella protezione “non ha protetto chi avrebbe dovuto proteggere” e le tante morti nella popolazione più vulnerabile ne sono la prova provata. Tanto per ricordarlo, la prima persona deceduta per Covid-19 era una persona con disabilità e pochissimo se n’è detto. Occorre dunque intervenire in maniera significativa, subito, pensando anche alle cronache di questi giorni, che raccontano di un uomo uccisosi insieme alla figlia di 31 anni, persona con grave disabilità [se ne legga già anche sulle nostre pagine, N.d.R.]: ebbene, tragedie come questa significano anche che la stessa Legge 112/16, sul “Dopo di Noi” o “sul Durante e Dopo di Noi” non ha dato le risposte attese. È quindi opportuno che ci si fermi e si inizi a programmare un sistema che dia risposte ai bisogni essenziali delle persone con disabilità e alle loro famiglie».
Restando alla pandemia da coronavirus, nei giorni scorsi il Presidente della FISH è stato sentito in Commissione Affari Sociali della Camera, ove si è soffermato su come l’emergenza abbia impattato nei confronti delle famiglie che hanno al proprio interno una persona con disabilità, riprendendo sostanzialmente quanto già esposto nel mese di giugno scorso, in sede di Stati Generali dell’Economia: «Anche questo intervento – afferma – si è basato sulla necessità di una nuova visione, non risarcitoria, ma di riconoscimento dei diritti. E per questo sta oggi alla politica fare un salto di qualità, assumendosi precise responsabilità».
A tal proposito Falabella torna a soffermarsi anche sull’aumento delle pensioni di invalidità, sottolineando che «a intervenire è stata la Corte Costituzionale, di fronte a una politica silente. Ora, quindi, dev’essere proprio la politica a decidere se attenersi al diktat della Corte o se scegliere di mettere mano a tutto l’impianto delle provvidenze economiche, aumentando la cifra della pensione non solo per chi è invalido al 100% ma per tutti coloro che la ricevono. Altrimenti succederà a breve che ci sarà un ricorso da parte chi ha un’invalidità diversa, senza un’assunzione di responsabilità politica. Questi, infatti, non devono essere interventi risarcitori, ma è riconoscere che con quell’emolumento economico le persone con disabilità possono superare gli ostacoli che ne limitano la partecipazione».
Significativo è anche quanto dichiarato da Falabella a «Vita» sui mesi del lockdown, definiti come «aberranti, con famiglie abbandonate a se stesse, soprattutto per il fatto che i servizi erano disegnati in maniera così “ingessata” da non riuscire a rispondere alle esigenze. E anche gli interventi previsti con il Governo, che andavano nella direzione di dare risposte immediate, poi sono stati difficilissimi da attuare. Per tutti penso all’articolo 26 del Decreto Legge 18/20, cosiddetto “Cura Italia”*, che l’INPS ha inspiegabilmente interpretato in maniera restrittiva, creando di fatto una non applicabilità della norma».
«Non possiamo continuare ad essere presi in ostaggio dalla burocrazia – ha concluso il Presidente della FISH – e la nuova sfida deve partire da quello che è successo nei mesi scorsi. Oggi abbiamo infatti l’occasione di cambiare, ricostruendo un pezzo importante del futuro del nostro Paese, ma per farlo, torno a ripetere, serve una modifica sostanziale del welfare di protezione, in favore di un welfare dei diritti». (S.B.)
*L’articolo 26 del Decreto “Cura Italia” (comma 2), successivamente convertito con modifiche nella Legge 27/20, disponeva che per i lavoratori dei settori privato e pubblico in possesso del riconoscimento di disabilità con connotazione di gravità (articolo 3, comma 3 della Legge 104/92) o in possesso del riconoscimento di disabilità (articolo 3, comma 1 della Legge 104/92), l’intero periodo di assenza dal servizio debitamente certificato, fino al termine del 31 luglio 2020, fosse equiparato a degenza ospedaliera. Ma come abbiamo riferito anche sulle nostre pagine, tale norma è stata interpretata dall’INPS in maniera restrittiva.
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