Disabilità, uguaglianza e musei

Si chiama così l’iniziativa del MoMA, il Museo d’Arte Moderna di Manhattan (New York), che prevede un intervento di formazione sull’accoglienza delle persone con disabilità, rivolto al proprio personale, e la realizzazione di alcune interviste filmate nelle quali i/le newyorkesi con disabilità che condividono la passione per l’arte esprimono le loro considerazioni. «È tempo di andare oltre le rampe per le sedie a rotelle e le visite tattili e lavorare soprattutto sull’atteggiamento delle altre persone nei confronti di chi ha una disabilità», dichiarano tra l’altro le promotrici del progetto
Nefertiti Matos
Nefertiti Matos, istruttrice di tecnologia assistiva e persona non vedente, esce dal MoMA di New York con il supporto del suo bastone e di un’accompagnatrice. Matos è una delle persone con disabilità che hanno collaborato all’iniziativa “Disabilità, uguaglianza e musei”.

«È tempo di andare oltre le rampe per le sedie a rotelle e i tour touch», ove con le parole tour touch si intendono le visite guidate nelle quali gli/le utenti possono toccare le opere d’arte o le loro riproduzioni: così esordiscono Francesca Rosenberg, Carrie McGee e Annie Leist sul Magazine del Museo d’Arte Moderna di Manhattan (New York), meglio conosciuto come MoMA, nel presentare una nuova interessante iniziativa denominata Disabilità, uguaglianza e musei, che prevede un intervento di formazione sui temi dell’accoglienza delle persone con disabilità rivolto al personale del Museo, e la realizzazione di una serie di interviste filmate nelle quali i/le newyorkesi con disabilità che condividono la passione per l’arte esprimono le proprie considerazioni.

L’iniziativa ha coinciso con celebrazioni di luglio, mese dedicato all’“orgoglio per la disabilità” e sebbene a chi vede la disabilità solo come un difetto, una perdita o qualcosa da curare, questa manifestazione di orgoglio possa sembrare una sorta di ossimoro, molte tra le persone che vivono con una disabilità la percepiscono come una parte fondamentale della loro identità: il loro modo unico di muoversi nel mondo. E, come tale, fonte di orgoglio.
Non sono la cecità, la perdita dell’udito o la necessità di spostarsi con una sedia a rotelle a rendere le persone disabili, argomentano. Sono piuttosto l’indisponibilità della segnaletica in Braille o delle descrizioni delle immagini, la mancanza di dispositivi di ascolto assistito o di video con didascalie, l’assenza di rampe o ascensori, i diversi tipi di barriere che possono impedire alle persone di partecipare a tutte le attività della vita quotidiana. Tuttavia molte persone con disabilità riferiscono che la più grande barriera che devono affrontare nella società è l’atteggiamento delle altre persone.

A partire da queste considerazioni, il gruppo di lavoro del MoMA per la Comunità e i Programmi di Accesso, con il supporto della task force sull’Accessibilità all’interno del Museo, offre seminari sull’uguaglianza delle persone con disabilità, in cui il personale riflette sulle proprie esperienze vissute e impara ad identificare e trasformare il linguaggio, le attitudini e i comportamenti che hanno un impatto negativo sui visitatori e le visitatrici con disabilità del MoMA.
Inoltre, attraverso le interviste filmate create dal team, di cui si è detto, il personale può ascoltare le considerazioni espresse in prima persona dai/dalle newyorkesi con disabilità appassionati d’arte.

Una delle intervistate è Nefertiti Matos, un’istruttrice di tecnologia assistiva, cieca dall’età di quattro anni a causa di un tumore al cervello. Matos afferma di non pensare più alla sua cecità come ad un ostacolo: «Ora – dice – la percepisco come qualcosa che è molto potente. È solo questione di essere creativi e di capire le cose, forse in modo non ortodosso».
Shelly Guy è invece un’insegnante di liceo, una consulente di Lingua dei Segni Americana per produzioni teatrali e un’artista. Nel suo percorso di crescita era l’unica persona sorda in una scuola per persone udenti. La sua vita è cambiata quando ha scoperto la cultura dei sordi e la Lingua dei Segni. «È stata la prima volta che sono stata in grado di esprimermi pienamente ed esprimere chi sono – osserva -. Potrei davvero riformulare il mio pensiero, la prospettiva di me stessa e considerare la sordità come una cosa positiva».

Il 26 luglio ha coinciso anche con il trentesimo anniversario dell’approvazione dell’ADA (American with Disabilities Act), una legge introdotta da migliaia di persone con disabilità – il gruppo minoritario più diversificato degli Stati Uniti – i cui sforzi si sono uniti in un movimento per i diritti civili. Quest’anno, per celebrare l’“orgoglio della disabilità”, il MoMA ha voluto condividere le voci di otto newyorkesi che vivono con la disabilità, nella speranza che le loro testimonianze aiutino ad aprire un confronto sullo smantellamento delle barriere attitudinali nei musei.
«Le persone con disabilità fanno parte delle nostre famiglie, dei nostri amici/che e spesso noi stessi/e siamo persone con disabilità. Nei musei, sono anche nostri/e colleghi/e, artisti/e, donatori/trici e visitatori/trici. La disabilità fa parte dell’esperienza umana e l’orgoglio per la disabilità riguarda l’accettazione della differenza. Si tratta di celebrare i diversi modi in cui le persone interagiscono con il mondo. E, come dice Nefertiti Matos, “probabilmente avremo bisogno di qualcosa in più di questo”», concludono Rosenberg, McGee e Leist. (Simona Lancioni)

Il presente testo è già apparso nel sito di Informare un’H-Centro Gabriele e Lorenzo Giuntinelli di Peccioli (Pisa) e viene qui ripreso, con alcuni riadattamenti al diverso contenitore, per gentile concessione.

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