Come avevamo riferito a suo tempo, è stato inaugurato a Bologna, nel maggio scorso, un nuovo servizio di supporto per donne con disabilità vittime di discriminazione e/o violenza, frutto della collaborazione tra l’Associazione MondoDonna (capofila del progetto) e l’AIAS di Bologna, e che mette a disposizione lo Sportello CHIAMA chiAMA, rendendo possibile accedere ai servizi di accoglienza, ascolto e orientamento. Si tratta di una realtà molto interessante che mette insieme approccio di prossimità, flessibilità, accessibilità, multidisciplinarietà, innovazione e lavoro di rete.
A qualche mese di distanza dall’avvio del servizio, abbiamo contattato le operatici coinvolte nel progetto, che ci hanno raccontato tante cose sull’organizzazione del servizio stesso, sull’utenza e su un ciclo di incontri rivolti a donne con disabilità (La donna che sono!), che partirà il prossimo 13 ottobre.
Alla nostra prima domanda, su come sia nata l’idea di aprire questo servizio e quali prestazioni vi vengano offerte, hanno risposto Loretta Michelini, presidente di Mondo Donna, Giovanna Casciola, coordinatrice dell’Area Antiviolenza e Differenza di Genere della stessa Associazione, Maria Cristina Pesci, esperta sui temi del contrasto alla violenza e disabilità dell’AIAS di Bologna e Valentina Fiordelmondo, referente del progetto per l’AIAS di Bologna.
Loretta Michelini: «MondoDonna gestisce dei Centri Antiviolenza da sette anni sia su Bologna che nella Città Metropolitana e anche nel distretto di Cattolica e Riccione.
L’approccio della nostra Associazione riguardo a questi Centri è un approccio di prossimità. Abbiamo da subito capito, ma da sempre saputo, che anche per una donna che subisce violenza avere uno strumento vicino, dunque facile da raggiungere, fa la differenza. Pertanto, quando abbiamo iniziato a porci la questione di come fare per poter avvicinare anche le donne con disabilità che subiscono violenza, ci siamo poste il problema di capire con chi collaborare per realizzare un progetto del genere, ed è stato naturale che ci sia venuta in mente l’AIAS di Bologna.
Abbiamo quindi individuato una linea di finanziamento, che era quella della Chiesa Valdese, abbiamo proposto questa collaborazione all’AIAS, e la collaborazione è partita. Vorrei che non passasse l’idea che abbiamo l’ennesimo sportello rivolto alle donne che hanno subito violenza all’interno di un’Associazione che si occupa di disabilità in un’ottica ghettizzante, che considera la donna con disabilità che subisce violenza come un soggetto a parte, mentre l’idea è quella di darle l’opportunità di avere una pari opportunità attraverso tutte le esperienze con cui le donne vengono in contatto. Si tratta di una presa in carico che parte da una specificità per garantire a tutte una pari opportunità».
Giovanna Casciola: «La multidisciplinarietà che ci permette di osservare da punti di vista diversi i bisogni e di costruire un percorso che ha buone possibilità di riuscita, unita al fatto di mettere la donna al centro, sono i due pilastri su cui si regge il nostro lavoro».
Maria Cristina Pesci: «La specificità del nostro lavoro insieme, e più in generale delle reti di sportelli e di Istituzioni che sempre più vogliono occuparsi anche di questo tema legato alle donne con disabilità, è quello di riuscire il più possibile a fare da mediazione rispetto al fatto che alcune donne, non tutte, naturalmente, possono avere anche difficoltà a raccontare di sé, ad esempio, molto semplicemente, perché magari hanno una disabilità di tipo cognitivo. Questo ci deve far fortissimamente pensare non tanto di escludere queste donne, o di non dar loro credito rispetto a quello che raccontano, ma di aiutarle a capire cosa stanno vivendo, a chi lo possono raccontare, e come possono essere riconosciute anche in questo».
Valentina Fiordelmondo: «Decidiamo in base alle caratteristiche della donna e alla sua volontà quale tipo di figura attivare e se, eventualmente, visto che riusciamo ad offrire anche altri servizi di supporto (sia di MondoDonna che di AIAS), occorra attivare anche questi.
Abbiamo dei servizi che “si incastrano” molto bene e che possono andare a coprire diversi bisogni emergenti. C’è poi, ovviamente, il collegamento con altre realtà del territorio per riuscire a coprire ancora di più tutti i bisogni.
Per quanto riguarda invece la sperimentazione, direi che non seguiamo un approccio definito piuttosto che un altro. Ovviamente durante la formazione, durante le nostre ricerche, abbiamo studiato diversi approcci e le pochissime esperienze che ci sono sul territorio nazionale, ma ci siamo anche date la flessibilità di individuare di volta in volta quali sono le soluzioni più adatte. La flessibilità e la multidisciplinarietà sono i tratti che ci caratterizzano».
Com’è organizzato il servizio?
Casciola: «Ci siamo organizzate garantendo la nostra presenza presso gli spazi dell’AIAS, che sono spazi accessibili. Le operatrici antiviolenza e le educatrici dell’AIAS sono presenti nella sede dell’Associazione, ma eventuali colloqui, in questo momento [di emergenza sanitaria dovuta al Covid-19, N.d.R.] si svolgono tramite telefono, videochiamata, Skype, WhatsApp, e in caso di emergenza, necessità, valuteremo se farli in presenza, sempre con tutte le precauzioni del caso.
Subito dopo l’inizio della pubblicizzazione dello Sportello abbiamo avuto una richiesta da Roma, non dal territorio di Bologna, ma da Roma. In questo caso abbiamo rimandato la donna ad un riferimento/contatto sul territorio di Roma in modo che lei si possa rivolgere al Centro Antiviolenza più vicino a lei».
Le risposte alle successive domande sono state condivise a più voci, a partire da: quali accorgimenti di accessibilità fisica/comunicativa sono disponibili per le utenti con disabilità?
«La sede dello sportello istituita presso l’AIAS di Bologna (Piazza della Pace 4/a), è uno spazio fisicamente accessibile. Per quanto riguarda l’accessibilità comunicativa, abbiamo individuato un’interprete della Lingua dei Segni Italiana (LIS) da coinvolgere al bisogno e, laddove necessario, utilizziamo modalità compensative quali, per esempio, la scrittura.
Abbiamo curato in particolare la comunicazione predisponendo una cartolina con testo accessibile e stiamo preparando un video che racconti le attività dello Sportello fruibile anche alle donne non udenti (segnanti e non) e non vedenti (saranno utilizzati i seguenti supporti: interprete LIS, sottotitoli e voce narrante)».
Che tipo di riscontri avete avuto in questo primo periodo di apertura? Potete darci qualche dato sul profilo dell’utenza, sul tipo di violenza subita, e sul profilo degli aggressori?
«In questi primi quattro mesi di attività abbiamo avuto cinque diversi contatti, tre da parte di donne, due da parte di amici o parenti della donna che a loro avviso si trovava in una relazione violenta; infatti, una delle attività sperimentali che porta avanti lo Sportello è quella di fare dei colloqui di consulenza anche con le persone della rete della donna, amici, parenti o operatrici e operatori. L’obiettivo è, in questo caso, quello di fornire strumenti e strategie utili per sostenere la donna nel prendere contatti con lo sportello.
Un elemento che ci sembra importante sottolineare rispetto a questi primi contatti è la dislocazione geografica; infatti, tre di queste persone sono residenti fuori dalla Regione Emilia Romagna. Quando è stato possibile, abbiamo dato le informazioni rispetto alle realtà prossime ai loro territori, sensibili ai temi della violenza e discriminazioni multiple. Tuttavia non tutti i territori dispongono di servizi di questo tipo, infatti alcune delle nostre donne in percorso sono seguite da remoto.
Le donne che ci hanno contattate hanno un’età compresa tra i 25 e i 50 anni, sono tutte italiane, lavoratrici, eterosessuali, non sposate e ciascuna di loro ha trovato i nostri recapiti su piattaforme online e pagine informative. Alcune vivono da sole, altre con la famiglia di origine. Dato il numero degli accessi, preferiamo non fornire altre informazioni che potrebbero far identificare le persone.
Tra le forme di violenza che queste donne raccontano, identifichiamo violenze psicologiche e fisiche, oltreché, in alcuni casi, tentativi da parte di persone terze di appropriazione di benefìci e sostegni economici erogati in loro favore.
Il numero di persone che ci ha già contattate ci fornisce due informazioni diverse: la consapevolezza che cresce da parte delle donne con disabilità rispetto alla possibilità di uscire dalla situazione di violenza, ma anche la difficoltà da parte di istituzioni e servizi delle reti nel riconoscimento delle diverse forme di violenza che le donne con disabilità potrebbero subire. La difficoltà che abbiamo rilevato fino ad ora è, appunto, la mancata condivisione del riconoscimento del fenomeno della violenza, o la sua sottovalutazione quando si parla di donne con disabilità».
Ci sono altri aspetti del vostro servizio che pensante sia importante segnalare?
«Il servizio è un servizio innovativo, che tenta di superare alcune prassi consolidate e condivise dai Centri Antiviolenza, tenendo conto delle specificità che caratterizzano la disabilità e le donne con disabilità. Per esempio: la circostanza che il maltrattante possa non essere un uomo; il supporto e la collaborazione con altri servizi; la revisione del modello della presa in carico e della valutazione del rischio; la possibilità di intermediazione ove necessaria.
Uno degli obiettivi di questo progetto è anche la ricerca di nuovi percorsi, di reti di momenti di sensibilizzazione della comunità affinché ci sia una formazione, degli strumenti e dei luoghi che possano permettere una presa in carico della persona tenendo conto di tutto l’ambiente e delle persone che le stanno intorno.
Il riconoscimento della violenza e dei fattori di discriminazione è un elemento imprescindibile per il contrasto della violenza stessa: occorre che le donne con disabilità aumentino la consapevolezza della propria identità di genere, del proprio corpo e dei propri bisogni, nonché dei propri diritti di relazioni amicali, affettive e sessuali. Un’azione parallela che stiamo portando avanti in questo senso, è proprio un percorso di empowerment che possa aiutare le donne a prendere coscienza di sé, dei propri diritti, delle proprie capacità, ma anche dei servizi e delle possibilità offerte dal territorio, primo fra tutti lo Sportello CHIAMA chiAMA.
In tal senso vogliamo ricordare che il prossimo 13 ottobre partirà La donna che sono!, un ciclo di incontri rivolti a donne con disabilità in cui, in maniera interattiva e partecipata, si affronteranno tematiche quali l’identità e la consapevolezza del proprio corpo, le relazioni con gli altri e il riconoscimento di relazioni problematiche, il riconoscimento della propria sfera affettiva e sessuale, le discriminazioni visibili e invisibili».
L’iniziativa La donna che sono!, ricordiamo in conclusione, è promossa dall’AIAS di Bologna, in collaborazione con MondoDonna e con il contributo del Quartiere Porto-Saragozza del Comune di Bologna. Queste le date previste: 13 e 27 ottobre, 10 e 24 novembre, 1° dicembre 2020. Gli incontri si svolgeranno presso la sede dell’AIAS felsinea (Piazza della Pace, 4/A), dalle 17.30 alle 19.30, nel rispetto del distanziamento e delle procedure previste dal regolamento per il contrasto e la diffusione del Covid-19. L’iscrizione è obbligatoria per motivi organizzativi (per informazioni e iscrizioni: vfiordelmondo@aiasbo.it, tel. 051.454727).
Per ulteriori informazioni e approfondimenti: chiamachiama@mondodonna-onlus.it.
Per approfondire il tema della violenza nei confronti delle donne con disabilità, si può accedere alla Sezione La violenza nei confronti delle donne con disabilità, nel sito di Informare un’h. Sul tema più generale Donne e disabilità, si può invece fare riferimento anche al lungo elenco di testi da noi pubblicati, presente a questo link, nella colonnina a destra dell’articolo intitolato Voci di donne ancora sovrastate, se non zittite, oltreché alla Sezione Donne con disabilità, anch’essa nel sito del Centro Informare un’h.