Come riporta «La Nuova Sardegna», «è morto a Gavoi (Nuoro), per un incidente domestico, il professor Antonio Frau, uomo dal multiforme ingegno, cieco dall’eta di cinque anni a causa di una meningite, conosciuto per la sua grande abilità manuale e la sua grande sensibilità verso i temi sociali».
Ben volentieri diamo spazio qui di seguito a quanto scrive oggi Carlo Loiodice, che affiancò Frau nelle sue battaglie e al quale «resta il ricordo di un lottatore instancabile, sempre pronto a raccogliere sfide di ogni tipo anche all’apparenza impossibili». A Loiodice va anche il nostro personale ringraziamento, per averci fatto conoscere meglio questa Persona di grande spessore umano e culturale.
Alla fine di gennaio del 1969 in zona universitaria a Bologna uno studente distribuiva volantini. Un altro, dandogli un’occhiata, obiettò che c’era scritto “ciechi” invece che “cechi”. Pensava evidentemente a Jan Palach, lo studente praghese che dieci giorni prima si era dato fuoco contro l’occupazione del suo paese, la Cecoslovacchia, senza la I…
Invece non era un refuso. A protestare erano proprio gli studenti ciechi dell’istituto Francesco Cavazza. Alcuni di loro, che già frequentavano l’università, avevano partecipato al Sessantotto e avevano fatto propri i temi dell’antiautoritarismo, affiancandoli al discorso contro l’emarginazione e l’esclusione.
Leader di quella rivolta fu Antonio Frau, uno studente cieco della Facoltà di Magistero. Aveva qualche anno più dei colleghi del suo corso. Era nato in Sardegna durante la guerra e per studiare lo avevano mandato in un istituto di Napoli che ne aveva dirottato erroneamente il percorso formativo.
Rimessosi in carreggiata e conseguito il diploma magistrale, Antonio arriva al Cavazza di Bologna, un’eccellenza nel mondo dei ciechi, dove venivano mandati i migliori a studiare pianoforte oppure a frequentare liceo e università.
Per esservi ammessi occorreva la media del 7, in anni nei quali gli insegnanti (si frequentavano le scuole pubbliche della città) con i voti non erano né prodighi né compassionevoli.
Siamo dunque alla fine del gennaio ’69, quando, dopo alcuni rifiuti della direzione di discutere su alcune nostre davvero non insostenibili richieste, si fa la scelta drastica, quella appresa l’anno prima alle Facoltà di Lettere e Magistero: occupazione.
Antonio Frau la dirige politicamente e la organizza anche fisicamente, procurando, non so come, le catene da mettere alle porte di ingresso, dietro le quali organizzare una sorta di barricate con tavoli e sedie.
Il mondo politico bolognese si mostrò stupefatto di questa novità, ma la inquadrò, fuori da ogni prospettiva pietistica, in uno schema politico: la sinistra accolse e dialogò; la DC osteggiò. Il fatto è che i tempi sembravano ricchi di promesse e di possibilità. E così, al seguito di noi bolognesi, si mossero gli studenti del Configliachi di Padova, una realtà concentrazionaria che ospitava più di trecento ciechi dall’infanzia alla maggiore età.
C’erano anche lì degli universitari e noi corremmo a dare una mano. C’era, ovviamente, anche Antonio Frau che immediatamente si diede da fare per intessere una rete di relazioni con il mondo politico e giovanile della città. Andò male. Una mattina il Secondo Reparto Celere della polizia prese d’assalto l’istituto e noi bolognesi fummo portati in questura per essere identificati e interrogati. L’istituto venne chiuso per qualche tempo e l’attività didattica sospesa.
A nostro sostegno e conforto ci fu una davvero notevole manifestazione in città, in seguito alla quale Antonio Frau e io fummo invitati ad una serie di assemblee e dibattiti da cui scaturì il libro La repressione oltre i limiti dell’assurdo. La rivolta degli studenti ciechi di Padova, edito da Jaca book.
Fummo anche, lui ed io, ospiti di Renzo Arbore che allora alla radio faceva Per voi giovani. Qualcuno che ignoriamo gli aveva scritto raccontandogli i fatti di Padova e lui ci invitò in trasmissione per parlarne con noi. Non un’intervistina breve, ma l’intera trasmissione in cui ci raccontammo fra una canzone e l’altra.
Dopo quella sconfitta sul terreno a Padova, non nego di avere provato un notevole sconforto unito a senso di colpa. Quello però fu l’inizio di un processo che in capo a pochissimi anni portò all’apertura degli istituti e alla loro trasformazione da convitti o reclusori in centri di supporto didattico, nonché alla possibilità per i giovani ciechi di non essere più “deportati”, ma di essere inseriti nelle scuole del territorio continuando a vivere in famiglia.
Intanto Antonio Frau si laurea in Pedagogia. Il professor Vittorio Capecchi, sociologo, gli fa da relatore in una tesi in cui espone e rielabora i temi di questa lotta. Poi torna in Sardegna, convinto di poter dare di più alla sua terra. Fa la trafila per diventare insegnante e qui la parola la passo ai suoi studenti, ai suoi colleghi e a tutti coloro che hanno condiviso con lui le esperienze della vita.
A me resta il ricordo di un lottatore instancabile, sempre pronto a raccogliere sfide di ogni tipo anche all’apparenza impossibili.
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