Lavoro e disabilità: crisi finale o svolta per ripartire?

di Marino Bottà*
«Di fronte alla crisi del lavoro delle persone con disabilità - scrive Marino Bottà - non resta che un’attesa impotente oppure cercare una nuova via che ridia fiducia e prospettive a centinaia di migliaia di persone con disabilità disoccupate. Ma per farlo, bisogna ritornare al principio del lavoro inteso come bisogno personale, sociale ed etico, uscendo dal silenzio complice e vittimistico, per promuovere una rinnovata cultura inclusiva e nuovi servizi. E anche il tessuto associativo italiano dovrà a dare il proprio contributo di elaborazione, di proposta e di concreta e fattiva iniziativa»
Fabio Rosone, "La crisi", 2015 (per gentile concessione dell'Autore e di PitturiAmo®)
Fabio Rosone, “La crisi”, 2015 (per gentile concessione dell’Autore e di PitturiAmo®)

Gli antichi Greci consideravano la “crisi” come un momento catartico, una pausa per la rinascita, per un cambiamento, mentre la cultura romano-cristiana la considerava come l’inizio della fine, la morte dell’esistente. Comunque la si interpreti, la crisi del collocamento delle persone con disabilità è iniziata nel 2008 e da allora assistiamo a un continuo declino e a un crescente disinteresse generale.
Ogni fallimento delle politiche attive a favore delle persone con disabilità o della gestione del sistema del collocamento viene scaricato sulla Legge 68/99 [“Norme per il diritto al lavoro dei disabili”, N.d.R.] , accusata di essere inadeguata e obsoleta. Nemmeno la crisi economica è riuscita a cambiare la situazione e credo avverrà lo stesso anche con la pandemia, che è già riuscita ad archiviare definitivamente qualsiasi dibattito pubblico sul rapporto disabilità/mondo del lavoro.
Nonostante il crollo degli inserimenti, a causa della sospensioni degli obblighi occupazionali e il protrarsi dello smart working [“lavoro agile”, N.d.R.] degli Uffici Provinciali e Regionali, nessuno è disponibile a confrontarsi sul che fare durante e dopo il Covid.
Le difficoltà occupazionali si protrarranno a lungo, e successivamente non sarà possibile ripartire ripristinando gli strumenti e le procedure pre-pandemiche. Si profila quindi un quadro letteralmente catastrofico per l’occupazione futura delle persone con disabilità, soprattutto per quelle in situazione di maggiore debolezza.

Il disinteresse istituzionale e politico verso il sistema del collocamento delle persone con disabilità  risale al 2015, anno in cui venne emanato l’ultimo provvedimento legislativo riformatore (Decreto Legislativo 151/15). Successivamente tutto ha subito un arresto: le previste Linee Guida non sono mai state pubblicate; la delega all’ANPAL (Agenzia Nazionale Politiche Attive Lavoro) si è appalesata come un totale disimpegno ministeriale; la ritardata pubblicazione del Programma di Azione biennale per la promozione dei diritti e l’integrazione delle persone con disabilità e la faticosa ricostituzione dell’Osservatorio Nazionale sulle Condizioni delle Persone con Disabilità; le ormai abolite Assemblee biennali; le totalmente dimenticate celebrazioni del ventennale della Legge 68 e del Collocamento Disabili… Tutto ciò è la dimostrazione dello stato d’abbandono in cui versa questo settore. Né sono da meno le Regioni, troppo impegnate su altri fronti, e pronte ad attivarsi solo quando vi siano pressioni da parte dell’opinione pubblica, mentre i Servizi Provinciali continuano a vivere nella loro passiva e immutabile quotidianità. E da ultimo, ma non ultimo, nemmeno le parti sociali interessate si stanno impegnando sul tema: le associazioni imprenditoriali sono occupate dai macro problemi economici e produttivi causati dalla crisi economica e ora dalla pandemia, le organizzazioni sindacali sono prive di qualsiasi disegno strategico a favore dell’occupazione delle persone con disabilità.

A riprova di quanto detto sono i rari provvedimenti normativi, la scomparsa degli “interpelli” (quesiti posti al Ministero), l’estinzione delle Interrogazioni Parlamentari, l’estrema esiguità di pubblicazioni, convegni e incontri sul tema, gli articoli sempre più rari sulla stampa nazionale e locale, il mancato rispetto degli impegni declinati nell’ultimo Programma di Azione biennale, le mancate risposte alle sollecitazioni internazionali, la carenza di indagini statistiche, l’assenza di proteste in difesa del diritto al lavoro dei disabili ecc. ecc. E purtroppo anche una parte degli iscritti al Collocamento Disabili sembra poco interessata al tema dell’occupazione.
Tutto questo, come detto, è la riprova di una situazione evidente, in cui nessuno sembra fare nulla. Forse a tutti va bene così e, vista l’incapacità di riformare i Centri per l’Impiego e la catastrofica esperienza dei Navigator [figure di supporto ai Centri per l’Impiego nel realizzare un percorso che coinvolga i beneficiari del TReddito di Cittadinanza, N.d.R.], forse è bene che l’attuale classe politica e i tecnici di cui si avvale non se ne occupino affatto, almeno fino a quando continueranno a pensare di risolvere i problemi dell’occupazione con un cocktail di sostegni economici e di agevolazioni alle aziende, provvedimenti di sapore assistenziale e poco efficaci per affrontare il mercato del lavoro debole.
Sorprende anche che si continui a non comprendere che il sistema del Collocamento Disabili pubblico, così com’è gestito, non funziona e non funzionerà, e che ogni criticità viene giustificata dai servizi con la carenza di personale.
Comunque tutto tace e le Istituzioni interessate fingono di non sapere, per evitare di affrontare una riforma radicale del sistema, rimandando l’arduo compito a chi verrà dopo. Del resto i vari tentativi di riforma del mercato del lavoro si sono rivelati inefficaci, e si è continuato a scaricare le colpe sulla globalizzazione, sulla crisi economica, sull’“Europa matrigna”, sulla pandemia ecc., utilizzando a sostegno di queste tesi la crescente disinformazione e il depistaggio dell’attenzione pubblica su provvedimenti economici palliativi.

La delusione verso il sistema del Collocamento Disabili e la sfiducia nella possibilità di reperire un lavoro ha disinnescato ogni forma di protesta, e ha spinto le persone con disabilità e i loro familiari verso l’accettazione e la ricerca di surrogati integrativi, come i sussidi economici, il rifugio nei social, la notorietà attraverso la televisione, i giornali e internet. Anche il confronto, la critica e la  riflessione sulla situazione attuale si è assopita in un disinteresse endemico e nella rassegnazione.
Purtroppo il malessere occupazionale si sta allargando, colpendo ampi strati della popolazione, così come l’insoddisfazione impotente verso le proprie condizioni di vita, senza una visione prospettica di un domani migliore.
Nel prossimo futuro la maggior parte delle persone adulte con disabilità più fragili sarà condannata alla solitudine dentro la famiglia e all’invisibilità sociale, vivranno una quotidianità avvolta dalle preoccupazione o dal dolore dei propri familiari. Solamente alcuni raggiungeranno la notorietà e si realizzeranno attraverso lo sport, la cinematografia e gli spettacoli. E nessuno si illuda che la pandemia cambierà il tutto in meglio. Anzi! Quindi se non usciamo dalla supina accettazione di quanto ci viene offerto, non saremo mai in grado di costruire un’alternativa e dovremo ritenerci corresponsabili di ogni futuro fallimento. Come diceva un vecchio detto popolare: «Chi non vuole mandi, chi vuole vada!».

Non ci resta dunque che un’attesa impotente oppure la ricerca di una nuova via che possa ridare fiducia e prospettive a centinaia di migliaia di persone con disabilità disoccupate e alle loro famiglie. Ma per poter agire come promotori e modellatori di un nuovo sistema di servizi per il collocamento dei disabili, bisogna ritornare al principio del lavoro inteso come bisogno personale, sociale ed etico, e uscire dal silenzio complice e vittimistico, per promuovere una rinnovata cultura inclusiva e nuovi servizi che siano in grado di:
° rivisitare il concetto di collocamento mirato, all’insegna di un nuovo modo di concepire il rapporto azienda/disabile/collocamento mediante il rovesciamento del paradigma: «Non dal disabile all’azienda, ma dall’azienda al disabile»;
° favorire l’occupazione dei soggetti con disabilità più deboli attraverso la promozione e la diffusione di buone prassi;
° supportare le aziende nell’assolvimento degli obblighi di legge attraverso la valutazione del potenziale occupazionale, le consulenze in tema di collocamento, i progetti formativi, la promozione della figura del disability manager;
° promuovere una stretta collaborazione fra le Associazioni delle persone con disabilità, per favorire il collocamento mirato dei loro associati;
° diffondere la cultura dell’inclusione lavorativa attraverso pubblicazioni, seminari, proposte legislative e così via.

Riprendiamo quindi la strada interrotta, ricominciamo a confrontarci per proporre, riformare e costruire qualche cosa che aiuti le persone con disabilità a trovare, attraverso il lavoro, una nuova qualità di vita. La crisi attuale deve servirci per rinnovare e per riscattare il diritto alla dignità per tutti. E il tessuto associativo italiano è chiamato a dare il proprio contributo di elaborazione, di proposta e di concreta e fattiva iniziativa.

Già responsabile del Collocamento Disabili e Fasce Deboli della Provincia di Lecco (marino.botta@umana.it).

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