A proposito del nostro articolo pubblicato qualche giorno fa con il titolo Fino a quando verrà negata la bellezza alle persone con disabilità?, ove riportavamo le dichiarazioni dell’esperto di accessibilità Alberto Arenghi sull’impossibilità, da parte delle persone con disabilità motoria, di accedere alla sezione Una casa nella casa, nell’àmbito della mostra dedicata all’architetto spagnolo Juan Navarro Baldeweg, ospitata dal Museo di Santa Giulia a Brescia, riceviamo e ben volentieri pubblichiamo la seguente nota da Stefano Karadjov, direttore della Fondazione Brescia Musei. Le nostre pagine, naturalmente, restano aperte ad ulteriori e motivate repliche.
Nei giorni scorsi è stata denunciata come «totalmente inaccessibile» una mostra che per il 95% del suo itinerario è invece accessibile ai disabili, e che per il 5% non lo è, per ragioni architettoniche e strutturali della cripta della Basilica di Santa Giulia a Brescia, spazio che purtroppo non è accessibile per ragioni al momento insormontabili.
Il programma espositivo della mostra Juan Navarro Baldeweg. Architettura, Pittura, Scultura. In un campo di energia e processo è stato disegnato dal curatore, professor Pierre-Alain Croset, insieme all’artista stesso, l’architetto Juan Navarro Baldeweg, e il progetto è di tipo “installativo”: non si tratta in altre parole di una mostra abituale, che potrebbe essere realizzata ad esempio nella Galleria Mostre al primo piano di Santa Giulia, dove altrimenti l’avremmo allestita come normalmente facciamo con altri progetti, ma di un progetto di installazione dove i contenuti espositivi dialogano con l’architettura longobarda e rinascimentale di San Salvatore e del Coro delle Monache.
A riprova di ciò, il fatto che questa sia una mostra unica nel panorama delle decine di antologiche “tradizionali” che sono state dedicate al grande maestro spagnolo. E da lui concessa a Brescia come un grande unicum di “anticipazione”. L’architetto Baldeweg sta infatti ri-allestendo per la città di Brescia la cella orientale del Capitolium dove sarà ospitata la Vittoria Alata di Brescia al ritorno dai restauri: la mostra in oggetto serve a illustrare che la trasformazione dello spazio può produrre nuovo senso – contemporaneo – partendo dal patrimonio antico, grazie alla re-interpretazione dell’architettura antica e dell’archeologia. È ciò a cui strategicamente mira l’intero progetto Palinsesto Vittoria Alata Brescia 2020.
Per questo motivo il curatore e l’artista hanno scelto di allestire anche minuscola la Cripta di San Salvatore, parte simbolica essenziale della basilica. La cripta, infatti, diventa nel progetto l’installazione di una città in miniatura, con la collocazione di alcuni progetti dell’architetto in una specifica posizione (altrimenti innaturale) proprio per trovare una proporzione aurea con le volte a sesto acuto della cripta stessa. La “città in miniatura”, perfettamente proporzionata in equilibrio aureo rispetto alle altezze, è posizionata nel cuore profondo della basilica, la cripta, a sua volta tratta dal tessuto edilizio romano da cui è ricavata, in un processo di riutilizzo architettonico che è simile a quello del Tempio Vantiniano in Capitolium, e simbolicamente affine al lavoro che Baldeweg sta svolgendo con noi per il riposizionamento della Vittoria Alata nella stessa cella del Capitolium a lui affidata.
Mi sono dilungato perché vorrei che fosse chiaro il fatto che la componente della mostra che si sviluppa nella cripta è un’installazione artistica e non una “sezione” di mostra tout court, peraltro una parte assolutamente minima della mostra. Essa (l’installazione artistica) vive proprio della sua collocazione, e come tale non avrebbe potuto essere ricreata in altro modo. Dobbiamo sempre ricordare che quando si realizzano operazioni culturali con artisti viventi non si stanno semplicemente esponendo delle opere, ma dando forma alla poetica dell’autore, che in questo caso si è fatto ispirare dai volumi della cripta.
Analogamente è stata contestata l’esposizione di un oggetto di creazione artigianale dell’artista, la Mesa, un enorme tavolo frutto del recupero di un ponte americano dell’800, su cui sono collocati dei mobiles che sono stati pensati per questa tavola. La tavola è un’opera d’arte che fa parte delle collezioni del Museo Reina Sofia di Madrid, e come tale va percepita. Il tavolo ha dimensioni titaniche e in ragione di ciò limita la visione degli oggetti esposti. Stiamo parlando di un pezzo artigianale esposto per il suo stesso gigantismo, e non semplicemente un supporto museale su cui collocare foro, modelli o altro. A dimostrazione di ciò il fatto che tutti gli altri materiali di mostra sono invece collocati in posizioni e su supporto bassi, onde consentirne una visione completa. Ciò ribadisco non sarebbe semplicemente possibile per la Mesa (il tavolo).
In realtà questa Fondazione è molto attenta ai temi dell’accessibilità. È infatti paradossale che le scelte artistiche peraltro connesse a una componente minima della mostra alimentino una polemica che nei fatti è completamente infruttuosa in confronto a una solida e fattiva collaborazione quotidiana con le nostre Istituzioni, che siamo sempre stati i primi a sollecitare. Ad esempio con le scelte progettuali connesse all’accessibilità alla cella sotterranea, un vanto per la città di Brescia; e uno dei progetti più importanti che stiamo portando avanti in questi mesi con l’architetto Markus Scherer è proprio la soluzione dell’accessibilità fisica al Mastio Visconteo e al Museo delle Armi, fatto mai superato prima d’ora, con un nuovo sistema di accesso. Elemento narrativo che non trova riscontro in quanti si prodigano a denunciare l’installazione di Juan Navarro Baldeweg, parte della mostra a lui dedicata, e che invece risolverà un tema mai posto in precedenza con tale fattività quanta quella che la Fondazione Brescia Musei sta ponendo proprio in questo momento.
Un altro progetto, il cosiddetto “Corridoio Unesco”, che prevede il collegamento fisico tra Santa Giulia e Capitolium, con la progettazione dell’architetto Botticini, ha previsto una condivisione del disegno progettuale con l’Università di Brescia, nell’àmbito di una collaborazione esistente.
Sottolineo questo per considerare pienamente quale sia la linea culturale della Fondazione rispetto al tema dell’accessibilità, e quale la disponibilità di questo Ente.
Compresi questi aspetti, rimane l’elemento di accessibilità alla cripta, del quale in una logica di continuo miglioramento siamo ben lieti di occuparci, anche grazie alla sollecitudine di chi ne ha percepito la repulsività. Tale elemento di inaccessibilità sussiste ordinariamente, a prescindere dall’installazione di Juan Navarro Baldeweg, giacché la cripta, per motivi insormontabili legati alla sua natura architettonica e storica, non è accessibile se non tramite le attuali scale. Va inoltre ricordato che a differenza di tradizionali mostre temporanee, l’installazione di Juan Navarro Baldeweg si visita con il normale biglietto museale di Santa Giulia, quindi l’installazione valorizza il contenitore museale e non è concepita come un evento culturale autonomo.
Vale anche la pena ricordare che, su tutto il complesso monastico, non sono accessibili solamente il piano inferiore di Santa Maria in Solario e la cripta, una minima percentuale di superficie rispetto ai metri quadri totali. Certamente si tratta di due edifici emblematici per la storia del monastero e per la storia dell’architettura stessa; questo pregio li vincola per quanto riguarda l’accessibilità, ma allo stesso tempo non potrà escluderli – vista la loro peculiarità – da scelte culturali e installative. Da parte di Fondazione ci sarà sempre l’impegno a garantirne la fruizione con altri strumenti, che tutti abbiamo la consapevolezza di essere comunque dei surrogati.
Aggiungo infine che l’aver lavorato a lungo su questo allestimento, a prescindere dalle polemiche attuali, ci ha già fatto ragionare su eventuali accorgimenti che in un futuro potranno permettere di superare questa barriera consentendo, per esempio con la realtà immersiva (cosiddetti “oculus”), di poter garantire una esperienza conoscitiva almeno prossima a quella che si prova entrandovi fisicamente senza pretese di sostituzione.
Per ovviare all’oggettiva impossibilità di entrare nella cripta in questa occasione di mostra temporanea dedicata all’architetto Baldeweg abbiamo già condiviso con il curatore della mostra professor Pierre-Alain Croset la realizzazione di un breve video commentato con le brevi spiegazioni dei modelli e dei disegni già inclusi nella guida sonora della mostra stessa, affinché i modellini architettonici in sé possano essere illustrati e visti con un monitor, senza entrare in cripta. Come detto la ragione della loro collocazione è di tipo scenografico ancor prima che documentale, ma resta il fatto che quanto meno dal punto di vista formativo la loro visione può essere ovviata in questo modo, e quindi a breve metteremo a disposizione questo supporto su cui stiamo già lavorando, in area adiacente alla scala che porta nella cripta.
Da parte nostra rimane immutata l’attenzione istituzionale ai temi sollevati e confesso che se questo genere di riflessioni fossero giunte a noi direttamente senza passare per la mediazione dei social media, le avremmo prese in considerazione allo stesso modo e con anche maggior sollecitudine. Si tratta infatti di uscite social che non possono che dispiacere, visto ciò che come Museo stiamo facendo quale pertcorso culturale e sociale di accesso ai diritti (penso al ciclo di mostre iniziato con Zehra Dogan sul tema arte e diritti umani; alle attività didattiche destinate a non vedenti o non udenti; alla grande quantità di proposte finalizzate al superamento delle disparità sociali con molte associazioni, anche di cittadini immigrati).
Pur con tutto il grande rispetto per le spiegazioni “artistiche” e “installative” espresse dal Direttore della Fondazione Brescia Musei, e prendendo atto di quanto compiuto dalla Fondazione stessa in favore dell’accessibilità, ci permettiamo tuttavia di riproporre tutte le nostre perplessità, espresse sin dal titolo scelto per il nostro precedente articolo (Fino a quando verrà negata la bellezza alle persone con disabilità?), rispetto all’allestimento inaccessibile di un’installazione artistica tanto prestigiosa.
Per questo prendiamo a spunto le stesse parole del dottor Karadjov, quando scrive che «la mostra in oggetto serve a illustrare che la trasformazione dello spazio può produrre nuovo senso – contemporaneo – partendo dal patrimonio antico, grazie alla re-interpretazione dell’architettura antica e dell’archeologia». Ecco, credevamo e crediamo che la “contemporaneità” non potesse e dovesse proprio fare a meno delle persone con disabilità, come invece succedeva nel mondo antico e che una moderna «città in miniatura» debba tenere conto di tutti, senza alcuna distinzione.
In quanto poi all’idea di «realizzare un breve video commentato», non ci sembra proprio che ciò coincida con il concetto di “accomodamento ragionevole” espresso dalla Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità. Ma come dicevamo inizialmente, le nostre pagine restano aperte a ogni ulteriore e motivata replica a quanto scritto dal Direttore della Fondazione Brescia Musei. (S.B.)