Il 29 marzo scorso i militari erano entrati nell’Istituto Oasi Maria Santissima di Troina (Enna), inviati dal Ministro della Difesa su chiamata del Sindaco locale, per gestire il focolaio Covid-19 scoppiato nella struttura, che vedeva 160 casi tra ospiti e operatori contagiati dal virus. Grazie alla grande esperienza di medici e infermieri della Sanità Militare, addestrati a gestire ogni tipo di emergenza, sia in ambienti non permissivi, sia in corso di pubbliche calamità, vennero applicate tutte le metodologie militari che permisero di riorganizzare l’intera struttura dell’Istituto e di metterla in sicurezza. Sì, ma quale sicurezza?
Ora, infatti, scopriamo che in quei giorni nulla e nessuno mise in sicurezza da violentatori e stupratori chi in quell’Istituto avrebbe dovuto trovare accoglienza, protezione e dignità. Scopriamo che un’ospite è stata violentata e la scoperta è ancora più drammatica, perché la donna, dopo questo atto ignobile, è rimasta incinta e sono dovute passare 25 settimane o 6 mesi di gravidanza perché il fatto emergesse [del fatto si legga già in altra parte del nostro giornale, N.d.R.]. Solo alla riapertura delle visite dei familiari questi si sono accorti che la donna era «un po’ ingrassata» e solo dopo averlo segnalato alla Direzione questa ha indagato; avuta quindi conferma della gravidanza, quest’ultima ha segnalato il fatto alla Magistratura, che si è mossa velocemente e in pochi giorni ha identificato lo stupratore che è stato arrestato dopo avere confessato.
Pongo alcune domande: quest’uomo ha avuto “solamente” (già sento udire le giustificazioni della difesa) «un’irrefrenabile e incontenibile impulso sessuale» che non poteva contenere oppure era la norma? E se era la norma, quante volte e quante persone ha violentato? E ancora, se era la norma quanti come lui violentavano e stupravano gli ospiti dell’istituto? È forse stato sfortunato perché la vittima è rimasta incinta, perché se magari non fosse rimasta incinta l’avrebbe fatta franca?
Quell’Istituto che ha nella sua mission quella di «ampliare la cultura organizzativa, sviluppare nuove forme e modelli di intervento, promuovere valori, abilità e comportamenti che rendano visibile, all’interno di ogni processo di cura e di ricerca, la dignità e l’unicità della persona», come ha potuto permettere che la sua decantata «cultura organizzativa» non evitasse crimini del genere? Come ha potuto far passare sei mesi senza accorgersi che una loro ospite fosse incinta? Quali prassi e strumenti di controllo del benessere fisico sono previsti quotidianamente? Un banale diario del ciclo mestruale, ad esempio? Oppure il controllo almeno mensile del calo o dell’aumento ponderale? O anche un piano di lavoro aziendale dove si organizzino i turni, prevedendo un numero di operatori adeguato anche nel rispetto del genere? E non mi si dica che il personale è scarso e sotto pressione, perché quel signore, anziché fare il suo dovere, ha fatto altro.
Concludo rivolgendo alcune parole ai professionisti della stampa, a quei professionisti che invocano il diritto di cronaca. Sul «Corriere della Sera» di ieri, 8 ottobre, si legge un trafiletto che riporto qui di seguito integralmente: «Enna. Il pm: violenza sulla disabile malata di Covid. Una ragazza con gravi problemi mentali sarebbe stata violentata nella struttura dov’era ospite, l’Oasi Maria Santissima di Troina (Enna) e ora aspetta un bambino. La violenza si sarebbe consumata nel periodo in cui la vittima era positiva al Covid. La Procura del capoluogo ha aperto un fascicolo per violenza sessuale aggravata e avrebbe già individuato i responsabili».
Non è dato sapere chi sia l’autore o l’autrice del trafiletto. Mi domando e gli/le domando: cosa c’entra il Covid con la violenza? Forse il fatto che la donna con disabilità in questione forse, e dico forse, era positiva al Covid e che lo stupro sia avvenuto nel periodo in cui la vittima era positiva al Covid, rende il crimine “accettabile”? Restiamo sul fatto o meglio sul fatto di cronaca e il fatto di cronaca è che una donna, una donna con disabilità, una donna con disabilità inserita in un contesto che doveva proteggerla, sostenerla e mantenere alta la sua dignità di persona umana è stata violata, usata per soddisfare impulsi sessuali, per sfogare istinti di prevaricazione e prepotenza. Ed è inutile addolcire il crimine con un dolce, dolcissimo «e ora aspetta un bambino». È una donna incinta perché è stata usata e abusata da chi si è fatto forte del fatto che quella donna non aveva, come non aveva avuto, possibilità e capacità di denunciare. “Usata e abusata” anche da chi, per riempire quattro righe e fregiarsi del titolo di giornalista, ha scritto, male, questa notizia. Un testo che fa violenza anch’esso a questa donna e a tutte le donne, in particolare a quelle con disabilità.